La separazione delle carriere tra giudici e pm è il tema che più ha impegnato il ministero della Giustizia e che sta tenendo banco da mesi in parlamento, dove ora è approdata in aula alla Camera con un testo di riforma costituzionale. In realtà, però, la vera questione che ha impegnato – e complicato – la giustizia nel lavoro quotidiano di tutti i suoi operatori, negli ultimi anni, è il processo telematico.

Meno politicamente scenografica ma certo più impattante per gli addetti ai lavori, la transizione dalle lunghe file in tribunale con plichi di carte al deposito degli atti in via telematica, attraverso piattaforme dedicate, è da anni una delle grandi scommesse di sistema giustizia. Ancora non vinta, però, nonostante il finanziamento in digitalizzazione di 133 milioni di euro, previsto dal Pnrr per raggiungere due obiettivi: dematerializzare quasi otto milioni di fascicoli e la realizzazione di un data lake che comprende anche un sistema di gestione e analisi dei processi civili e e penali.

Se il processo civile telematico è ormai una realtà esistente e rodata – anche se ancora funestata dai malfunzionamenti dei server ministeriali – il vero passo avanti, ancora non concluso, è quello del processo penale telematico. Ovvero la creazione di una piattaforma per la gestione degli atti del pm e della difesa e delle ordinanze e sentenze dei giudici, sia nella fase delle indagini preliminari sia del dibattimento.

Nelle ultime settimane, inoltre, sono esplose due emergenze che rischiano di paralizzare il lavoro.

Le firme digitali

La prima riguarda i dirigenti delle Corti d’appello, che hanno ricevuto una comunicazione ministeriale secondo cui, «a causa di una direttiva vincolante europea, i certificati di firma sulle CMG (Carte multiservizi della Giustizia) emesse prima di gennaio 2024, verranno revocati da autorità a partire dal primo gennaio 2025», con l’invito a dare «priorità al personale di magistratura ai funzionari delegati poiché maggiormente influenzati dal provvedimento».

Tradotto, i magistrati con le card vecchie non avranno più in uso la firma digitale, dunque non potranno utilizzare tutti i vari applicativi per cui è richiesta con il rischio di un blocco della maggior parte delle attività. Senza le CMG non è possibile depositare gli atti da remoto e dunque far funzionare il processo telematico.

Il ministero della Giustizia ha assicurato che le attività del processo civile telematico non subiranno interruzioni e che è in corso lo studio di rimedi o la sostituzione delle card, ma a oggi agli uffici delle corti non sono pervenute altre informazioni sulla proroga.

Di qui la grande agitazione, segnalata al guardasigilli Carlo Nordio anche dall’Anm. Mentre di «approssimazione, confusione, assenza di notizie e direttive chiare su una questione che è centrale per il lavoro quotidiano» ha parlato il gruppo delle toghe progressiste di Area. A oggi, il ministero ha garantito che le vecchie carte continueranno a funzionare finché non saranno sostituite, ma senza comunicazioni ufficiali.

Il processo penale

In acque non meno agitate si muovono i magistrati penali e gli avvocati penalisti. Di rinvio in rinvio, il processo penale telematico previsto dalla riforma Cartabia nel 2022 dovrebbe entrare definitivamente in vigore dal 1° gennaio 2025, ma la struttura digitale è tutt’altro che pronta.

Il problema si chiama APP – acronimo che sta per applicativo per il processo penale – che è l’applicativo del ministero per la gestione del processo. Negli mesi del 2024 che servivano per il rodaggio, APP ha avuto parecchi problemi di malfunzionamento tanto che a marzo dodici procure hanno chiesto di sospenderne l’utilizzo. Troppi i disguidi tecnici, causati da una progettazione iniziale del software che è stata definita non adeguata alla reale organizzazione degli uffici. Il Csm, a cui le procure si sono rivolte, ha parlato di «vizi progettuali da recuperare con urgenza».

Per sintetizzare con una battuta i problemi, durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2024, il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, ha detto che «il tanto annunciato processo penale telematico non è una realtà. Prima riuscivo ad archiviare un fascicolo in meno di 10 minuti, mentre oggi ci vogliono almeno 2 ore».

Il risultato è stato il rilascio, il 18 ottobre scorso, di APP 2.0 che ora è in uso sia nelle procure sia nei tribunali e che dovrebbe colmare le lacune segnalate dagli uffici giudiziari con l’aggiunta – secondo il ministero – di sistemi di ricerca dei fascicoli, la possibilità di lavorare in bozze e la visualizzazione del calendario udienze.

Via Arenula ha difeso l’applicativo, dicendo che «le nuove funzionalità saranno in grado di soddisfare le richieste manifestate dai magistrati durante la sperimentazione». Tuttavia, il ministero ha deciso di creare comunque un ulteriore cuscinetto: un regime di doppio binario, ovvero la possibilità che gli atti vengano depositati ancora sia in modalità cartacea sia telematica. Uno schema di decreto legge prevede, per i giudizi di primo grado «sino al 31 dicembre 2025», il deposito degli atti della procura e del gip e gli atti nei procedimenti cautelari e del giudizio del tribunale del riesame possano avvenire anche con modalità non telematiche.

Una proroga col doppio binario fino al 1° aprile 2025 è prevista per l’iscrizione delle notizie di reato e degli atti del rito per direttissima. Da subito, in modalità esclusivamente telematica, dovranno invece essere depositati «gli atti del processo nelle fasi dell’udienza preliminare, dei riti speciali (giudizio immediato, abbreviato, patteggiamento e decreto penale di condanna) e del dibattimento». In altre parole, e nonostante le scadenze del Pnrr, il pieno funzionamento del processo penale telematico è stato di nuovo rinviato, «così sarà possibile assicurare un congruo periodo di sperimentazione del Ppt anche nel corso del 2025».

La decisione deve passare al vaglio del Csm, il cui parere è obbligatorio, e proprio in questa sede, i grossissimi problemi del nuovo processo penale telematico, sono stati fotografati: si arranca in tecnologia, assistenza e formazione degli operatori. Bene dunque le proroghe, ma chi attivamente sta utilizzando gli strumenti digitali spiega che, anche per quei flussi ridotti per i quali l’obbligatorietà scatterà dal 1° gennaio come per i procedimenti per rito direttissimo, «non è stata fatta alcuna sperimentazione negli uffici».

Il segretario di Area, Giovanni Zaccaro, si è fatto portatore di questa preoccupazione: «La tecnologia deve essere al servizio della giustizia, per renderla più efficace. Ma servono programmazione, investimenti e formazione degli operatori. Su tutto questo, da tempo il ministero latita. Forse, invece che a riformare la magistratura, Nordio dovrebbe preoccuparsi di fare funzionare meglio la macchina della giustizia».

Secondo fonti ministeriali, a rendere così farraginoso il passaggio – l’ultimo blocco di tutti i sistemi operativi di giustizia, e anche di Italgiure, è avvenuto il 17 dicembre su tutto il territorio nazionale – è stato anche l’avvicendamento al vertice della Dgsia, la struttura chiamata a guidare la trasformazione digitale.

Il direttore generale Vincenzo De Lisi, ingegnere esperto del settore e scelto nel 2021 per gestire il processo, si è dimesso nell’ottobre scorso per dissidi – sempre secondo le ricostruzioni interne – con la capa di gabinetto del ministro, Giusi Bartolozzi. Oggi la gestione dei servizi informatici è stata affidata a una società esterna. Per i magistrati e gli avvocati si apre dunque un 2025 pieno di incognite. In attesa di risposte da parte del ministero, ormai destinate al nuovo anno.

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