Il segretario generale di Magistratura democratica, Stefano Musolino, prende posizione sulla riforma annunciata dal ministro della Giustizia e ritorna sulla questione etica ancora aperta dentro la magistratura
In vista del congresso dell’Anm, il segretario generale di Magistratura democratica, Stefano Musolino, prende posizione sulla riforma annunciata dal ministro della Giustizia e ritorna sulla questione etica ancora aperta dentro la magistratura: «affidare le risposte solo ai procedimenti penali e disciplinari è stata una scelta che ha impedito di avviare un serio dibattito sulle cause che hanno generato quella crisi: il mito della carriera dirigenziale, la progressiva gerarchizzazione, la perdita di autorevolezza e credibilità dell’associazionsimo giudiziario che ha travolto anche il Csm».
Siamo alla vigilia del congresso dell'Anm, con l'annuncio di una riforma che tocca il Csm e la separazione delle carriere. Cosa pensa della cosiddetta riforma Nordio?
Bisogna considerare con particolare attenzione critica ogni intervento che va nel senso dell’alterazione della posizione costituzionale del pubblico ministero.
Oggi, di fronte a norme sui percorsi lavorativi che già hanno reso rarissimo il passaggio di ruolo tra giudicanti e pubblici ministeri, forse sarebbe utile fermarsi a riflettere sul fatto che il nostro modello, che “tiene” il pubblico ministero nella giurisdizione costituisce una garanzia per i cittadini. E, nella fase del processo, non contraddice la parità tra le parti. Non credo che gli avvocati stessi si sentirebbero più a loro agio trovandosi di fronte un aggressivo avvocato della polizia. L’invito è a riflettere, al di là delle suggestioni.
Si è paventata l'ipotesi di rendere facoltativa l'azione penale. Come la valuta?
L’obbligatorietà dell’azione penale, è bene sempre chiarirlo, non equivale a meccanicità o irrazionalità dell’esercizio dell’accusa, ma è un criterio di garanzia di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. La “ragionevole previsione di condanna” come nuovo criterio di esercizio dell’azione penale costituisce di per sé una garanzia. Né, in negativo, si può pensare che le Procure della Repubblica abbandonino arbitrariamente indagini. Certo, rispetto alla possibilità di gestire razionalmente il lavoro, la recente ansia di penalizzazione di una inusitata quantità di comportamenti è del tutto contraddittoria. Dunque La soluzione al numero eccessivo di procedimenti penali è una coraggiosa depenalizzazione, non già introdurre una discrezionalità che condurrebbe il pubblico sotto il governo dell’Esecutivo.
Il ministro ha detto che a Palermo ci sarà e incontrerà prima l’Associazione. E' una mano tesa?
E’ la risposta a un invito cortese e rispettoso da parte di chi chiede una maggiore e migliore collaborazione per fare funzionare la Giustizia. Le critiche, le sollecitazioni, i conflitti argomentativi sono il sale della democrazia e il miglior metodo di confronto per un Ministro interessato a garantire il diritto dei cittadini ad una giustizia efficace ed efficiente.
Credo del resto il Ministro della Giustizia abbia anche come dovere istituzionale quello di relazionarsi con l’Associazione nazionale magistrati. Sarebbe semmai da leggere negativamente un suo rapporto selettivo e privilegiato con alcune componenti della magistratura ritenute “politicamente affini”. L’altro auspicio è che il Ministro tenga conto della voce della magistratura associata soprattutto, in questo momento, per quanto riguarda le risorse e dunque i compiti costituzionali che gli impongono di occuparsi di funzionamento dei servizi di giustizia.
Si tornerà alla stagione del conflitto permanente tra toghe e politica?
L’idea dell’esistenza di un conflitto è di per sé fuorviante: la magistratura svolge i suoi doveri istituzionali con continuità, impegno e coscienza, in decine e decine di sedi giudiziarie, affrontando un insieme enorme e differenziato di temi, dalla criminalità organizzata, alla tutela di diritti dei cittadini nella quotidianità. Lo sguardo non può essere drammaticamente (o strumentalmente) ristretto a pochi casi giudiziari, reinterpretati come “conflittuali”.
Vede invece una ritrovata sinergia tra i gruppi associativi, nell'ottica di contrastare le iniziative del governo?
La vita dei gruppi associativi costituisce una ricchezza per il dibattito, interno ed esterno alla magistratura: un dialogo produttivo tra i gruppi ci può e ci deve essere con le precondizioni dell’indipendenza di ciascuno da collateralismi con altri poteri e della difesa dell’assetto costituzionale. Questa, e non un mero “contrasto”, è la via da seguire.
Chi attacca la magistratura, continua a sostenere che la cosiddetta "questione morale" post caso Palamara non sia ancora risolta, è così?
Magistratura democratica in vista del Congresso dell’Anm ha offerto al dibattito congressuale un documento che affronta i temi di etica e imparzialità. In sintesi estrema: centralità delle questione morale da affrontare con decisione; rifiuto di una richiesta di imparzialità ridotta al malcelato desiderio di un modello di magistrato “allineato” e burocrate.
Per fortuna quei tempi sono lontani e quelle dinamiche perverse non più attuali. Tuttavia, è vero che affidare le risposte solo ai procedimenti penali e disciplinari è stata una scelta che ha impedito di avviare un serio dibattito dentro la magistratura in ordine alle cause che hanno generato quella crisi. Che si ritrovano nel mito della carriera dirigenziale, nelle relazioni verticali che si vanno instaurando nei rapporti interni, con una loro progressiva gerarchizzazione, nella perdita di autorevolezza e credibilità dell’associazionsimo giudiziario che ha travolto anche il Csm. È curioso, tuttavia, che nessuna delle proposte di riforma attuali affronti questi temi, ma finisca, anzi, per aggravarli. La crisi sembra essere stata l’occasione per aggredire il ruolo di garanzia e tutela dei diritti fondamentali che la Costituzione riconosce alla magistratura. L’effetto sarà che i cittadini saranno più esposti alle angherie dei potenti e vedranno meno spazi di tutela per i loro diritti.
Rispetto alle nomine dell'attuale Csm, Md ha spesso richiamato alla necessità di applicare regole certe e trasparenti. Il fenomeno carrieristico e le logiche spartitorie sono ancora un problema?
Magistratura democratica ha molto dibattuto al suo interno per offrire a tutta la magistratura una riflessione equilibrata: noi pensiamo che l’attenzione debba spostarsi dalle singole vicende proprio alle regole. La discrezionalità del Csm è un valore che ne esprime, a tutto tondo, il ruolo costituzionale. Abbiamo però registrato troppi annullamenti da parte del giudice amministrativo delle nomine dirigenziali. E neppure la lettura delle sentenze che hanno disposto questi annullamenti offre una chiara indicazione dei criteri applicabili a decisioni omogenee. Vi è perciò un problema di trasparenza e comprensibilità delle scelte che dobbiamo porci a tutela della autorevolezza ed affidabilità del Csm. Per questo abbiamo avanzato una proposta tesa a semplificare e rendere più immediata l’applicazione piana dei criteri che rendano più trasparenti e comprensibili le scelte del Csm.
Il caso Apostolico ha portato alla luce anche la questione dell'utilizzo dei social da parte dei magistrati, insieme al dibattito sulla necessità di apparire e non solo essere imparziali. Servirebbe un regolamento di condotta, come ipotizzato dal Csm?
Abbiamo già un codice etico, possiamo aggiornarlo ed implementarlo. Ma non è la continua introduzione di regole, lo abbiamo visto, che può dare una soluzione. Piuttosto una migliore consapevolezza di noi e del nostro ruolo. Per questo l’associazionismo deve tornare ad essere uno spazio di confronto tra le plurali sensibilità che attraversano la magistratura in cui affrontare collettivamente le sfide della modernità, piuttosto che un’organizzazione stancamente chiusa nei suoi riti, volti a governare l’esistente: Nel contempo, ancora una volta, è importante chiarirci sul tema dell’imparzialità: al di là della questione social, al magistrato i cittadini devono chiedere l’attenzione alla realtà concreta e la sua comprensione. Ciascun magistrato deve essere autonomo e indipendente, ma non separato dalla società in cui vive: un magistrato tanto più consapevole del suo ruolo quanto più capace di abbandonare ogni tentazione di autoreferenzialità, e invece di saper ascoltare, di sapersi confrontare con ciò che gli sta intorno.
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