- A dire che la macchina della giustizia è sempre più in crisi e che dopo la pandemia affonderà nell’arretrato è il procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo.
- Un’analisi spietata, ma resa vera anche dal fatto che la giustizia non compare quasi mai tra le destinazioni del Next Generation Ue. Per risollevarla, servono: riorganizzare i tribunali, snellire il processo, depenalizzare i reati, potenziare le Adr, digitalizzare la giustizia e maggior collaborazione tra magistrati e avvocati.
- Una giustizia lenta, burocratizzata, non gestita come se fosse un impresa, crea una distorsione enorme sul mercato, dando vita a ingiustizie evidenti tra gli aventi diritto e gli approfittatori delle lentezze dei processi
Il grido di preoccupazione del Procuratore Generale di Torino Francesco Saluzzo è rimbalzato in tutte le aule giudiziarie italiane. «Quando finirà la pandemia, e parliamo dell’autunno-inverno 2021, la macchina della giustizia sarà così depressa dal numero dell’arretrato accumulato che ci vorranno anni prima di tornare ai livelli pre-covid, che già non erano entusiasmanti».
Una analisi spietata, una fotografia che dovrebbe imporre al governo di inserire, come priorità assoluta, un rilevante investimento in questo settore che rischia la paralisi.
Proprio nei giorni in cui la politica italiana, nonostante i pressanti inviti di Bruxelles a fare in fretta,si sta avviluppando in una sterile e obsoleta polemica sui fondi del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, appare surreale che il tema giustizia non compaia mai, o quasi mai tra le destinazioni principali del Next Generation UE.
Evidentemente prevale ancora quella cultura, sbagliata e lontano dalla realtà dei problemi del nostro paese, per cui il funzionamento efficiente della macchina della giustizia non costituisce uno dei fattori più importanti per l’immagine e la reputazione internazionale di uno stato.
Se ne parla, se ne discute, si nominano ogni tre o quattro anni delle commissioni di esperti per fare delle riforme( lo abbiamo già scritto, la relazione della commissione Alpa sarebbe un eccellente punto di partenza per iniziare davvero a riformare il sistema, ma giace in qualche cassetto di via Arenula ormai da anni dimenticata), ma poi nella realtà, quando c’è da compilare la lista delle priorità su cui investire,la Giustizia, penale e civile, compare sempre in fondo.
La “macchina" funziona male
La pandemia ha soltanto fatto esplodere un problema che cova da anni nei tribunali di tutta Italia: il cattivo funzionamento della “macchina” in termini di tempi, organizzazione degli uffici, produttività ed efficienza tra le varie componenti del processo sia civile che penale.
Quando la bolla della legislazione speciale che ha messo sotto una campana di vetro tutti i nostri tragici problemi atavici, finirà e termineranno i vincoli ai non licenziamenti, alle moratorie sui mutui o sulle cartelle esattoriali,allora il nostro sistema giustizia rischierà il collasso con tutte le immaginabili disastrose conseguenze per il Paese.
Tutte le ricerche internazionali svolte nei Paesi più industrializzati, evidenziano che la scelta degli investitori, se mettere i soldi in un Paese piuttosto che in un altro, è condizionata anche , per non dire soprattutto, dall’esistenza di un efficiente sistema giudiziario che , nel rispetto dei valori e dei principi dello stato di diritto, garantisca alle parti del processo una Giustizia giusta, resa in tempi adeguati, con una esecuzione delle sentenze efficacie ed efficiente.
In Italia sembra che non vogliamo capirlo. O, peggio, che sottostimiamo questo problema. «Ci aspettano 4 o 5 anni per tornare ai livelli, già non soddisfacenti, del periodo pre-covid», ha aggiunto Saluzzo, preconizzando un nuovo calvario per tutti gli operatori del mondo della Giustizia.
Il Next Generation UE potrebbe rappresentare una straordinaria opportunità per destinare i fondi necessari a risollevare la macchina dei tribunali, già un po’ arrugginita prima della pandemia e oggi vicina al collasso.
Una giustizia lenta, burocratizzata, non gestita come se fosse un impresa, crea una distorsione enorme sul mercato, dando vita a ingiustizie evidenti tra gli aventi diritto e gli approfittatori delle lentezze dei processi, sia civili (il ritardo dei pagamenti , per esempio)sia penali (l’obbiettivo della prescrizione per allungare i tempi del rito processuale).
Cosa fare? Come immaginare di mettere le mani su questa situazione, aggravatasi in questo momento di emergenza sanitaria?
Provo a elencare una serie di possibili interventi, auspicando che si apra almeno una discussione per cestinarli o approfondirli.
- Partiamo dalla organizzazione dei tribunali. Esiste,a monte, un deficit culturale e/o snobistico: un tribunale è una impresa che va gestita non solo e unicamente dai magistrati e dal personale giudiziario ma da professionisti preparati all’incombenza di una sana e sostenibile gestione dei conti.Abbiamo avuto , negli ultimi anni , esempi di magistrati che si sono brillantemente dimostrati anche dei manager aziendali: proprio il tribunale di Torino ha dimostrato che si può fare. Ma non bastano sparuti esempi virtuosi per continuare ad archiviare o rinviare il tema dell’ affiancamento di un manager di professione al Presidente del tribunale, un professionista, aziendalista, che si occupi esclusivamente di far funzionare la macchina amministrativa e far tornare a casa i conti, collaborando con i magistrati.
Gli esempi delle università e degli ospedali, pur con tutte le loro difficoltà e anomalie, dovrebbero rappresentare degli stimoli a tale cambiamento di paradigma organizzativo.
- Nel rispetto dei principi del contraddittorio, si potrebbe snellire il percorso istruttorio penalizzando condotte palesemente mirate a prolungare i tempi del processo. Qualcosa si è fatto ma tanto si potrebbe ancora fare.Ogni comunità degli addetti ai lavori dovrebbe farsi un esame di coscienza combattendo, al proprio interno, condotte non in linea con una corretta e leale partecipazione al processo.
- Una radicale depenalizzazione dei reati, aiuterebbe la diminuzione dei carichi di lavoro degli uffici con il conseguente efficientamento dei tempi dei processi.
- Un maggior ricorso, incentivato o, addirittura, reso obbligatorio per certe fattispecie, a tutti gli strumenti esistenti , e sono tanti, di risoluzione delle controversie “ fuori” e “ lontano” dai tribunali, aiuterebbe ad evitare nuovi ingolfamenti di pratiche in cancellerie già oberate da voluminosi arretrati.
- Una vera e profonda digitalizzazione di tutta la macchina della giustizia, finora osteggiata anche dal primo beneficiario, il personale amministrativo ( la cosiddetta resistenza al cambiamento!)darebbe un ulteriore spinta verso la diminuzione dei tempi delle procedure e degli aspetti burocratici delle istruttorie.Ci vorrebbe uno scarto culturale per il consolidamento di una consapevolezza che tale processo non è piu’ rinviabile nè contrastabile.
- Infine, ogni sforzo mirato ad una maggiore efficienza dei tempi e della produttività dei procedimenti è fortemente condizionato, a mio parere, dalla necessità di una piu’ stretta e leale collaborazione tra i magistrati, il personale di cancelleria e gli avvocati. Proprio perche’ tutti soggetti necessari e fondamentali per la salvaguardia dei valori di una Giustizia giusta, bisognerebbe uscire da un clima di disistima reciproca o comunque di lontananza, che oggi caratterizza molte delle relazioni tra gli addetti ai lavori.
Ci vorrebbero una maggior consapevolezza e un maggior rispetto dei reciproci ruoli, tutti essenziali per una vera ed efficacie tutela dell’ordinamento, a tutto vantaggio di procedimenti piu’ snelli, basati sulla reciproca fiducia pur nella doverosa contrapposizione degli interessi da tutelare.
I palazzi di giustizia di tutta italia non devono avere dei proprietari e degli ospiti!
Dovrebbero avere soltanto dei condomini (i magistrati, il personale operativo,gli avvocati), che, in un atmosfera di collaborazione e rispetto reciproco, condividono spazi, servizi e un senso di comune responsabilità verso i cittadini.
Invece, e la pandemia ha fatto esplodere e rendere evidente il problema, salvo in alcuni casi, troppo rari , la magistratura e l’avvocatura si sono confrontate quasi fossero controparti nell’utilizzo delle aule e degli uffici giudiziari.
I tribunali dovrebbero essere vissuti come una “casa comune” dove gli addetti ai lavori, nel reciproco rispetto dei ruoli e dei diritti di ogni categoria, anche quelli sindacali del personale operativo,lavorano insieme collaborando per la realizzazione di un servizio essenziale e virtuoso per la comunità dei cittadini.
Questo non è avvenuto e questo deve diventare un nuovo paradigma di coesistenza virtuosa tra i vari soggetti impegnati nel far funzionare la macchina della Giustizia.
Insomma, apriamo almeno il dibattito e usciamo da logiche corporative obsolete e miopi.
Magari cercando, nel frattempo, di far aumentare lo stock di investimenti da effettuare nel settore specifico.
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