Negli anni scorsi i volontari organizzavano attività per far sentire meno la solitudine. Ora i detenuti sono in condizioni sempre più precarie e l’unico conforto è il telefono
- Prima del covid, il giorno di Natale i volontari organizzavano attività per i detenuti, come il pranzo tutti insieme e la messa. Quest’anno invece non è possibile fare nulla e la solitudine si fa sentire.
- L’unico conforto rimasto è il telefono e le videochiamate. Nel carcere di San Vittore, il direttore le permette più volte a settimana. Ma soprattutto i detenuti stranieri non hanno soldi per farle.
- Il disagio psichico è altissimo. «I più gravi si tagliano o commettono atti di autolesionismo, gli altri litigano per sfogare la rabbia, alcuni riescono a trovare sostegno nei nostri colloqui», racconta una psicologa.
«In carcere, Natale è il giorno più triste dell’anno. Richiama la casa, la famiglia e le tradizioni e non poterle vivere direttamente apre un pozzo buio di malinconia», dice don Marco Pozza, sacerdote del carcere di Padova. Lui l’antivigilia l’ha trascorsa tra i detenuti, per portare il conforto di una vicinanza tanto più importante in questa fine di 2020 in cui proprio il contatto umano, già difficile nelle carceri, è diventato ancora più un lusso a causa della pandemia.
Se per i liberi (così i detenuti si riferiscono a chi è fuori) questo sarà un Natale di limitazioni, la zona rossa del carcere è ancora più drammatica perché è fatta di abbandono e di solitudine. A causa delle restrizioni negli spostamenti, le visite dei parenti sono quasi del tutto impossibili e anche i volontari, che proprio durante le festività moltiplicano gli sforzi, non hanno potuto organizzare nulla e anzi sono rimasti fuori dal carcere. «Ogni anno nostra coop organizza nel carcere di Padova un pranzo con i detenuti che lavorano con noi. Di solito offrivamo una pizza e una fetta di panettone, portavamo ospiti da fuori e proiettavamo il video che mostrava il lavoro dell’anno appena trascorso. Questo 25 dicembre, invece, per la prima volta in trent’anni non faremo nulla», dice Nicola Boscoletto, fondatore della cooperativa sociale Giotto che offre lavoro esterno ai detenuti.
Anche la messa di Natale non potrà essere celebrata. «A San Vittore c’è la tradizione della messa natalizia in rotonda, con il coro e i detenuti che arrivavano da tutti i raggi per partecipare alla celebrazione – racconta suor Anna Donelli, da dieci anni volontaria in carcere -. Quest’anno, non si può nemmeno passare da un piano all’altro e i raggi sono chiusi. Le messe verranno celebrate in qualche reparto, ma solo con quattro o cinque detenuti». Con enorme fatica, si è riusciti a far arrivare qualche panettone per festeggiare, ma ogni altro conforto è stato impossibile.
La salvezza è il telefono
In carcere a mancare sono le piccole cose, che diventano enormi perché si sommano al carico di sofferenza. L’ora d’aria viene non più trascorsa con detenuti amici, che rimangono bloccati negli altri bracci. La scuola è ferma in molte carceri, perché le aule sono piccole e spostare i detenuti è considerato pericoloso per il contagio. A pesare, poi, sono i tempi dilatati: la quarantena è di 20 giorni contro gli 11 all’esterno, perché i risultati dei tamponi sono più lenti. Le attività portate avanti dai volontari, poi, sono per la maggior parte sospese e così le giornate diventano interminabili.
L’unico sollievo, allora, rimane sentire la voce dei propri cari. «In questo anno di pandemia, l’istituzione carceraria è stata salvata dal telefono», dice la presidente della Conferenza nazionale volontari giustizia Ornella Favero. Prima del Covid, ogni detenuto aveva a disposizione 6 ore di colloquio al mese e 10 minuti di telefonata alla settimana, ma in molte carceri i direttori hanno allargato le maglie per compensare la difficoltà di visita. «A San Vittore, il direttore ha permesso videochiamate con Skype e telefonate più volte in settimana. Soprattutto le videochiamate danno un po’ di sollievo perché permettono di vedere i visi delle care che non hanno potuto venire in visita», dice suor Anna. Ma una telefonata in più non allarga la cella: i detenuti sono costretti a rimanere molto più a lungo chiusi in spazi strettissimi dove crescono ansia, nervosismo e tanta paura del virus, per se stessi e per i parenti all’esterno. Accanto al telefono, le cooperative esterne cercano di mantenere disponibile un servizio mail: il volontario entra in carcere, ritira la mail scritta a mano, la scansiona e la manda agli indirizzi dei familiari, poi porta in carcere la risposta. «Il servizio è attivo a Padova, Viterbo, Rebibbia e altre carceri. Stiamo cercando di offrire a tutti un certo numero di mail gratuite, ma non è facile», spiega Favero, che è anche direttrice della rivista Ristretti orizzonti, scritta dai detenuti del carcere padovano. Proprio questo, soprattutto per i detenuti stranieri, è l’unico modo per fare avere notizie all’estero. «I non italiani fanno fatica a chiamare a casa. A volte non hanno i soldi per fare la telefonata», racconta suo Anna, «Noi volontari ci siamo attrezzati e con “google traduttore” riusciamo a comunicare coi loro parenti per dare loro una parola di conforto e poi portare qualche notizia in carcere, per far sentire questi detenuti meno soli, almeno un poco».
La povertà
Nemmeno il carcere, poi, è una livella sociale. I detenuti con qualche soldo in più sono in grado di comprare generi alimentari e organizzano piccoli pranzi in cella coi compagni. Per gli altri, invece, rischia di mancare ogni tipo di conforto. «Alcuni, quando vengono, ci chiedono se per caso abbiamo una caramella o un biscotto», racconta una psicologa di San Vittore, in prima fila nell’ascoltare i bisogni ma soprattutto le angosce di chi sta scontando la pena. «Questi giorni sono carichi di angoscia, che si manifesta con agitazione e nervosismo. Alcuni detenuti non vogliono tornare in cella, altri avanzano richieste pretestuose». Il disagio psichico, infatti, è altissimo. «I più gravi si tagliano o commettono atti di autolesionismo, gli altri litigano per sfogare la rabbia, alcuni riescono a trovare sostegno nei nostri colloqui». A complicare ulteriormente il contesto è anche la confusione: le normative del covid non permettono di uscire dalle celle, i detenuti vengono divisi con criteri che dividono i gruppi di amici, la gestione interna delle carceri è sempre più difficile.
Il governo
Ieri, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha fatto una visita a sorpresa nel carcere romano di Regia Coeli insieme al Garante dei detenuti, Mauro Palma. Un segno di vicinanza che potrebbe far ben sperare per un ordine del giorno presentato da Più Europa con Riccardo Magi, per chiedere al più presto di vaccinare i detenuti per il Covid. Il testo doveva venire votato nei giorni scorsi ma è slittato al 27 dicembre: ha ricevuto adesioni da parte di singoli parlamentari del Partito democratico, ma l’obiettivo è che ottenga il parere favorevole del governo, che ha già fatto sapere di considerare il personale penitenziario tra quelli con priorità di vaccinazione. Anche perché, nelle carceri, non solo i detenuti anziani ma anche i più giovani sono spesso vulnerabili: molti, infatti soffrono di tossicodipendenza, che rende il loro fisico molto più fragile. Secondo i dati del Garante, attualmente i detenuti positivi sono 947, di cui 800 asintomatici e 30 curati in strutture ospedaliere, divisi in 85 istituti. Se i numeri del contagio sembrano relativamente sotto controllo, il problema tutt’ora irrisolto e che fa aumentare la paura di contagio rimane quello del sovraffollamento: attualmente sono detenute 52.908 persone, per 47.175 posti disponibili.
© Riproduzione riservata