Il ddl sull’ordinamento giudiziario è l’ultimo dei tre pilastri del Pnrr nel capitolo giustizia, ma la riforma più delicata per gli equilibri interni tra le istituzioni è ancora tutta da scrivere.

O meglio: esistono il testo lasciato dal precedente governo e la relazione degli esperti presieduta dal costituzionalista Massimo Luciani. A mancare, però, sono gli emendamenti della ministra Marta Cartabia che equivalgono a una sostanziale riscrittura del testo di partenza a partire dagli spunti della commissione Luciani.

I cambiamenti principali riguardano i nuovi metodi per le nomine agli incarichi direttivi e semidirettivi, regole stringenti per il passaggio dalla magistratura alla politica e il nodo della legge elettorale per il Csm. La commissione ha consegnato la sua relazione il 31 maggio, ma da via Arenula si sa solo che Cartabia sta lavorando a partire da quel testo, senza alcuna data precisa per il deposito degli emendamenti. Proprio questo sta mettendo in agitazione i gruppi associativi della magistratura.

La ragione è legata ai tempi: secondo il Pnrr, la legge di delega al governo deve essere approvata entro la fine dell’anno, mentre entro fine 2022 si attendono i decreti delegati. La prima prova del nuovo sistema elettorale del Csm sarà immediata, visto che l’attuale consiglio scade nel luglio 2022.

Ecco quindi il timore: che la corsa contro il tempo produca l’effetto di tagliare drasticamente i tempi di gestazione della riforma, su cui si teme un accordo della politica in modo da rispettare le scadenze ma senza che la magistratura venga debitamente ascoltata. Con il risultato di una riforma prodotta dalla politica e dagli apparati ministeriali vicini alla ministra, poco condivisa con le altre componenti delle toghe. Proprio per questo le critiche più dure arrivano dai gruppi associativi che meno sarebbero rappresentate nel cerchio stretto di Cartabia: al ministero, infatti, la componente più forte sarebbe quella delle toghe progressiste di Area.

Il sospetto proviene dalle toghe conservatrici di Magistratura indipendente, la corrente tra le più colpite dallo scandalo Palamara ma che sta progressivamente riconquistando la sua base elettorale e ha vinto due dei quattro seggi per i quali si sono celebrate le elezioni suppletive del Csm. Attualmente, tra le correnti si sta riproducendo una dinamica polarizzata tra Area e Magistratura indipendente e la riforma elettorale proposta dalla commissione Luciani gioverebbe in particolare ad Area, che ha portato nella sua orbita la corrente centrista di Unità per la costituzione, oggi in crisi di consensi.

La riforma elettorale

«Stanno tentando di isolare Mi con una legge elettorale che favorisca l’accordo tra Area e Unicost. E più la ministra aspetta a presentare gli emendamenti, meno tempo ci sarà per intervenire per sventare la trappola», sintetizza un alto magistrato del gruppo conservatore. L’ipotesi articolata nella proposta della commissione Luciani prevede l’aumento dei consiglieri da 20 a 24, il sistema è proporzionale e prevede la candidatura di singoli e non più di liste. Viene definito del “voto singolo trasferibile” perché crea più collegi plurinominali in cui gli elettori indicano almeno tre candidati in ordine di preferenza.

Per essere eletti bisogna prendere un numero minimo di voti fissato con una formula che mette in relazione il numero di voti e quello dei seggi. Al primo spoglio si assegnano i seggi a chi raggiunge la soglia richiesta con le prime preferenze ricevute; se rimangono seggi non assegnati si effettua un secondo spoglio, con cui si ripartiscono le schede che indicano il candidato più votato come prima preferenza, assegnandole in base alle seconde preferenze. E poi alle terze, se ci sono ancora seggi vuoti.

«Un sistema che si presta alla elaborazione di “cordate” e dunque a condizionamenti di voto, frutto di accordi correntizi», si legge in un documento ufficiale di Mi. Per Cartabia, quindi, si apre una fase complicata di corsa contro il tempo per presentare gli emendamenti. Ma soprattutto una fase di necessario ascolto interno, per evitare il rischio di essere considerata ministra di parte e finire sotto attacco delle toghe.

 

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