- Il settore legale resiste alla rivoluzione digitale. Ma questo non significa che la tecnologia non sia già profondamente penetrata e lo sviluppo di sistemi di Intelligenza Artificiale applicati in campo legale è tuttavia destinato a rivoluzionare il quadro.
- Entro certi limiti, attraverso l’analisi dei precedenti e dei pattern, l’IA può addirittura anticipare l’esito di un giudizio. Uno sviluppo che incontra in Italia alcuni ostacoli, tra cui la non vincolatività dei precedenti e la sostanziale libertà di proporre appello.
- In questa rivoluzione, che avverrà, avranno successo coloro che sapranno integrare servizi e prodotti legali, rendendo la propria offerta specialistica e multidisciplinare, business-friendly e innovativa, sia nella forma sia nel contenuto.
Il settore legale, tutt’altro che incline al cambiamento, resiste anche alla rivoluzione digitale. Gli avvocati lavorano nello stesso modo da anni, da secoli, nella loro trincea di parole, e, se dipendesse da loro, forse continuerebbero così.
Ciò non significa che la tecnologia non è penetrata nel loro mondo, bensì che, quando ciò è avvenuto, è stato attraverso piccole addizioni incrementali, che hanno innestato elementi di automazione in una pratica che è rimasta nel solco della tradizione (salvo che per l’uso dei social, ma questo è un altro tema). Del resto, se si pensa al processo telematico e al modo estemporaneo e soggettivo in cui viene implementato dagli uffici, si può persino provare un briciolo di nostalgia per le cartelline Manila e le code in cancelleria.
Un mercato nazionale estremamente frammentato, una certa avversione al rischio e le limitate capacità di investimento aiutano a spiegare il ritardo rispetto ad altri settori.
Come è avvenuto in altri settori, lo sviluppo di sistemi di Intelligenza Artificiale applicati in campo legale è tuttavia destinato a rivoluzionare il quadro. Questo sviluppo avviene prevalentemente fuori dagli studi legali, da parte di società di IT che si specializzano in LegalTech e si propongono come partner e fornitori degli studi, in modo che questi ultimi incorporino le soluzioni tecnologiche e di IA nell’offerta tradizionale ai clienti, sul presupposto che costoro preferiscano continuare a rivolgersi a un avvocato in carne e ossa.
Per certi lavori, le macchine sono ormai più veloci e molto più efficienti del migliore dei professionisti: oltre a permettere la ricerca nelle banche dati a caccia del precedente rilevante, l'IA può affrontare e risolvere questioni legali seriali e ripetitive (quesiti generici su temi di compliance, a cui può rispondere un bot; i contratti standard da customizzare) e soprattutto analizzare quantità enormi di documenti (interi archivi digitali) al fine di reperire informazioni specifiche o individuare pattern comportamentali e deviazioni da questi, rilevanti in quanto indicativi di comportamenti illeciti o altre anomalie, o costituenti prova nel processo.
Entro certi limiti, attraverso l’analisi dei precedenti e dei pattern, l’IA può addirittura anticipare l’esito di un giudizio, portandoci più vicini all’ideale della calcolabilità giuridica, cioè la previsione/prevedibilità di come la legge verrà applicata al caso concreto. Uno sviluppo che incontra in Italia alcuni ostacoli, tra cui la non vincolatività dei precedenti e la sostanziale libertà di proporre appello, senza considerare la lentezza della macchina burocratica e un certo modo barocco di ragionare e di scrivere, anche e soprattutto negli atti giudiziari e nelle sentenze.
Legge e macchine
In questo quadro già profondamente mutato occorre dunque chiedersi: se le ricerche, la compilazione di documenti legali, la risposta a quesiti non complessi e l’analisi documentale (a fini di due diligence o di reperimento di prove) possono essere svolte da una macchina in meno tempo e con un margine di errore prossimo allo zero, perché dovrebbe continuare a occuparsene un avvocato ?
La risposta finora è stata: perché i clienti glielo chiedono e purtroppo non sempre l’avvocato ha attività più sofisticate e creative da svolgere; il suo lavoro è sempre stato (anche) questo. Del resto, è proprio su tale terreno che i giovani sono richiesti di cimentarsi nella più o meno lunga fase dell’apprendistato e si fanno le ossa.
A questo punto, urge l’ulteriore domanda: fino a quando un cliente continuerà a pagare un avvocato per svolgere il lavoro che può fare una macchina ?
Fino a quando il cliente non vorrà/potrà investire direttamente nello sviluppo o nell’acquisto della macchina o comunque fino a quando riterrà di aver bisogno di un intermediario umano qualificato (con skill legali) tra sé e la macchina. O ancora, fino a quando la macchina non disporrà di un interfaccia user friendly e di un brand professionale che dia al cliente le stesse garanzie di affidabilità del titolo di avvocato e del brand di una law firm.
In attesa che ciò avvenga (perché avverrà), quello che è certo è che già ora il cliente è disposto a pagare sempre meno il lavoro compilativo e ripetitivo che il suo avvocato può affidare alla macchina o che, comunque, qualcuno nel mercato è in grado di offrire a un prezzo da “lavoro fatto a macchina”. Naturalmente, questa caratteristica non deve neppure essere dichiarata: circolarmente, è insieme la causa e l’effetto della pressione sui prezzi.
Come in tutti gli ambiti della società e dell’economia, anche in quello legale l’emergenza Covid irrompe come un formidabile acceleratore dei processi evolutivi in atto.
Così – e pur in presenza di bisogni legali del tutto inediti e spesso di portata sistemica, generati proprio dalla pandemia - la ridotta capacità di spesa dei clienti e la forzata riorganizzazione del loro lavoro stanno imponendo anche un profondo ripensamento del modello di business degli studi legali, cui solo chi conserva una dimensione prettamente artigianale e si può riparare in una nicchia del mercato (geografica o di specializzazione) potrà forse sfuggire.
La tempesta perfetta
E’ facile prevedere a questo punto che la concomitanza di automazione e radicale (e probabilmente irreversibile) riduzione delle interazioni personali che non siano mediate da una piattaforma digitale condurranno a una progressiva “dematerializzazione” dello studio legale d’affari, inteso come luogo fisico sotto un insegna, in cui avvengono le normali interazioni avvocati-clienti e all’interno del team degli avvocati al fine di rendere ai clienti l’assistenza richiesta. Luogo in cui, tra l’altro, si realizza, nelle ipotesi virtuose, la fondamentale trasmissione dell’esperienza tra avvocati formati e avvocati in formazione.
Come salvarsi da quella che potrebbe apparire una tempesta perfetta?
Inutile illudersi che la transizione possa avvenire senza traumi e che non vi sia un prezzo da pagare, a livello individuale. Come spesso accade, questo prezzo non sarà ripartito in proporzione a una qualche capacità contributiva, ma graverà in massima parte sui soggetti deboli, cioè i giovani in corso di formazione, che troveranno meno sbocchi, i grandi con difficoltà di adattamento ai cambiamenti radicali, e il personale meno qualificato.
A livello di organizzazioni, occorre riconoscere che tutte, in questi anni, hanno migliorato la comunicazione e si presentano oggi al mercato come dinamiche, innovative, agili, digitalizzate e, da ultimo, sostenibili. Resta da vedere se il cambiamento abbia inciso in profondità.
Come può essere davvero questo cambiamento?
Rispetto alla parte del lavoro automatizzato o automatizzabile, agli studi non resterà che decidere se abbandonarlo, in quanto non più conveniente in termini di redditività, o incorporarlo nei propri processi e prodotti. Chi deciderà di abbandonarlo, dovrà essere ben sicuro di potersi poi concentrare sul lavoro a alto valore aggiunto non automatizzabile, e perciò più raro e conteso.
Chi deciderà di mantenerlo, dovrà necessariamente riorganizzarsi per fronteggiare l’inevitabile ulteriore riduzione della marginalità. Il posizionamento di mercato che deriverà da questa scelta potrà tuttavia rendere difficile competere per il lavoro più complesso (e meglio pagato).
I più, per mantenere o guadagnare quote di mercato, continueranno quindi a cercare il difficile equilibrio tra efficienza e contenimento dei costi, da un lato, e reputazione del brand (personale o della law firm).
Il segreto è nell’integrazione
Avranno successo coloro che sapranno integrare servizi e prodotti legali, rendendo la propria offerta specialistica e multidisciplinare, business-friendly e innovativa, sia nella forma sia nel contenuto.
Soprattutto, avranno la meglio i singoli e le organizzazioni che, pur in un contesto di studio “leggero”, sapranno valorizzare quegli aspetti dell’attività legale in cui nessuna forma di Intelligenza Artificiale potrà soppiantare l’uomo, che sono poi gli aspetti della cura della persona-cliente e del rapporto con lui, dell’empatia, della capacità di leggere i fenomeni della realtà e i comportamenti, non solo per rilevarvi dei pattern, ma per coglierne il senso profondo, che per un avvocato vuol dire individuare in filigrana la questione giuridica che quei fenomeni e comportamenti pongono e - grazie alla conoscenza dei precedenti e delle migliori prassi, e, quando ci sono, al talento e all’esperienza - trovare la soluzione, da raggiungere, nei casi complessi, attraverso l’elaborazione di una strategia e l’individuazione di un percorso.
Questo non vuol dire affatto che la vena del business legale è destinata necessariamente a inaridirsi. Anzi, il cambiamento in atto crea nuove opportunità a chi sa reiventarsi (o inventarsi ex novo), discostandosi dai modelli obsoleti.
Accanto ai legali di formazione tradizionale nascono infatti nuove figure capaci di interagire con i sistemi di Intelligenza Artificiale e istruirli, traducendo nel loro linguaggio gli input provenienti dal cliente (l’esposizione del suo problema, la sua narrazione extra-giuridica). Saranno richiesti business professional (avvocati, ma anche designer e comunicatori) capaci di tradurre in forme più immediate e accessibili (e perché no, in grafica e video: è il legal design) i concetti talvolta astrusi del diritto e della giustizia. Data analyst sapranno trovare nelle masse di dati i significati profondi che l’avvocato cerca di solito nel particolare del singolo caso.
E poi, la nuova realtà pone numerose questioni giuridiche inedite in campi come il diritto del lavoro, la protezione dei dati personali, la gestione dei rischi aziendali e le responsabilità delle imprese e degli esponenti aziendali, a cominciare dai vertici.
Si pensi alla necessità di regolamentare lo smartworking o il lavoro da casa, nonché all'uso delle piattaforme digitali da parte dei dipendenti, o ancora alla raccolta, alla conservazione e all’utilizzo dei dati generati da queste piattaforme. O al sempre crescente rischio di attacchi informatici. O, ancora, all’uso dell'Intelligenza Artificiale e alla responsabilità connessa ai bias, a cui nemmeno L’Intelligenza Artificiale è immune. E, infine, alle nuove sfide della sostenibilità e del cambiamento climatico. Tutti temi che, evidentemente, impegnano i vertici delle aziende nella soluzione di questioni epocali e richiedono assistenza legale all’altezza.
Tutto sommato, è un buon momento per fare l’avvocato, se non pretendi di farlo come se fossi ancora nel Novecento.
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