- La ministra vorrebbe mettere mano all’ordinamento penitenziario, ma si scontra con le ragioni politiche Lega e Cinque Stelle.
- La sensazione in ambienti dem è che il vero nemico di una possibile riforma sia più la Lega che il Movimento. La speranza è che, una volta assestata la leadership di Giuseppe Conte, con i Cinque stelle sia possibile affrontare un discorso di merito
- L’escamotage potrebbe essere il ritocco al ddl penale, che già prevede alcune novità, come che sia il giudice della cognizione e non più quello di sorveglianza ad applicare le pene alternative alla detenzione, se ritiene che favoriscano la rieducazione del condannato e se non riscontra pericolo di recidiva.
Si fa presto a dire riforma dell’ordinamento penitenziario. In realtà, i buoni propositi della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, rischiano di infrangersi contro la politica reale di una maggioranza spuria.
Sull’onda dei terribili video dei pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e sicuramente anche per personale sensibilità al tema di cui già si era occupata molto negli anni da giudice costituzionale, Cartabia ha esplicitato di voler mettere mano ai meccanismi che regolano la detenzione. Lo ha fatto con Mario Draghi alla sua destra, che annuiva e anzi rincarava l’impegno del governo in tal senso. Eppure se tenere insieme la maggioranza sulla riforma penale è stata impresa ardua, la stessa operazione sul carcere rischia di cominciare già sconfitta.
Il muro di Lega e M5S
Le riforme, infatti, si fanno passare coi voti e, se sul ddl penale la defezione poteva e potrebbe ancora essere quella del Movimento 5 Stelle, su una riforma del carcere ai grillini si aggiungerebbe anche la Lega. Due partiti determinanti per i numeri della maggioranza ed entrambi contrari.
Sul fronte dei Cinque stelle le ragioni di contrarietà risponderebbero ad una logica di coerenza. La riforma dell’ordinamento carcerario era uno dei fiori all’occhiello del governo del Pd, tentata da Andrea Orlando dopo il lungo lavoro prodotto dagli Stati generali del carcere. Una volta insediato, però, il governo Lega-Cinque stelle con Alfonso Bonafede al ministero della Giustizia ha immediatamente deviato il decreto legislativo su un binario morto. Le ragioni, secondo Bonafede, erano che si trattava di una legge “salva-ladri”, che andava bloccata per tutelare la certezza della pena.
Oggi, veder ritornare a tre anni di distanza una riforma molto simile significherebbe un secondo smacco per i grillini e in particolare per Bonafede, dopo quello sulla prescrizione. Inaccettabile non solo politicamente ma anche culturalmente, visto l’orientamento del Movimento sul tema del penale.
Anche da casa leghista lo stop a Cartabia è già arrivato: «Ragionare su alcune pene alternative ci sta, ragionare sul rafforzare la formazione professionale e il lavoro ci sta, svuotare le carceri con colpi di spugna no», ha sintetizzato Matteo Salvini all’indomani delle parole della ministra. Nel caso del Carroccio, tuttavia, qualche accusa di incoerenza sarebbe giustificabile: se è vero che Salvini è famoso per il gergo del «buttare via la chiave», è altrettanto vero che la Lega si sta impegnando in piazza per raccogliere le firme per un referendum, il cui quinto quesito propone di ridimensionare proprio i requisiti per la custodia cautelare in carcere. Di più, i leghisti siedono da settimane ai banchetti fianco a fianco con i radicali, per i quali le campagne sul carcere sono una delle bandiere culturali.
Proprio su questa contraddizione della Lega vorrebbe fare leva chi, come il Partito democratico, è fortemente favorevole all’iniziativa di Cartabia (che recupererebbe proprio una delle riforme molto care all’area del partito che fa riferimento a Orlando).
«Se si ha davvero una cultura delle garanzie il momento è ora in Parlamento e già nel processo penale si può investire di più su misure alternative e giustizia riparativa», commenta la vicepresidente del Senato e responsabile giustizia e diritti del Pd, Anna Rossomando, «L’obiettivo è dare maggiore efficacia alla pena nell’ottica del recupero della persona e non certo l’impunità».
Il Pd ha subito abbracciato le aperture del governo e ha annunciato il pieno sostegno alla ministra, facendo già ieri un incontro con i garanti dei detenuti nazionale e territoriali: l’iniziativa è una delle tappe di ascolto di coloro che operano nella realtà carceraria e dell’esecuzione della pena, con il chiaro obiettivo di riprendere il filo degli Stati generali del carcere. «Bisogna approfittare di questa legislatura per lavorare sulle riforme. Dopo l'approvazione del ddl civile e penale, penso si debba riprendere in mano la riforma dell'ordinamento penitenziario, affossata dalla lega che ora raccoglie le firme per il referendum», dice Rossomando.
La sensazione in ambienti dem è che il vero nemico di una possibile riforma sia più la Lega che il Movimento. La speranza è che, una volta assestata la leadership di Giuseppe Conte, con i Cinque stelle sia possibile affrontare un discorso di merito sulla riforma dell’ordinamento carcerario, sulla falsariga di come si è fatto sul ddl penale. La strategia è quella dei piccoli passi, abbassando al minimo il livello delle polemiche e delle rivendicazioni politiche: nessun attacco a Bonafede, nessuna gioia sbandierata sui social per le modifiche alle leggi volute dal Movimento. Sviscerando le singole proposte coi parlamentari più disposti al dialogo (e all’alleanza), il Pd è convinto di poter trovare un punto di caduta anche sul carcere, nel lungo periodo.
Due strade possibili
In realtà, le ipotesi al vaglio sarebbero due e alternative. Immaginare una riforma organica e ambiziosa come quella di Orlando potrebbe essere difficilmente percorribile per questo governo, dunque è al vaglio l’ipotesi di sfruttare il più possibile lo spazio di manovra che ancora consente il ddl penale.
E’ vero che il maxi emendamento del governo è stato votato in consiglio dei ministri, ma prima dell’approdo in aula il 23 luglio il testo può ancora essere ritoccato (come già sta succedendo per la prescrizione, che dovrebbe venir corretta nel calcolo della prescrizione sostanziale della legge ex Cirielli). In particolare nel blocco, comunque già consistente, delle nuove previsioni in materia di sanzioni sostitutive. La riforma penale, infatti, prevede che sia il giudice della cognizione e non più quello di sorveglianza ad applicare le pene alternative alla detenzione, se ritiene che favoriscano la rieducazione del condannato e se non riscontra pericolo di recidiva: un cambiamento sostanziale, perchè si sposta al giudice del processo l’individuazione delle sanzioni diverse dal carcere, che quindi vengono applicate al condannato immediatamente con la sentenza. Inoltre, sono già presenti norme che rafforzano le ipotesi di giustizia riparativa e le ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Proprio in questo campo il Pd è pronto a presentare emendamenti che sostengano e allarghino le previsioni del maxi emendamento ragionando su entrambi i piani: si cercherà di far confluire quanto possibile nel ddl penale, lavorando in parallelo a una possibile riforma autonoma.
La stessa Cartabia potrebbe guardare con favore questa scelta, piegando l’ambizione di una riforma dell’ordinamento carcerario alla possibilità di rimanere fedele alla promessa di intervenire in modo celere.
«E’ vero che molte innovazioni sono già presenti nel ddl penale, in particolare con l’assegnazione di nuovi poteri al giudice della cognizione», concede Enrico Costa di Azione, che è scettico sulla possibilità che si possa davvero scrivere una nuova riforma del carcere perchè «Su riforme che mettono al centro le garazie, il parlamento si scontrerà sempre con la demagogia populista, tanto della Lega quanto dei Cinque stelle». Tradotto: la maggioranza faticherà sicuramente su un tema divisivo come il carcere e la ministra dovrebbe ritenersi soddisfatta se riuscirà a far approvare quanto è scritto nel maxi emendamento del penale.
Rimane un eppure, però. Rispetto a molti altri temi di giustizia, il carcere è sicuramente una delle questioni su cui la ministra Cartabia è più decisa. «E lei ha già dimostrato che quando ha le idee chiare persegue i suoi obiettivi», si dice in area di maggioranza.
La strada è sicuramente impervia, ma proprio il clamore mediatico intorno al caso di Santa Maria Capua Vetere potrebbe essere utile strumento per portare avanti un progetto concreto. Tanto più che anche nel Pnrr sono previsti fondi che riguardano l’edilizia carceraria, non in ottica di costruzione di nuove carceri quanto di ampliamento e rinnovamento dell’esistente. Dal punto di vista legislativo, si tratterebbe di un progetto decisamente ambizioso: rispetto ai ddl civile, penale e dell’ordinamento giudiziario, tutti nati con il precedente governo e dunque con un testo base già scritto, una eventuale riforma del carcere potrebbe portare il marchio inequivocabile del governo Draghi. Insomma, potrebbe essere la prima riforma dell’esecutivo a non scontare la necessità di tenere in equilibrio i residui del passato, ma l’ambizione di Cartabia potrebbe non essere sufficiente a domare tutte le anime della sua maggioranza, tanto più nel corso del semestre bianco e a ridosso della nomina del nuovo presidente della Repubblica.
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