- Acquistare opere d’arte online può rivelarsi un rischio sotto molti punti di vista: sia giuridico che di qualità del prodotto che si sceglie. Eppure è una deriva che il mercato sta imboccando fortemente.
- Le vendite online di arte pongono inediti problemi di antiriciclaggio e di attacchi cyber: la direttiva Ue lasca fuori il porto franco di Ginevra, inoltre la compliance alle normative anti-riciclaggio risulta essere estremamente difficile, se non impossibile, in un ambiente totalmente digitale.
- Il mercato online, inoltre, produce un processo di mercificazione dell’arte soprattutto contemporanea, in cui rischia di non esserci più posto per gli artisti emergenti e per le gallerie d’arte in generale.
Da lettrice di tutte le notizie riguardanti il mondo ed il mercato dell’arte, mi imbatto pochi giorni fa in un articolo su Lux Mag, scritto dalla vicepresidente di una delle maggiori piattaforme internazionali di aste online di opere d’arte, che suona come un rassicurante invito, per chi colleziona arte o semplicemente desidera regalarsi qualcosa di bello, a rendere ancora più speciale questo Natale comprando e regalando arte online: quale miglior modo, infatti, di celebrare in - cito testualmente – “pandemic style” le prossime festività se non scegliendo qualcosa che non solo rallegrerà, ma durerà nel tempo, assicurandoci un godimento anche intellettuale. Il tutto — ovviamente — senza alcuna ansia relativa a problemi di distanziamento sociale.
A seguire, poi, una puntuale elencazione di tutte le meraviglie che la piattaforma è in grado di assicurare: tecnologia cutting-edge (AR o VR) che permette di vedere non solo tutti i dettagli dell’opera scelta, ma anche di visualizzarla, adattata in scala, nella propria casa, per assicurarsi che vi calzi a pennello; chat di consulenza con esperti in grado di guidare sia nella ricerca delle opere nel catalogo virtuale dell’asta sia nel “biddare”; sicurezza nel processo di acquisto tramite un sistema per il quale la piattaforma trattiene i fondi dell’acquirente in deposito vincolato (“in escrow” letteralmente) fino al momento in cui il medesimo non riceva dal venditore l’opera d’arte in perfette condizioni; returns policy più che favorevole; possibilità di studiare i prezzi delle opere e l’andamento del mercato tramite il database offerto dalla medesima piattaforma; e ancora: possibilità di calcolare tramite la piattaforma tutti i costi aggiuntivi (diritti d’asta, trasporto, assicurazione, tasse, …), prima di “biddare”, per non correre il rischio di andare fuori budget tramite queste voci di costo, spesso piuttosto significative.
Eppure, ritengo che ci sia poco di che sentirsi rassicurati, anche perchè ho conosciuto di persona i limiti della tecnologia.
Tutti i principali operatori – case d’asta, gallerie, fiere, internazionali e non - dall’inizio della pandemia hanno spostato i propri canali di vendita sul digitale, ingolfando il mercato e l’agenda virtuale del collezionista o professionista del settore o appassionato, con continui inviti a nuove online viewing rooms, che vanno ben oltre il tradizionale calendario “fisico” di aste e fiere, per cui è quasi impossibile non inciampare in una di queste deludenti esperienze virtuali. Un’opera d’arte, infatti, non si sceglie su un catalogo e che nessuna chat con sedicenti esperti, che sicuramente non fanno gli interessi del cliente, potrà mai sostituire una vera consulenza professionale, che richiede altri tempi e altri modi.
A inquietarmi sono da un lato alcune problematiche strettamente giuridiche; dall’altro una deriva verso la quale il mondo dell’arte sembra voler a tutti i costi dirigersi.
Le questioni giuridiche
Come giurista di settore, noto subito come le vendite online di arte pongano inediti problemi di antiriciclaggio e di attacchi cyber.
Non vi è del resto pace per la normativa antiriciclaggio: ne è passato di tempo infatti dalla prima direttiva 91/308/CEE del 10 giugno 1991 (I direttiva antiriciclaggio) che imponeva obblighi solo agli operatori finanziari; per poi progressivamente coinvolgere anche altre professioni, anche quelle del mercato dell’arte non aventi carattere finanziario, per le quali vi era stata prima una stretta con la II Direttiva antiriciclaggio e poi un alleggerimento della loro posizione con la direttiva 2005/60/CE del 26 ottobre 2005 (III direttiva antiriciclaggio), recepita in Italia dal d.lgs. 24.11.2007, n. 231.
In virtù di questo decreto legislativo case d’aste, mercanti, antiquari e galleristi non erano più soggetti anche all’obbligo di identificazione e registrazione della clientela, né all’istituzione dell’Archivio unico di tutte le operazioni (un alleggerimento salutato con particolare favore nel sancta sanctorum dell’arte, che sembra coltivare con snobismo il segreto e la discrezione, così stridenti con qualsiasi obbligo di monitoraggio, protratto nel tempo, dei profili di rischio della clientela).
Non basta per le aste online di arte
Era evidente però che proprio il mercato dell’arte era e rimaneva così un anello ancora debole della catena. Arriviamo così all’ultima direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018 (V direttiva antiriciclaggio, recepita in Italia dal D. Lgs. 125/2019, in vigore dal 10 novembre scorso), che ha aggiornato la quarta direttiva raddrizzando il tiro dell’azione di prevenzione rispetto alle valute virtuali, le carte prepagate anonime, il contante nel commercio di beni culturali, includendo tra i soggetti destinatari di tutte le disposizioni più stringenti (quindi adeguata verifica della clientela, sia lato acquirente che venditore; e segnalazione alla Banca d’Italia delle operazioni sospette) anche le persone che commerciano opere d’arte, che agiscono in qualità di intermediari nel commercio delle stesse, nonché coloro che conservano opere d’arte, qualora tale attività sia effettuata all’interno di porti franchi, sempre che il valore dell’operazione o di un insieme di operazioni tra loro collegate sia pari o superiore a 10.000 euro.
Quello che preoccupa in questo contesto non è tanto la circostanza che la direttiva, applicandosi come è ovvio solo agli Stati membri dell’Unione europea, lasci fuori il porto franco di Ginevra, ma che anche (ma non solo) per gli stessi motivi non riuscirà ad essere affatto incisiva per le compravendite online di arte: la compliance alle normative anti-riciclaggio, e per di più di segno non solo europeo, risulta essere estremamente difficile, se non impossibile, in un ambiente totalmente digitale.
Motivo per il quale alcune realtà internazionali stanno sviluppando strumenti tecnologici come Artaml di Artemundi: una piattaforma che promette di adempiere automaticamente, per ogni transazione di arte, tutti gli adempimenti necessari per i protolli KYC (know your customer) antiriciclaggio, qualsiasi essi siano. Ma, la domanda, sorge spontanea: la tecnologia ci salverà dai limiti della tecnologia?
Gli attacchi web
E vi è di più: anche se queste tecnologie risolvessero tutti i problemi collegati con l’antiriciclaggio online, il mercato dell’arte è ora anche a rischio per gli attacchi via web, come è accaduto lo scorso gennaio al Rijksmuseum Twenthe e alla galleria Dickinson di Londra-New York, che sono state intercettate da un cyber criminale durante le trattative per la vendita di un dipinto di John Constable: l’hacker è riuscito a convincere il museo a depositare £2.4 milioni ($ 3.1 milioni) in un account fraudolento, ed ora è in corso un’aspra, e niente affatto scontata negli esiti, battaglia legale (mentre il dipinto è ancora al museo perché la galleria non ha ricevuto alcun pagamento), motivo per cui sta appena nascendo negli USA — ma siamo davvero agli inizi — tutto un mercato di polizze assicurative cyber per proteggere anche i collezionisti da questi rischi.
Il rischi del mercato
Infine, venendo alla deriva che il mercato dell’arte sembra aver inesorabilmente imboccato: rischi e problematiche giuridiche a parte, che pure non sono da poco ma alle quali, in tutta questa orgia virtuale, nessuno vuole prestare attenzione, quello che spiace è come l’invito a comprare spensieratamente arte online, tra l’altro citando come benchmark i siti Net-à-porter e Matchefashion per la moda, ci parla di tutto un processo di mercificazione dell’arte stessa, vista come un prodotto.
Si tratta di una operazione particolarmente facile con l’arte contemporanea, i cui principali acquirenti non sono reali intenditori, in cui le grandi piattaforme di scambio e vetrina per gallerie e case d’asta, sembrano assumere i contorni di un grosso marketplace, una sorta di Amazon dell’arte, in cui – come diceva un noto mercante – si compra arte “con le orecchie”; ed in cui non vi sarà più posto in primo luogo per le piccole e medie gallerie che fanno ricerca, né per le proposte nuove, di artisti emergenti, né forse, col tempo, per le gallerie in generale (come faceva notare sulle pagine di Domani di domenica 22 novembre, anche l’artista russo Artyom Loskutov, autore dell’opera di protesta Belarus).
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