La costa orientale ha avuto solo cinque giorni di respiro tra i due uragani. In questo contesto di caos sul campo, mediatico e politico, sembra già storia passata la ricerca del World Weather Attribution, che guarda dentro i fenomeni meteo estremi per capire quanto siano collegabili o meno al riscaldamento globale. Uno studio che ci aiuta a capire cosa possiamo aspettarci nei prossimi mesi e anni
C’erano pochi modi più chiari della rapida successione di due uragani come Helene e Milton per spiegare quale futuro climatico attende gli Stati Uniti. La sequenza è stata la dimostrazione concreta di cosa intendono i modelli climatici quando prevedono eventi estremi più frequenti e intensi.
La costa orientale ha avuto solo cinque giorni di respiro tra i due uragani, il primo si è dissipato il 29 settembre, dopo aver fatto oltre 230 morti, il secondo si è formato il 5 ottobre. Entrambi sono tempeste anomale, con tempo di ritorno secolare, ma lo sono per motivi diversi. Helene è stato un uragano vasto, esteso quanto metà del Golfo del Messico. Grazie a questo diametro, ha portato la sua devastazione anche sugli Appalachi.
Milton invece è stato veloce, uno dei più rapidi di sempre a passare da tempesta tropicale a uragano categoria 5, con quel calo di pressione propedeutico alla trasformazione in mostro che ha fatto commuovere in diretta il meteorologo John Morales. «È incredibile, incredibile, incredibile», ha detto con la voce rotta. Pochi giorni prima aveva scritto: «Queste non sono anomalie, questi sono presagi del futuro».
In questo contesto di caos sul campo, mediatico e politico, il passaggio di Helene sembra già storia passata, così come la ricerca sulle sue cause fatta quasi in tempo reale dal World Weather Attribution, il gruppo di studio coordinato dall’Imperial College di Londra che guarda dentro i fenomeni meteo estremi per capire quanto siano collegabili o meno al riscaldamento globale.
Mentre monitoriamo la cronaca degli effetti di Milton al momento dell’impatto con la terraferma in Florida, dobbiamo avere la capacità di tornare anche all’altro uragano di una settimana prima, perché i numeri di questa ricerca ci restituiscono la dimensione che ci serve di più oggi, un contesto, una prospettiva.
Ci aiutano a interpretare la cronaca di queste ore e cosa possiamo aspettarci nei prossimi mesi e anni. Il cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra ha reso tra duecento e cinquecento volte più probabili le temperature di questi ultimi mesi nel Golfo del Messico.
Quelle acque surriscaldate sono diventate il carburante in grado di creare tempeste così aggressive. Secondo lo studio, gli uragani come Helene oggi sono due volte e mezzo più probabili a causa di quell’aumento delle temperature di atmosfera e oceano. In un clima non alterato, Helene sarebbe stata una tempesta con un tempo di ritorno ogni 130 anni, ora la probabilità di veder riapparire un fenomeno del genere è scesa a uno ogni cinquantatré.
Il cambiamento climatico causato dai gas serra (CO2, metano, eccetera) ha anche reso l’uragano Helene il 10 per cento più piovoso e ha rafforzato di 21 km/h la forza dei suoi venti. Come si diceva: gli estremi diventano più frequenti e più intensi. Grazie a queste informazioni aggregate in tempo reale dagli esperti più autorevoli, la scienza dell’attribuzione sta diventando la branca più importante della scienza del clima. I modelli predittivi ci dicono cosa potrebbe succedere in futuro, queste ricerche ci aiutano a comprendere perché c’è appena stato un evento di queste proporzioni.
Sono studi dall’enorme peso politico, perché collegano i morti, i danni e le perdite alle loro cause, quindi alla catena di scelte o mancate scelte che hanno creato le condizioni per una tempesta del genere.
Sono le informazioni più importanti a nostra disposizione per navigare i prossimi decenni di clima: lo stesso gruppo di studio ha stabilito che le scelte energetiche globali hanno reso la siccità in Sicilia il 50 per cento più probabile e l’hanno trasformata da grave a estrema.
I ricercatori, guidati dalla climatologa Friederike Otto, hanno già annunciato di essersi messi al lavoro pure su Milton, i risultati dovrebbero uscire oggi. È come se stessero rincorrendo gli eventi estremi uno a uno, fornendo risultati sempre più accurati e raffinati. Il problema è che dall’altra parte non sembra ci sia nessuno disposto ad ascoltare davvero.
Nella campagna elettorale americana, da un lato ci sono Trump e Vance, che flirtano col negazionismo, dall’altro Harris e Walz, che hanno rivendicato con orgoglio il fatto che gli Stati Uniti, nonostante gli immensi investimenti in rinnovabili del ciclo di Biden, stanno estraendo quantità record per la storia americana di gas e petrolio, cioè le fonti di energia che hanno reso un uragano come Helene 2,5 volte più probabile.
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