L’originario art. 314 c.p. prevedeva che il peculato potesse essere integrato non solo dall’appropriazione, ma anche dalla distrazione a profitto proprio o di altri ad opera del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio.

A seguito della riforma disposta dall’art. 1 della L. n. 86 del 26.4.1990, in astratto il peculato può essere commesso soltanto mediante appropriazione, così abbandonandosi formalmente l’originario riferimento alla distrazione a profitto proprio o altrui.

Sennonché, recuperando un significato più articolato della condotta di “appropriazione”, le Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, Vattani, hanno affermato che «l'eliminazione della parola “distrazione” dal testo dell'art. 314 c.p., operata dalla L. n. 86 del 1990, non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall'agente pubblico nell'area di rilevanza penale dell'abuso d'ufficio.

Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato. La condotta distrattiva, invece, può rilevare come abuso d'ufficio nei casi in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell'agente, mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei alla p.a.» (in senso conforme Cass. n. 43133 del 13/07/2017 nonché n. 19484 del 23/01/2018).

Mentre è in dirittura di arrivo l’abrogazione dell’art. 323 c.p. sull’abuso d’ufficio, taluno si è rammentato che essa avrebbe inevitabilmente determinato anche l’abrogazione con effetto retroattivo dell’illiceità penale della menzionata condotta distrattiva, quale ritenuta dalla precisata decisione delle Sezioni Unite. Da qui la previsione contenuta nell’art. 9 del D.L. n. 92 del 4 luglio 2024 (entrato in vigore il 5 luglio 2024), alla cui stregua: Al codice penale dopo l'articolo 314 è inserito il seguente:

«Articolo 314-bis (Indebita destinazione di denaro o cose mobili). - Fuori dei casi previsti dall'articolo 314, il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».

Tra l’ordine e il contrordine è inevitabile che nasca soltanto il disordine, in questo caso normativo. Intanto, posto che i decreti legge sono leggi in senso materiale (Cass., Sez. III, 29 settembre 1983, Grassi, m.161258), tanto per le condotte anteriori (non coperte dal giudicato) quanto per tutte quelle successive all’entrata in vigore del predetto D.L. (5 luglio 2024), l’art. 2, 4° c.p. impone l’applicazione dell’art. 314-bis c.p., di certo più favorevole al ‘reo’ dell’art. 323 c.p. La mancata conversione del decreto legge non avrà alcun effetto sui fatti commessi prima dell’entrata in vigore del D.L., disciplinati dunque dall’art. 314 c.p. secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite. Invece, per quelli successivi troverà applicazione la disciplina più favorevole al reo, e cioè l’art. 314 bis, almeno secondo una non pacifica interpretazione.

Rilevato che il nuovo art. 314 bis c.p. sul peculato per distrazione rispecchia concettualmente e testualmente l’art. 323 c.p., non può non apparire singolare che si rivitalizzi la trama di una norma in stato agonico, l’abuso d’ufficio, per conservare la punibilità del peculato per distrazione, altrimenti coinvolto nella abrogazione in fieri.

Potrebbe concludersi che l’art. 323 c.p., uscito a furore di popolo (e soprattutto di sindaci) dalla porta, rientra dalla finestra sub specie di art. 314 bis c.p. almeno fino a quando i sindaci, soprattutto di amministrazioni governate dalla sinistra, non ne reclameranno dal governo l’abrogazione, brandendo nuovamente «la paura della firma».

Ma sembra più saggio, in una visione più sistematica, rilevare che la vicenda esposta oggettivamente dimostra che il tanto vituperato abuso d’ufficio ha una valenza ineliminabile di sussidiarietà, che rende azzardata la sua soppressione.

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