Il testo della legge, notificato all’Unione europea in quanto idoneo a creare ostacoli nel mercato interno, ha concluso l’iter di approvazione con la firma di Mattarella. Ma, ai sensi della normativa Ue, prima di approvarlo serviva attendere la conclusione della procedura alla Commissione europea
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha promulgato la legge sulla carne coltivata. Con la firma del Quirinale, i dubbi su quella legge – su queste pagine ne avevamo espressi molti - sono diventati un’intricata matassa che è necessario sbrogliare.
La procedura Tris
La normativa sulla carne coltivata – che vieta, tra le altre cose, di «vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare» tale alimento - è idonea a limitare la libera circolazione all’interno del territorio dell’Unione europea, uno dei principi fondanti dell’Unione stessa (art. 34 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, Tfue).
La disciplina Ue (direttiva 2015/1535) prevede che, qualora uno stato membro intenda introdurre leggi che potrebbero creare ostacoli al mercato interno, notifichi il disegno di legge (ddl) alla Commissione e agli altri stati membri (cosiddetta procedura Tris), affinché essi ne valutino la compatibilità con il diritto dell'Ue. Dunque, la procedura si applica a bozze di leggi, non a leggi già approvate.
Dalla data della notifica, l’iter nazionale di approvazione della legge è sospeso per tre mesi. Qualora emergano profili di contrasto con il diritto europeo, la Commissione e gli stati membri inviano osservazioni su tali profili, sotto forma di “parere circostanziato”, e la sospensione è prorogata fino a sei mesi. A quel punto, lo stato interessato «deve tener conto del parere circostanziato e rispondere, spiegando gli interventi che intende compiere per conformarsi a esso».
Il 27 luglio scorso, il ddl sulla carne coltivata era stato notificato all’Unione europea, secondo la disciplina sulla procedura Tris. Ma ad ottobre la notifica era stata ritirata. Forse il governo temeva che il ddl fosse bocciato, e non voleva correre questo rischio.
Il “giallo” della firma di Mattarella
Nella giornata del 1° dicembre, cioè dopo due settimane dall’approvazione della legge in parlamento, si è diffusa la notizia che Mattarella avesse rifiutato la firma della legge, in attesa che il testo fosse nuovamente notificato all’Ue, in ossequio alla procedura Tris, e che la Commissione si esprimesse al riguardo. Poi, sempre il 1° dicembre, il colpo di scena. Mattarella ha firmato la legge, accompagnandola con una nota dove si precisa che il governo ha notificato il provvedimento alla Commissione europea, «con l’impegno a conformarsi a eventuali osservazioni che dovessero essere formulate dalla Commissione».
In sintesi, il testo normativo è stato trasmesso all’Ue poco prima della firma di Mattarella, in forma di disegno di legge, e poco dopo il Presidente lo ha firmato, rendendolo una legge vera e propria (a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale).
I dubbi
La questione solleva molti dubbi in punto di diritto. La procedura Tris deve avere ad oggetto un progetto di legge, in modo da consentire al legislatore nazionale di apportare al testo le modifiche richieste in sede europea, prima che esso diventi legge.
Il testo sulla carne coltivata notificato alla Commissione Ue è un ddl, quindi la direttiva sulla procedura Tris è stata formalmente rispettata. Ma subito dopo la notifica il ddl è divenuto una legge vera e propria, a seguito della firma del Quirinale, ultimo atto dell’iter di approvazione, mentre la direttiva vieta l’approvazione di un ddl durante la procedura Tris.
Allora perché il Presidente ha firmato, sapendo che ciò si scontrava con il diritto dell’Ue? Forse la Commissione Ue gli ha comunicato il proprio placet informale a una deroga della direttiva, a condizione che vi fosse l’impegno dell’esecutivo ad apportare successive modifiche? Si tratterebbe di un “favore” al governo Meloni, che così ha potuto rivendicare il successo su un provvedimento-bandiera.
Oppure il placet della Commissione si basa sull’equivoco che il testo sulla carne coltivata non sia ancora divenuto legge? Ciò parrebbe confermato dalla dichiarazione del 1° dicembre della portavoce per il Mercato unico della Commissione, Johanna Bernsel, la quale ha affermato che «da quello che capisco, questa legislazione non è ancora diventata applicabile in Italia», e pertanto è rispettata la regola che «siano notificati i progetti», e non le leggi.
Se così fosse, sarebbe molto grave, anche perché il governo dovrebbe comunicare alla Commissione l’avvenuta approvazione del provvedimento oggetto di notifica, e forse non l’ha fatto.
Cosa succede ora
La procedura Tris prevede che la bozza di legge notificata all’Ue resti sospesa per un massimo di sei mesi. Ma nel caso italiano non c’è una bozza, bensì una legge vera e propria. È comunque sospesa l’efficacia della legge, in attesa che l’Ue si pronunci? Tale sospensione non è prevista né dal diritto europeo né da quello nazionale.
Quindi, la legge sulla carne coltivata rimane vigente, ma nell’ipotesi che arrivi in un tribunale nazionale il giudice potrà disapplicarla, in ragione del contrasto con la disciplina europea (causa C-443/98 “Unilever”). Ipotesi comunque irrealistica, dato che il divieto di importazione ed esportazione è di per sé non applicabile poiché la carne coltivata, non essendo autorizzata, è già vietata ai sensi della normativa europea.
Lo strappo al diritto Ue
Dopo la firma del Quirinale, la questione è divenuta un colossale pasticcio giuridico. Da un lato, l’Italia ha attivato una procedura europea, la Tris, che vieta di approvare il progetto di legge notificato all’Ue, ma il Quirinale ha perfezionato l’approvazione con l’atto finale della propria firma.
Dall’altro lato, il governo ha assunto l’impegno di modificare la legge in conformità alle osservazioni della Commissione Ue, la quale però nell’ambito della procedura Tris non avrebbe titolo a pronunciarsi su un testo che è già diventato legge. Infine, l’esecutivo avrebbe dovuto apportare le modifiche richieste dalla Commissione prima dell’approvazione del testo, anziché impegnarsi a farlo dopo.
In conclusione, da qualunque parte si guardi la vicenda, è palese che la condotta dei suoi diversi attori ha determinato uno strappo al diritto che sarebbe stato meglio evitare.
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