Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


In seguito, invece, venne varato un programma degli attentati, questa volta da rivendicare con la sigla Movimento Rivoluzionario Popolare, che costituiva il braccio armato di CLA [Costruiamo l’Azione, ndr].

Essi vennero eseguiti nella primavera del 1979 a Roma. Si trattò di quattro attentati, simbolicamente indirizzati verso palazzi rappresentativi di istituzioni e poteri dello Stato (presso il Campidoglio il 20.4.1979; il carcere di Regina Coeli il 14.5.1979; la sede del Ministero degli Esteri il 4.5.1979 e il Csm il 20.5.1979).

Nell’attentato al palazzo del Campidoglio, la notte del 20 aprile 1979 vennero utilizzati quattro chilogrammi e mezzo di tritolo. I danni arrecati alla struttura ed alle opere d’arte annesse furono gravi. Non furono coinvolte persone. Aleandri all’epoca dichiarò che lannilli dimenticò di togliere uno spessore di carta che aveva inserito fra i contatti per motivi di sicurezza, per cui fu costretto a ritornare ove aveva posato l’ordigno per rimuovere tale cartoncino, che avrebbe impedito l’esplosione (cfr. le dichiarazioni rese nel primo processo di Assise all’udienza del 15.11.1988); ciò fu confermato nel processo da Marcello Iannilli e da Bruno Mariani (sentiti rispettivamente il 15 e 16.11.1988).

La notte del 14 maggio 1979 si verificò l’esplosione di un’autobomba, posta all’ingresso del carcere di Regina Coeli, che provocò ingenti danni alla struttura del portale d’ingresso del carcere ed a 24 automobili parcheggiate sulla strada. Il 20 maggio 1979 fu la volta dell’attentato alla sede del Consiglio Superiore della Magistratura in piazza Indipendenza a Roma.

Aleandri in passato dichiarò che Bruno Mariani e Marcello Iannilli avevano ottenuto un’ingente quantità di esplosivo dal gruppo di Villalba di Guidonia e che tale esplosivo era stato impiegato per i suddetti attentati, fatta eccezione per l’attentato al Campidoglio, per il quale venne utilizzato dell’esplosivo che era stato fornito da Raho e da Fachini; che autori dei primi tre attentati erano stati lui, Iannilli e Mariani, mentre l’attentato presso il Csm era stato materialmente eseguito da Mariani e Iannilli, i quali in seguito gli fecero capire di avere regolato il timer affinché l’esplosione avvenisse in orario diurno, contrariamente a quanto era stato pattuito; che l’ordigno non era esploso per un difetto di funzionamento del timer (cfr. sentenza Assise Bologna 11.7.1988, 1.3.9).

Nella sentenza della Corte di Assise di Bologna in data 11.7.1988 (pagg. 176-177) si legge:

"Il 24/2/1983, ancora una volta al Giudice Istruttore di Roma, [Aleandri] aveva, tra l’altro, dichiarato d’aver interpellato il Mariani e lo Iannilli, dopo l’attentato alla sede del Consiglio Superiore della Magistratura, su dette circostanze: perché l’attentato non fosse stato realizzato secondo i piani, cioè perché l’esplosione non fosse stata programmata per un’ora notturna; e, ancora, perché la bomba non fosse esplosa. Al primo quesito gli interlocutori avrebbero risposto in maniera vaga e minacciosa, al secondo non avrebbero risposto affatto. Aveva poi appreso da Rossano Monni che costui ed il Mariani erano tornati presso la sede del C.S.M per recuperare l’esplosivo: iniziativa da cui avevano poi desistito".

Dunque, era stato concordato che l’attentato avvenisse di notte, con la previsione di danni alla sola struttura, mentre invece l’esplosivo era stato piazzato di giorno all’interno di una Fiat 127 di colore blu.

Tuttavia, qualcosa non aveva funzionato. Alle ore 19:30 del 20.5.1979 uno sconosciuto telefonò alla redazione del quotidiano "II Tempo", rivendicando il fallito attentato a nome del Movimento Rivoluzionario Popolare ed asserendo che esso sarebbe dovuto avvenire alle ore 14:00 davanti alla sede del Consiglio Superiore della Magistratura. Analoga telefonata pervenne alle ore 20:25, alla redazione del quotidiano "li Messaggero", con la quale si rivendicava, a nome del MRP l’attentato del pomeriggio, assumendo che era fallito per cause tecniche e segnalando la presenza della 128 blu parcheggiata in Piazza Indipendenza.

Le forze dell’ordine, giunte sul posto, rinvennero una Fiat 128 blu nel cui portabagagli era riposta una borsa contenente 94 candelotti di esplosivo innescato da due capsule detonanti elettriche collegate ad un congegno a tempo.

Nel corso della sua deposizione dibattimentale Aleandri ha confermato le predette circostanze. In sostanza, l’esplosione avrebbe potuto avvenire di giorno, ma non si verificò per un problema tccnico66.

L’attentato venne, dunque, scongiurato. Tra l’altro, proprio in Piazza Indipendenza quel giorno si svolgeva una manifestazione degli Alpini. Una strage sfiorata.

All’udienza del 9.7.2021 Aleandri ha riferito che gli attentati organizzati dal suo gruppo nel 1978-’79 erano stati concepiti da Signorelli, Semerari e De Felice e che, all’interno del movimento si era creata una sinergia tra il gruppo romano ed il gruppo veneto, entrambi di origine ordinovista. Il gruppo veneto, che disponeva di consistenti quantità di esplosivo, era capeggiato da Fachini e di esso facevano parte Raho e Melioli; secondo Aleandri, faceva parte integrante del gruppo anche Gilberto Cavallini, sia pure per il tramite di Fachini.

Su richiesta di Fachini, egli per un determinato periodo aveva ospitato Cavallini nella propria abitazione; nel corso di tale soggiorno, un giorno a Cavallini partì involontariamente un colpo dalla propria pistola, che fece un buco nel muro dell’appartamento. Aleandri fu anche processato per tale episodio, ma venne poi assolto.

Anche Sergio Calore, nel corso del primo dibattimento svolto a Bologna, riferì che Fachini aveva partecipato attivamente a tutte le attività che facevano riferimento alla sigla Costruiamo l’Azione, compresi gli attentati rivendicati con la sigla MRP.

Infine, Aleandri ha fatto cenno ai due sequestri di persona da lui subiti, che in qualche modo determinarono la fine della sua esperienza eversiva. Ha riferito che alcuni appartenenti alla banda della Magliana, tra cui Marcello Colafigli, gli consegnarono delle armi da custodire. Egli, con l’approvazione di Semerari e De Felice, portò le armi in un deposito. Tuttavia, alcuni militanti utilizzarono un certo numero di armi e, quando i membri della celebre banda romana gli chiesero la restituzione, le armi non c’erano più.

Aleandri venne sequestrato davanti al Tribunale di Roma e tenuto prigioniero in un appartamento per diversi giorni. Egli contattò telefonicamente altri camerati affinché recuperassero delle armi da consegnare in luogo di quelle scomparse. Alla sua liberazione si interessò Massimo Carminati. Restituite le armi, egli fu rilasciato.

Tuttavia, in seguito venne sequestrato nuovan1ente dai suoi ex compagni Rossi, Scorza, lannilli e Mariani, che lo accusavano di essersi appropriato di denaro appartenente al gruppo. Durante questo sequestro venne tenuto legato ad un albero in campagna e poi venne tenuto segregato in un appartamento, legato da catene, finché non intervenne Gilberto Cavallini il quale si arrabbiò per come era stato trattato e lo fece liberare. Aleandri si dovette impegnare a lasciare l’attività politica e a ritornare al suo paese natìo. Le dichiarazioni di Paolo Aleandri hanno trovato conferma nella testimonianza di Maurizio Abbatino, uno storico esponente della banda della Magliana, il quale ha confermato l’episodio del sequestro, essendo anche lui stato presente ed ha poi spiegato come lo stesso venne liberato (cfr. trascrizione ud. 12.11.2021, pagg. 32 e 33). […].

In conclusione, dopo che per diversi anni le azioni "militari" dei terroristi neri erano state eseguite per il mezzo di armi da fuoco ed avevano avuto come obiettivo per lo più persone determinate, a partire dal 1978 si verificò una serie di attentati compiuti mediante l’uso di esplosivi, tutti aventi una matrice comune e tendenti a colpire obiettivi in qualche modo rappresentativi delle istituzioni statuali.

Detti attentati costituiscono la prova tangibile di ciò che si intende qui sostenere, ovvero che quella stagione segnò un ritorno in grande stile da parte della destra eversiva alla strategia della tensione, con il deliberato e sistematico impiego di esplosivi di origine militare al fine di colpire obiettivi di importanza crescente.

Il fanatismo di una nuova generazione di giovanissimi rivoluzionari, attraverso l’illusione dello spontaneismo armato, veniva in realtà incanalato dai rappresentanti storici della destra eversiva, a loro volta legati ai servizi segreti ed assoggettati alle direttive della loggia P2, verso un livello di lotta politico-militare più aspro ed elevato. dal quale non vi sarebbe stato ritorno. Da lì a colpire la popolazione civile il passo sarebbe stato breve.

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