L’imprenditore accusa i pm di Roma di illeciti disciplinari. L’ispettorato è prudente. Il compagno della nuova capa di gabinetto Bartolozzi era in affari con Ricucci
Il vero palazzo dei veleni del governo Meloni è ormai quello di via Arenula. Il ministero della Giustizia sta attraversando una complicatissima fase di scontro interno, che ancora una volta ha al centro la toga Giusi Bartolozzi, promossa a capa di gabinetto e in attesa del via libera del Csm, che mercoledì si riunirà per confermare il suo cambio di mansione.
Nuova questione che sta rendendo ancora più tesi i rapporti interni è un esposto che contiene nomi pesanti: da un lato quello dell’imprenditore Stefano Ricucci come proponente, dall’altro quello del procuratore aggiunto di Roma, Giuseppe Cascini, del sostituto Stefano Fava e della presidente di sezione del tribunale penale di Roma, Anna Maria Pazienza. Nei cassetti ministeriali dal 2022, vede su fronti opposti Bartolozzi e l’ispettorato generale, che ha funzioni di controllo su tutti gli uffici giudiziari. Con incroci peculiari, sia di natura economica che di parentela.
L’esposto che Domani ha potuto visionare è stato presentato da Ricucci al ministero della Giustizia il 16 dicembre 2022 e si riferisce a un procedimento penale iniziato nel 2016 in cui era imputato per corruzione in atti giudiziari. L’accusa era quella di aver corrotto un giudice con viaggi e serate pagate, per venire favorito in una controversia da 20 milioni di euro con l’Agenzia delle entrate.
Dopo il procedimento di primo grado, Ricucci ha presentato l’esposto per chiedere provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. L’accusa che ha rivolto a Cascini, che ha coordinato l’indagine, è che la prova decisiva a suo carico – ovvero gli accertamenti bancari sul conto del magistrato corrotto – sia stata acquisita in modo anomalo e scorretto.
Si legge in esposto che la difesa ha dimostrato che gli accertamenti bancari «non fossero stati formalmente acquisiti al fascicolo, ma che la procura fosse già a conoscenza di tutti i rapporti intestati o riferibili» al magistrato, perché quest’ultimo era già imputato in un altro procedimento penale sempre per fatti corruttivi. Di qui l’accusa ai pm di non aver allegato gli accertamenti bancari completi, ma di aver effettuato una «accurata selezione del materiale investigativo» per danneggiare la difesa che, con tutti gli atti a disposizione, avrebbe potuto far crollare l’impianto accusatorio.
L’altra anomalia segnalata è stata l’assegnazione del processo alla seconda sezione penale presieduta da Pazienza, richiesta espressamente da Fava al momento dell’esercizio dell’azione penale. Questo, secondo l’esposto, avrebbe violato la garanzia di imparzialità. Secondo Ricucci, inoltre, durante tutto il processo Pazienza avrebbe agito penalizzando la difesa, rigettando le istanze di nullità presentate dopo la scoperta che gli accertamenti bancari non erano stati acquisiti al fascicolo.
Lo scontro al ministero
Di questo esposto, però, non si è saputo nulla. Ora, però, è al centro di uno scontro interno al ministero. Ricucci ha scritto nuovamente nel gennaio 2023 per sapere se l’istruttoria interna fosse stata avviata e ha aggiunto una ulteriore informazione: «A capo dell’ispettorato generale vi è la dottoressa Maria Rosaria Covelli, la quale mi risulta parente, in quanto cugina, della dottoressa Pazienza», ovvero di una dei magistrati oggetto dell’esposto. A questa prima sollecitazione ne è seguita una seconda, di qualche mese fa, senza che nulla si sia mosso.
Secondo fonti ministeriali – anche al netto del rapporto di parentela evidenziato da Ricucci – l’ispettorato generale sarebbe scettico rispetto al contenuto dell’esposto e preferirebbe muoversi con cautela: inviare gli ispettori alla procura di Roma, infatti, aprirebbe uno scontro con uno degli uffici più importanti d’Italia.
Di diverso avviso, invece, sarebbe parte dello staff di Nordio. In particolare Bartolozzi, che ha un grande ascendente sul ministro che l’ha voluta promuovere nonostante i dubbi del sottosegretario Alfredo Mantovano e della stessa Meloni.
Anche nel suo caso, però, si pone un problema di opportunità in merito all’esposto contro la procura di Roma, con cui lo stesso Nordio ha duramente battibeccato qualche mese fa in merito all’affaire giudiziario che ha coinvolto il suo vice Delmastro. Il compagno di Bartolozzi, l’avvocato d’affari siciliano e attuale vicepresidente della regione Gaetano Armao, è stato infatti consulente legale proprio di Ricucci, con prestazioni professionali risalenti al 2012 in favore del trust “The Emperor”. Tanto che quel rapporto d’affari ha portato Armao a essere condannato in appello nel 2022 a versare 625mila euro di tasse non pagate all’agenzia delle entrate, su cui ora pende un ricorso in Cassazione.
Dentro via Arenula, tuttavia, la percezione è che Bartolozzi stia guadagnando sempre più spazio di influenza. Del resto, la magistrata è nota per le sue prese di posizione decise e politicamente temerarie. Avrebbe convinto lei Nordio a mandare gli ispettori alla procura di Milano “rei” di aver messo ai domiciliari il faccendiere Uss poi fuggito, e risulta a Domani che ci sia sempre Bartolozzi dietro l’idea di Nordio e Crosetto (che con la magistrata ha un ottimo rapporto) di chiedere una commissione d’inchiesta ad hoc sull’inchiesta di Perugia sul presunto dossieraggio. Una mossa, questa, che ha mandato su tutte le furie Meloni. Nordio, però, alla sua fedelissima non intende rinunciare.
© Riproduzione riservata