- Nonostante l’approccio morbido, elegante e amicale che la contraddistingue, però, la procuratrice generale di Milano Francesca Nanni incombe con sempre maggiore pesantezza nella durissima partita giudiziaria che sta dividendo la procura guidata da Francesco Greco.
- La guerra che contrappone i pm Paolo Storari ai colleghi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, tutti indagati dalla procura di Brescia con varie ipotesi di reato che vanno dalla rivelazione di segreto istruttorio al rifiuto di atti d’ufficio.
- Da qualche settimana, infatti, quando si parla dei fascicoli della Pedio, in molti usano la parola “avocazione”.
Non pretende il “lei” dai magistrati con i quali ha un rapporto frequente, optando per un democratico “tu” che vorrebbe accorciare le distanze. Non si nasconde dietro l’oscuro linguaggio tecnico giuridico quando discute di legge e procedura penale con chi non è del suo mestiere. Nonostante l’approccio morbido, elegante e amicale che la contraddistingue, però, la procuratrice generale di Milano Francesca Nanni incombe con sempre maggiore pesantezza nella durissima partita giudiziaria che sta dividendo la procura guidata da Francesco Greco. La guerra che contrappone i pm Paolo Storari ai colleghi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, tutti indagati dalla procura di Brescia con varie ipotesi di reato che vanno dalla rivelazione di segreto istruttorio al rifiuto di atti d’ufficio.
Nei suoi primi mesi da procuratrice generale nel capoluogo lombardo – prima donna nel suo ruolo a Milano – non la si è vista e sentita molto. In questo distretto giudiziario non ha mai lavorato come pubblico ministero o come giudice, e quindi aveva la necessità di prendere le misure di un ambiente certamente non semplice. Ma è scesa in campo subito con la volontà di giocare la propria partita quando è esplosa la battaglia dopo le assoluzioni del processo Eni-Nigeria. E desso punta a quello che è il bersaglio grosso in questo momento: le inchieste milanesi nate dal presunto depistaggio ai danni dei pubblici ministeri che hanno investigato in questi anni sugli affari di Eni in Africa. Un obiettivo che la contrappone a un’altra donna magistrato molto in vista a Milano, la procuratrice aggiunta Laura Pedio. Ovvero la titolare unica di quei fascicoli su cui si è consumato il “tradimento” di Paolo Storari, il collega con cui stava indagando che, nell’aprile del 2020, ha rivelato il contenuto dei famosi verbali sulla “loggia Ungheria” dell’ex avvocato Eni Piero Amara.
L’avocazione
Da qualche settimana, infatti, quando si parla dei fascicoli della Pedio, in molti usano la parola “avocazione”. Si tratta dell’atto con il quale la procura generale – cioè la Nanni – può sottrarre alla procura della Repubblica un’inchiesta, sotto precise condizioni stabilite dal codice di procedura penale. La condizione che interessa qui è l’inerzia del pm che non decide cosa fare di un fascicolo quando sono scaduti i termini per poter indagare, lasciando trascorrere invano il tempo. E tempo vuol dire prescrizione che corre. In questo caso la procura generale può richiamare a sé quel fascicolo e decidere il suo destino uscendo dal limbo, tanto più se a chiederlo è l’autore di una denuncia o di un esposto, com’è stato in questo specifico caso con l’esposto di un avvocato al centro di un caso di presunta calunnia.
Succede talvolta. E a Milano negli ultimi anni è capitato in due casi celebri: per il secondo troncone del processo Monte dei Paschi sul falso in bilancio legato ai derivati Santorini e Alexandria, con gli imputati Alessandro Profumo (ora amministratore delegato di Leonardo Finmeccanica) e Fabrizio Viola, e per una firma apposta su verbali retrodatati dall’allora commissario all’Expo Beppe Sala, attuale sindaco di Milano. In tutti e due i casi la procura aveva chiesto l’archiviazione e l’intervento del procuratore generale dell’epoca – Roberto Alfonso – aveva consentito il rinvio a giudizio per tutti gli indagati, che sono stati poi condannati in primo grado. Nel caso di Sala è intervenuta la prescrizione in appello che lo ha tolto da ogni imbarazzo.
La strada delle archiviazioni non sembra essere, però, quella che intende imboccare il pm Pedio. Quantomeno non per tutti gli indagati dei vari tronconi nei quali è stata suddivisa questa maxi indagine, partita nel 2017. Al contrario, proprio qualche giorno fa, un primo stralcio dell’inchiesta si è chiuso con sei indagati per calunnia e altri reati di ostacolo alla giustizia. Secondo l’accusa Piero Amara, insieme all’ex dirigente Eni Vincenzo Armanna e altri, avrebbero cercato di fermare il pm Fabio De Pasquale, l’artefice delle inchieste africane sulla multinazionale petrolifera. Questo perché il magistrato siciliano aveva iniziato a interessarsi di falsi esposti depositati a Trani, passati poi a Siracusa e arrivati a Milano. Esposti che mettevano in cattiva luce alcuni componenti del consiglio d’amministrazione della società guidata da Claudio Descalzi.
Doppio ruolo
Perché riflettere a voce alta sull’avocazione dei fascicoli del pm Pedio? Se la procura vuol procedere, seppur con tempi che appaiono dilatati, l’avocazione finisce per avere l’odore della censura e non della rivincita della giustizia sull’accidia di chi deve indagare. Il sospetto viene tanto più che la stessa procura generale, lo scorso marzo, ha parlato di «spreco di denaro pubblico» per le inchieste Eni di De Pasquale. A dirlo è stata la pg Celestina Gravina durante il processo di appello per corruzione nei confronti degli intermediari dell’affare nigeriano Opl 245 Gianluca Di Nardo ed Emeka Obi, tutti e due assolti dopo essere stati condannati in primo grado. Assolti, peraltro, come gli imputati del processo principale con una motivazione del tribunale che riconosce la possibilità di una tangente ma punta il dito contro i pm che sarebbero stati incapaci di portare le prove piene per la condanna.
Se anche non potrà avocare, la Nanni vuole comunque esaminare quei fascicoli, tanto che ha chiesto al procuratore Greco l’accesso a parte degli atti, che le sono stati da poco inviati. È un video in particolare che le interessa, girato da Piero Amara con la presenza di Armanna, di cui la procuratrice ha avuto «notizia» tramite la stampa e che è stato utilizzato dal tribunale di Milano nella sentenza Eni Nigeria per attaccare i pm. Rei di non averlo depositato nel processo, almeno finché non è stato chiesto dalle difese, dando evidenza alla poca credibilità dell’imputato grande accusatore Vincenzo Armanna.
La Nanni (poco) pazientemente resta in attesa degli eventi e la cosa non deve farle piacere, almeno a ripensare a ciò che aveva detto durante l’apertura dell’anno giudiziario dello scorso gennaio quando aveva pubblicamente auspicato che «sarebbe molto utile per il procuratore generale accedere direttamente agli atti precedentemente scannerizzati dei procedimenti potenzialmente avocabili, invece di chiedere il fascicolo in visione», specificando poi in un’intervista a Repubblica che l’avocazione «non va vista in un’ottica di scontro, di controllo, o peggio ancora punitiva, tra uffici di primo e secondo grado». In realtà la situazione sembra quella di un magistrato che voglia giocare, al tempo stesso, il ruolo di procuratrice generale e quello di procuratrice della Repubblica.
Ma c’è un’altra Nanni di cui si sa ancora troppo poco. Quella convocata «d’urgenza» qualche settimana fa dalla prima commissione del Csm, che decide sui profili disciplinari dei magistrati e sulle incompatibilità ambientali. L’argomento, anche in questo caso, i pm legati alla battaglia interna alla procura. Che piega avrà preso l’audizione? Si profila all’orizzonte l’allontanamento di qualcuno? In questi giorni sentirà anche gran parte dei procuratori aggiunti di Milano e una parte dei sostituti. Ci sono decisioni da prendere e c’è da discutere la posizione del pm Paolo Storari, per il quale il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi ha chiesto l’allontanamento da Milano. Tanti pm e alcuni giudici hanno firmato un appello in suo sostegno. Chissà se basterà a evitargli una sanzione disciplinare. L’inquietudine resta sempre molto alta al palazzo di Giustizia di Milano.
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