Salvini ha definito «zecche rosse» i manifestanti di Bologna e ha chiesto lo sgombero degli spazi occupati. E ha attaccato le toghe, dopo i tentativi di distensione di Nordio
A una settimana dal voto in Emilia Romagna e Umbria, il vicepremier Matteo Salvini ha lanciato il suo affondo a tutto campo. Contro i centri sociali di Bologna, che sabato si sono scontrati con le forze dell’ordine mentre manifestavano contro il corteo di Casapound che voleva sfilare vicino alla stazione. E contro i giudici, accusati di fare politica e di boicottare le leggi. Per entrambi, il leader della Lega rispolvera l’aggettivo «comunisti».
Dopo i disordini di Bologna, la prima a intervenire è stata la premier Giorgia Meloni, che ha solidarizzato con le forze dell’ordine le quali hanno «affrontato i soliti violenti», scrivendo sui social che «spiace constatare che certa sinistra continui a tollerare e, talvolta, a foraggiare questi facinorosi anziché condannare apertamente questi episodi».
A infiammare il dibattito, però, è stata l’invettiva di Salvini, che in un video su Facebook ha definito i manifestanti «delinquenti rossi a caccia di poliziotti», «zecche rosse» e «comunisti». E dal palco di Perugia ha attaccato i centri sociali «occupati dai comunisti», chiedendo espressamente al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, «chiusura e una ricognizione di tutti i centri sociali di sinistra occupati abusivamente perché sono covi di delinquenti».
La linea dura è subito stata sposata dall’eurodeputato Roberto Vannacci e dal suo vice, Andrea Crippa: «I centri sociali sinistri e sinistroidi, covo di violenza e delinquenza, vanno chiusi per legge».
A distanza è intervenuto anche il sindaco di Bologna Matteo Lepore, il quale si era detto contrario al corteo di Casapound vicino alla stazione della città, che fu teatro delle bombe fasciste nella strage del 1980. «Ci hanno mandato 300 camicie nere, noi invece vorremmo ancora chiedere i fondi per l'alluvione». E ancora: «Non andava gestito così l'ordine pubblico», ha detto. Sabato anche la segretaria dem Elly Schlein, che era in piazza a manifestare con l’Anpi, aveva espresso dubbi sulla gestione della piazza e sul permesso del corteo di Casapound. Con un dubbio in più su quanto accaduto in piazza sollevato dalla segreteria nazionale del Silp Cgil, il sindacato di polizia, che ha denunciato che, guardando le immagini, si vede «uno dei leader dei movimenti di estrema destra dare ordini ai funzionari responsabili dell'ordine pubblico». Dunque qualcuno di Casapound o della Rete dei Patrioti. Un fatto, questo, su cui ha chiesto di far luce il deputato di Più Europa, Riccardo Magi.
Non c’è solo l’ordine pubblico e il rimestio in un lessico da prima repubblica, però. In attesa che oggi il tribunale di Roma decida sulla convalida dei trattenimenti dei nuovi migranti portati in Albania, Salvini è tornato a scagliarsi contro i giudici, proprio nel giorno in cui un tentativo di distensione era stato messo in atto dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha preso parte al convegno per i sessant’anni di Magistratura democratica.
«Quei giudici, pochi per fortuna, che invece di applicare le leggi le stravolgono e boicottano, dovrebbero avere la dignità di dimettersi, di cambiare mestiere e di fare politica con Rifondazione Comunista. Sono un problema per l'Italia», ha detto Salvini, riferendosi in particolare alla giudice del tribunale di Roma, Silvia Albano, che con una decisione collegiale aveva rigettato la prima richiesta di trattenimento dei migranti e che ora è sotto sorveglianza speciale per le minacce ricevute.
I giudici «comunisti»
Proprio lei, che è presidente di Md, ieri ha dialogato con il guardasigilli, che davanti agli ex colleghi ha ribadito che «Noi vogliamo il dialogo con la magistratura». Però, ha aggiunto, «mi auguro che nel confronto futuro ci sia sempre meno una critica della magistratura al merito politico delle leggi in Parlamento e un abbassamento di toni da parte della politica a criticare le sentenze». «Ringraziamo di cuore il ministro per aver scelto di partecipare, questo è il dialogo che vorremmo», è stato il commento di Albano. Visibilmente emozionata, è intervenuta proprio in risposta a Salvini, dicendo che «il fatto che chi cerca di applicare la Costituzione venga appellato come “giudice comunista” mi preoccupa molto per lo stato della nostra democrazia» e «noi non abbiamo in tasca né il libretto rosso di Mao né il Capitale di Marx, noi abbiamo in tasca la Costituzione».
Se a margine del convegno Albano ha auspicato di potersi sottrarre allo scontro («non ho nessuna intenzione di fare un scontro con il governo, è il governo che vuole farlo con me»), Salvini ha scelto la strada opposta. Dall’Umbria ha invitato i magistrati a lavorare e «se qualcuno non è d'accordo toglie la toga, abbraccia la bandiera rossa e si candida alle elezioni».In difesa dei magistrati invece è intervenuta Elly Schlein, che ha parlato di attacchi «gravi e inopportuni» e ha ricordato che «quando arriva una sentenza della Corte di giustizia europea i giudici non possono che applicare la legge».
L’invettiva di Salvini ha il sapore del preludio di uno scontro che rischia di rinfocolarsi oggi, se i giudici romani decideranno sui trattenimenti in Albania come già fatto dai loro colleghi.
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