Sull’ipotesi della sua sospensione ci sono due versioni confliggenti di interpretazione del codice di procedura penale
Dopo lo scandalo Palamara & Company (2019) davvero difficile raddrizzare il «legno storto della Magistratura» (G. Zagrebelsky), se nessuno le risparmia poderose sciabolate.
Il 25 luglio 2023 la Sezione Disciplinare del Csm condanna la giudice Maria Fascetto Sivillo alla perdita dell’anzianità per un anno, fissando il termine di 90 giorni per il deposito della decisione, pubblicata invece il 24 maggio 2024 (sent. n. 36/2024). Relatrice del pro-cedimento, e quindi destinata a scrivere la sentenza, è l’avv. Rosanna Natoli (nominata al Csm dal Parlamento), Vice presidente della S.D. Il 3 novembre 2023, allorché la sentenza non era stata depositata, ella decide d’incontrare la Fascetto a Paternò in presenza di testimoni. Il tenore assai compromettente della discussione è stato registrato celatamente dalla dott.ssa Fascetto su una ‘pennetta’ (dispositivo di archiviazione digitale) che, consegnata al Csm, è stata trasmessa al Procuratore della Repubblica capitolino, il quale perciò sta indagano per abuso d’ufficio e violazione del segreto camerale.
La Natoli ha disertato l’invito a comparire davanti al Procuratore della Repubblica. L’addebito di abuso è caduco perché il 25 agosto 2024 è entrata in vigore l’abrogazione espressa del reato. La violazione del segreto sembra sussistere perché ai sensi dell’art. 125, 4° c.p.p., richiamato dall’art. 18, 4° D. lgs. n. 109 del 2006, anche la deliberazione della sentenza disciplinare è segreta. E per altro la stessa Natoli è stata registrata mentre esplicitamente ammetteva la violazione.
Ne scaturiscono molteplici interrogativi. Innanzi tutto, la Natoli si è ‘dimessa’ esclusivamente dalla Sezione Disciplinare, di cui è Vicepresidente.
Ma non può farlo legittimamente, perché l’accettazione della carica di consigliere del Csm non consente di escludere ad libitum taluna delle ‘funzioni’ che fanno parte dell’unitario e complesso munus pubblico: «Il Consiglio superiore determina i criteri per la sostituzione dei componenti della se-zione disciplinare, che può essere disposta solo in caso di incompatibilità, di astensione o di altro motivato impedimento » (art. 4 della L. 24 marzo 1958, n. 195). Sebbene sia previsto un membro supplente, il rifiuto di partecipare alla programmata attività della Sezione Disci-plinare potrebbe rilevare ai sensi dell’art. 328 c.p. e potrebbe causare lo stallo della S.D. o dello stesso Csm (art. 340 c.p.).
Ma è soprattutto sulla definitiva soluzione dell’incresciosa vicenda che divergono le opinioni. L’interprete deve fare i conti con l’art. 37 della L. 24 marzo 1958, n. 195, secondo cui ‘soltanto’ il Csm ‘può’ sospendere dalla carica la Natoli, sempre che essa sia sottoposta a procedimento penale per delitto non colposo (qual è per l’appunto l’art. 326 c.p.).
La sospensione è deliberata a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi dei compo-nenti del Csm Conseguirebbe poi la decadenza di diritto - nonché la sostituzione ad opera del Parlamento - se l’avv. Natoli fosse condannata con sentenza irrevocabile per delitto non colposo. È norma di garanzia a tutela dell’indipendenza dei membri del Csm e quindi dell’Ordine giudiziario, escludendo così che il Procuratore della Repubblica, dopo l’interrogatorio, sia legittimato a chiedere al giudice la sospensione della Natoli dall’esercizio dell’ufficio, come previsto in generale dall’art. 289, 2° c.p.p.
Occorre innanzi tutto che il P.M., dopo avere completato le indagini, abbia esperito l’azione penale per reato non colposo. L’art. 78 del codice di rito Rocco, vigente nel 1958, definiva l’imputato «come colui al quale in un atto qualsiasi del procedimento viene attribuito il reato», ma illuminata dottrina (F. Cordero) attribuiva detta qualifica soltanto alla persona nei cui confronti è stato instaurato il processo, perché, «in senso tecnico ‘imputato’ è termine correlativo ad ‘azione’».
Questa interpretazione collima perfettamente con la dizione letterale e lo spirito del citato art. 37, che seleziona perfino il reato rilevante all’effetto della sospensione. Perciò, sebbene l’art. 78 cit. sia stato sostituito dal codice di rito attuale (e abrogato espressamente dal d.lgs. 13 dicembre 2010, n. 212), nulla sembra opporsi all’operatività della causa di sospensione (facoltativa) dalla carica essendo, per un verso, chiarissimo l’intento del legislatore del 1958 e, per altro verso, non solo puntuale, ma perfino compatibile con la vigente definizione d’imputato, la fattispecie sospensiva. La riferita ratio e la prevalenza sistemica dell’art. 37 della L. 24 marzo 1958, n. 195 comportano perciò che il Csm possa sospendere dalla carica l’avv. Natoli soltanto dopo che sia stata esperita l’azione penale nei suoi confronti. Il che, nella fattispecie in esame potrebbe – e forse dovrebbe ai sensi degli artt. 60 e 453 c.p.p. – avvenire con il tempestivo giudizio immediato, essendo più che evidente la prova.
Taluni interpreti fanno capo invece all’art. 335 bis c.p.p. (introdotto dal D. lgs. n. 150 del 2022, Riforma Cartabia), secondo cui – a garanzia della presunzione di non colpevolezza - la «mera iscrizione» nel registro degli imputati noti non è sufficiente per de-terminare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa a carico dell’avv. Natoli, non mancandosi di precisare che tali effetti conseguono all’emissione di una misura cautelare personale ovvero all’esercizio dell’azione penale (art. 110-quater disp. att. c.p.p.).
Aggiungono però – sulla scorta anche della esplicita relazione al citato D. lgs. del 2022 - che, atteso il tenore letterale della disposizione (che nega rilievo soltanto alla «mera iscrizione»), il Csm dovrebbe valorizzare le molteplici e straordinarie abnormità della vicenda, che colorano negativamente la «mera iscrizione», per sospendere l’avv. Natoli immediatamente, cioè anche prima che sia promossa l’azione penale.
L’accoglimento di questa tesi consentirebbe al Csm di superare subito lo stallo in cui versa. Ma essa non sembra condivisibile giacché, mentre proprio la Riforma Cartabia ribadisce a livello di principio la centralità dell’azione penale come atto transitivo conseguente all’indagine penale, trascura la specificità dell’art. 37 della L. 24 marzo 1958, n. 195, che in sede propria e assai ragionevolmente subordina la sospensione della Natoli non alla mera iscrizione a mod. 21, ma all’esercizio dell’azione penale. D’altronde, a proposito dell’analoga previsione della so-spensione cautelare disciplinare (ora prevista dall’art. 22 del D. lgs. n. 109 del 2006), ne è stata decisa l’inammissibilità nei confronti del magistrato ordinario sol perché iscritto nel registro delle notizie di reato (Csm, S.D., 16 ottobre 2002, n. 103).
La cura, mai come ora necessaria, non deve essere peggiore del male.
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