- Leggendo tra le righe del testo approvato in commissione, emerge come la sintesi raggiunta dalla maggioranza lasci ancora margini di manovra alle dinamiche delle correnti e non tocchi alcuni interessi privilegiati.
- I magistrati che assumono ruoli tecnici nei ministeri vedono alleggerito il meccanismo del divieto di rientro ad incarichi giurisdizionali; non si mette veramente un argine al numero di fuori ruolo e rimane la possibilità di cumulo di compensi.
- A rischiare una eterogenesi dei fini è anche la nuova legge elettorale del Csm, con il sorteggio delle corti d’appello che formano i collegi elettorali. Questo compromesso, trovato per ovviare al sorteggio dei candidati, rischia di indurre proprio il meccanismo che vorrebbe evitare.
La riforma dell’ordinamento giudiziario arriverà in aula il 19 aprile, con testo chiuso e accordo di maggioranza in commissione. L’approvazione, salvo imboscate impreviste e con l’astensione di Italia Viva, dovrebbe essere assicurata.
Parallelamente, proprio il 19 aprile l’Anm - il sindacato delle toghe composto dai rappresentanti dei gruppi associativi – deciderà i passi verso lo sciopero contro una riforma che metterebbe a rischio l’indipendenza delle toghe, buracratizzando il lavoro ed enfatizzando il carrierismo.
Leggendo tra le righe del testo approvato in commissione, però, emerge come la sintesi raggiunta dalla maggioranza lasci ancora margini di manovra alle dinamiche delle correnti e non tocchi alcuni interessi privilegiati.
Tecnici e fuori ruolo
La riforma prevede lo stop delle cosiddette “porte girevoli” tra politica e magistratura: i magistrati eletti poi non potranno più tornare a svolgere funzioni giurisdizionali, ma svolgeranno altre funzioni dentro amministrazioni ministeriali. La regola, che nella prima bozza valeva anche per i magistrati “prestati” alla politica come capi di gabinetto dei ministeri, è stata invece ammorbidita: solo un anno fuori ruolo prima di rientrare in attività e tre anni senza possibilità di assumere incarichi ai vertici degli uffici giudiziari. La ragione di questo diverso trattamento è che i primi sono magistrati che scelgono di candidarsi in politica, i secondi magistrati “chiamati” dalla politica a prestare funzioni tecniche. Si tratta però pur sempre di funzioni di tipo fiduciario, la cui chiamata arriva da ministri politici.
Questo permette il perpetrare di una prassi: quella dei magistrati, spesso esponenti di gruppi associativi, che lasciano le funzioni giurisdizionali per dirigere gli uffici dei ministeri, ovvero i luoghi dove le riforme si pensano e si scrivono. Per fare solo qualche esempio: il ministro Andrea Orlando al ministero della Giustizia aveva come capo di gabinetto l’attuale procuratore capo di Napoli, Giovanni Melillo, vicino alle toghe progressiste di Area. Ora, a quello del Lavoro, c’è la toga di Magistratura democratica, Elisabetta Cesqui. Alfonso Bonafede, invece, è stato affiancato prima di Fulvio Baldi della corrente di Unicost e poi da Raffaele Piccirillo, considerato vicino ad Area, il quale oggi è rimasto nello stesso ruolo con la ministra Cartabia.
La riforma prevede anche una stretta alla durata degli incarichi fuori ruolo: la modifica riguarda il numero di anni da poter svolgere fuori ruolo, ridotto da 10 a 7 anni. Questa riduzione, però, vale per un numero residuale di magistrati, visto che è prevista la deroga a 10 anni per le toghe che prendono servizio in organi costituzionali (Senato, Camera, parlamento, presidenza del Consiglio e presidenza della Repubblica), di rilievo costituzionale come il Csm e organi di governo, vale a dire tutti i ministeri e quindi la gran parte dei fuori ruolo.
Il cumulo di compensi
Rimane possibile, inoltre, il cumulo di compensi. La riforma non interviene sulla possibilità per i magistrati fuori ruolo che ricoprono incarichi ministeriali di sommare gli stipendi, «con compensi che arrivano a 267 mila euro l’anno», ha detto il deputato di Italia Viva e magistrato Cosimo Ferri, che ha votato per l’abolizione. Inoltre, continua ad essere permesso lo svolgimento in simultanea di più funzioni per i magistrati amministrativi e contabili, che possono affiancare funzioni giudiziarie a incarichi nella pubblica amministrazione.
Il risultato di queste eccezioni rischia di essere quello di favorire proprio l’uscita dei magistrati dal lavoro nei tribunali, in ottica di una carriera esterna in organi che, pur istituzionali, hanno connotati politici.
Il sorteggio dei collegi
A rischiare una eterogenesi dei fini è anche la nuova legge elettorale del Csm, maggioritaria con correttivo proporzionale e sorteggio delle corti d’appello che formano i collegi elettorali. Questo compromesso, trovato per ovviare al sorteggio dei candidati, rischia di indurre proprio il meccanismo che vorrebbe evitare. Modificando ogni volta i collegi, si dovrebbero scoraggiare gli accordi correntizi. In realtà, un ex magistrato conosce i meccanismi elettorali del Csm commenta: «In questo modo si inducono ancora di più gli accordi. Se Roma viene associata a Lecce, la prima cosa che faranno tutti sarà contattare i propri referenti locali per organizzare la campagna ai propri candidati. Non si favoriranno di certo i magistrati sconosciuti».
Qualche distorsione potrebbe crearla anche il nuovo metodo di valutazione dei magistrati, che dovrebbe prendere in considerazione parametri oggettivi (molti dei quali già previsti nelle attuali valutazioni) e grada i voti con giudizi come “buono” e “ottimo”. «Così i magistrati silenziosi che lavorano e rimangono sconosciuti prenderanno “buono”, mentre quelli che fanno vita associativa, si creano una rete di contatti e partecipano ai seminari prenderanno “ottimo”». Un’ipotesi per rendere la valutazione meno arbitraria sarebbe stata il rafforzamento dell’ispettorato, con funzioni di controllo trimestrali. Invece, si rischia di perpetrare i vecchi mali con nuove regole, pur teoricamente valide.
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