Gli argomenti sono: separazione delle carriere; elezione al Csm; responsabilità diretta dei magistrati; abolizione della legge Severino; limite alla custodia cautelare; equa valutazione dei magistrati
Il 4 giugno 2021 la Lega e il partito radicale hanno depositato in Cassazione i sei quesiti referendari sulla giustizia, pubblicati anche in Gazzetta Ufficiale.
Il 2 luglio inizierà la raccolta firme: ne servono 500 mila, ma il leader della Lega Matteo Salvini punta a raccoglierne il doppio entro settembre e ha mobilitato tutto il partito.
Ecco i sei quesiti.
Elezione al Csm
Per candidarsi a venire eletto al Consiglio superiore della magistratura, un magistrato deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme. Il quesito chiede di abrogare il vincolo del numero di firme.
La ragione è che, secondo i proponenti, la raccolta di firme obbliga necessariamente il candidato a venire a patto con i gruppi associativi. Eliminandole, invece, ogni magistrato potrà liberamente candidarsi senza alcun condizionamento.
Responsabilità diretta dei magistrati
Attualmente il cittadino che si sia sentito leso nei propri diritti dalla condotta del magistrato nel processo non ha diritto di chiamarlo in causa civilmente in modo diretto, ma deve citare lo Stato che poi si può rivalere sul magistrato.
Il quesito referendario prevede di abrogare una parte della legge n.117 del 1988, negli articoli un cui prevede che il magistrato non possa essere chiamato direttamente in causa in un giudizio civile.
Equa valutazione dei magistrati
I magistrati devono essere valutati ogni quattro anni in merito alla loro condotta professionale. Questo avviene nel consiglio direttivo della Corte di Cassazione e nei Consigli giudiziari di ogni distretto.
In questi organi sono presenti anche dei componenti laici, avvocati e professori universitari, ma sono esclusi dal diritto di tribuna e di voto quando si tratta delle valutazioni dei magistrati.
Il quesito prevede che la compone laica possa esprimersi sulla qualità del lavoro delle toghe.
Su questo tema ci sono state proposte di emendamento all’interno del ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario ed ha avuto luogo anche un duro dibattito anche dentro l’Associazione nazionale magistrati, che ha approvato un documento contrario.
Separazione delle carriere
Attualmente i magistrati requirenti (i pubblici ministeri) e i giudicanti seguono lo stesso percorso per entrare in magistratura e, nel corso della carriera, possono passare da un ruolo all’altro per un massimo di quattro volte.
Secondo i proponenti, questo crea contiguità tra figure e rischia di generare un corporativismo incompatibile con il principio della terzietà del giudice e della decisione nel contraddittorio tra le parti, in situazione di parità tra accusa e difesa.
Per questo il quesito punta a stabilire che il magistrato, una volta scelta la funzione, non possa più passare all’altra.
Su questo punto la contrarietà è di quasi tutta la magistratura: il dibattito è in corso da più di vent’anni.
Limiti della custodia cautelare in carcere
Attualmente il pubblico ministero può disporre la custodia cautelare in carcere nella fase delle indagini preliminari, nel caso in cui esistano gravi indizi di colpevolezza sommati a pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato e pericolo di inquinare le prove. La misura deve essere convalidata dal giudice delle indagini preliminari e deve essere disposta solo nel caso in cui le misure meno afflittive (come gli arresti domiciliari o l’obbligo di firma) non siano sufficienti a prevenire il pericolo.
Il quesito referendario punta a limitare la possibilità di ricorrere alla carcerazione preventiva prima della sentenza definitiva.
Abrogazione della legge Severino
La legge Severino prevede che, in caso di condanna anche solo di primo grado per alcune specifiche ipotesi di reato – in particolare quelle contro la pubblica amministrazione – scatti immediatamente anche la sanzione accessoria dell’incandidabilità alla carica di parlamentare, consigliere e governatore regionale, sindaco e amministratore locale.
Il quesito punta ad abolire la norma, lasciando quindi al giudice la decisione di comminare, in aggiunta alla sanzione penale, anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
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