Dopo oltre un anno dal via libera in Cdm, la Camera ha dato il definitivo via libera al ddl Nordio, la cui norma caratterizzante è l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Considerato uno dei punti chiave della legislatura per il ministro, è di fatto il primo disegno di legge in materia giuridica che fissa una chiara scelta politica da parte del governo: rimuovere un reato dei cosiddetti colletti bianchi, definito afflittivo sul piano mediatico e poco incisivo su quello giudiziario. Impedendo così di perseguire tutte le condotte degli amministratori che, nell’esercizio delle loro funzioni, si procurino volontariamente un vantaggio illecito o provochino danni ad altri. Con un rischio anche di incostituzionalità.

L’allarme sulla cancellazione è stato lanciato ormai da settimane dall’Associazione nazionale magistrati, secondo il presidente Giuseppe Santalucia infatti si trattava di «un argine alle angherie del potere pubblico» e abrogarlo significa «creare ulteriori intralci, si aumenterà la diffidenza nei confronti dei pubblici poteri». Inoltre, i giuristi hanno sottolineato come questa mossa rischi di mettere l’Italia in una posizione problematica a livello europeo. In passato anche il Colle – che ora deve promulgare la legge – ha messo in allerta il ministero sugli obblighi della convenzione internazionale di Merida. La convenzione prevede una serie di figure di reato tra cui proprio quella di abuso d’ufficio oggi abrogata, di qui il rischio di indebolire la lotta alla corruzione ma anche di disattendere una convenzione internazionale. Nordio, invece, ha sempre rifiutato questa lettura, sostenendo che l’abuso d’ufficio sia un reato «evanescente» ed escluso alcun obbligo sull’esistenza di questa specifica fattispecie. Eppure, la linea maggioritaria è orientata in direzione opposta.

Proprio per evitare guai con l’Unione europea, nel decreto legge sulle carceri il ministero ha introdotto il reato di peculato per distrazione con una pena fino ai 3 anni. La mossa sembra un tentativo di colmare il vuoto provocato dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio, con una nuova fattispecie di reato che faccia rimanere illecita la specifica condotta dei pubblici ufficiali che distraggono fondi, destinandoli ad un uso diverso da quello previsto per procurare ingiusto profitto o danno ad altri. Tale comportamento, secondo giurisprudenza attuale, rientrava nell’abuso d’ufficio. Abolito quest’ultimo, la fattispecie di reato sarebbe diventata non punibile (a meno di non farla rientrare nell’appropriazione indebita aggravata, con una pena di 6 anni e mezzo). Ma così si sarebbe contravvenuto a una precisa direttiva Ue del 2017, esponendo l’Italia a una procedura di infrazione. L’effetto di questo correttivo fa emergere un dato: anche se non viene ammesso, nel governo c’è la consapevolezza che il favore ai colletti bianchi e amministratori pubblici apra vuoti nell’ordinamento che presto o tardi sarà necessario colmare.

Il testo di legge, inoltre, restringe il campo anche del reato di traffico di influenze, disponendo che le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale debbano essere effettivamente utilizzate, non solo vantate, e debbano essere esistenti, non solo asserite. Anche questo un modo per limitare indagini che, in alcuni casi, hanno portato a individuare anche condotte di tipo corruttivo.

Si introduce poi l'interrogatorio dell'indagato prima dell'arresto cautelare, viene limitata l'appellabilità delle sentenze di assoluzione da parte del pubblico ministero nel caso di reati di minore gravità e viene introdotto un collegio giudicante per gli arresti. Quest’ultima misura entrerà in vigore tra due anni però, perché il sistema processuale attuale non è in grado di reggerla: come è stato fatto notare a più riprese dalle toghe, creerà problemi di incompatibilità soprattutto nei piccoli tribunali e servirà assumere nuovi magistrati.

Le intercettazioni

Altro passaggio controverso del disegno di legge riguarda la limitazione alla pubblicazione delle intercettazioni, «a tutela dei terzi», ha spiegato Nordio. Le nuove norme, tuttavia, impongono chiare limitazioni alla stampa.

Il testo prevede infatti che le intercettazioni siano pubblicabili solo se contenute in un provvedimento o sono utilizzate nel corso del dibattimento. La trascrizione nel verbale è limitata soltanto al contenuto delle intercettazioni rilevanti per le indagini, mentre tutto il resto non può essere trascritto neppure sommariamente nei verbali di polizia giudiziaria. Infine, è compito del pm vigilare sul fatto che i verbali siano redatti in modo conforme, che non contengano fatti che riguardano la vita privata degli interlocutori né espressioni che riguardano dati sensibili di soggetti diversi dalle parti del procedimento. Anche questa, però, è solo una anticipazione di un «progetto organico di riforma delle intercettazioni» in passato annunciato da Nordio.

Senza toccare questioni di procedura né migliorare gli strumenti di indagine a disposizione degli inquirenti, quella approvata col ddl Nordio è a tutti gli effetti una stretta che tocca direttamente il lavoro giornalistico. «La nuova stretta sulle intercettazioni in nome del diritto alla riservatezza rischia di intaccare il diritto contrapposto alla piena informazione», hanno denunciato il presidente dell’ordine dei giornalisti Carlo Bartoli e la segretaria del Fnsi Alessandra Costante, spiegando che «c’è il pericolo serio di far calare una cappa di silenzio» e «in tal modo si indebolisce la stessa azione di controllo che la stampa svolge verso la magistratura così come verso tutti gli altri poteri».

L’opposizione è intervenuta con durezza in aula: «Questa legge da un lato protegge i mediatori della corruzione, dall'altro silenzia la stampa e ha un obiettivo unico complessivo: rendere più difficili le indagini sui reati dei colletti bianchi e impedire la conoscenza dei loro contenuti», ha commentato l’ex procuratore nazionale antimafia e deputato M5s, Federico Cafiero De Raho.

Di avviso opposto Nordio, secondo cui il ddl «è una svolta nel rafforzamento delle garanzie per gli indagati e una mano tesa ai pubblici amministratori, che non avranno più paura di firmare». Lo scivoloso tema della giustizia è quello su cui – paradossalmente – il centrodestra riesce ad allargare il consenso: il testo ha incassato con 199 voti il sì anche di Azione e Italia Viva, favorevoli anche alla separazione delle carriere.

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