Le articolazioni più significative di Cosa Nostra consistono in vasti raggruppamenti di persone con al centro un nucleo formato da una o più famiglie biologiche. Questo atteggiamento incide anche sui criteri di selezione dell’élite mafiosa. Tutto ciò non avviene per puro caso. Vi sono ragioni profonde che determinano questa situazione
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.
Il caso Nicchi rappresenta una eccezione nel Gotha di Cosa Nostra.
Basta leggere le carte di tanti recenti processi e si comprende come il “nocciolo duro” della associazione si regga, ancora oggi, sui rapporti di parentela stretta tra boss e i loro “uomini di fiducia” e dai vincoli di sangue tra i componenti delle varie cosche palermitane.
Proviamo a citare solo alcuni dei casi più eclatanti. Salvatore Lo Piccolo viene arrestato con il figlio Sandro, un giovane, classe 1975, già inserito e molto dinamico nella organizzazione con compiti di comando nel mandamento di San Lorenzo.
Giuseppe Salvatore Riina, figlio di Totò Riina, finisce in carcere nel maggio del 2000, con l’accusa di dirigere estorsioni, illecite infiltrazioni nei pubblici appalti, reimpiego del denaro di Cosa Nostra in quel di Corleone.
Prima di loro Leoluca Bagarella, un boss che ha sulla coscienza decine e decine di omicidi, tra cui quello del 1979 del capo della Squadra Mobile di Palermo Boris Giuliano. Luchino, così lo chiamano nella organizzazione, è cognato di Salvatore Riina e fratello del defunto Calogero Bagarella, sodale della prima ora del capo dei capi, che perse la vita nello scontro a fuoco di quella che poi fu ribattezzata la “strage di viale Lazio” del 1969.
Ed ancora. Giovanni Brusca – colui che premette il pulsante per far esplodere il tritolo a Capaci uccidendo Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta - aveva “ereditato” il mandamento di San Giuseppe Iato dal padre Bernardo, uno dei fedelissimi del capo dei capo.
Nella stessa cosca mafiosa militava anche il fratello di Giovanni, ossia Enzo Salvatore Brusca, condannato per efferati delitti tra cui lo strangolamento e lo scioglimento nell’acido del dodicenne Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Mario Santo Di Matteo.
Poi abbiamo visto Nicola Mandalà. Leader della famiglia di Villabate, fedelissimo di Provenzano, è figlio di Antonino Mandalà, uomo da tanto tempo molto influente in quella articolazione territoriale della organizzazione.
E nel processo che ci occupa Nicola Milano, della famiglia di Porta Nuova, è figlio di Nunzio Milano, a sua volta “uomo d’onore” della stessa cosca molto vicino a Rotolo.
Il medesimo vincolo di sangue intercorre tra Giovanni e Carmelo Cancemi della famiglia di Pagliarelli, e tra Angelo e Pietro Badagliacca, a cui va aggiunto Gaetano Badagliacca, il fratello di Pietro. Giovanni Marcianò succede al fratello Vincenzo Marcianò nella reggenza del mandamento di Boccadifalco-Passo di Rigano, i due a loro volta sono figli di un altro Marcianò affiliato alla associazione.
E sono fratelli pure gli imprenditori mafiosi vicini a Nino Rotolo, operanti nel settore edile, Angelo Rosario e Pietro Parisi. Per non parlare dei vari imputati con il cognome Sansone e Inzerillo, tutti provenienti dai medesimi ceppi familiari; e di Sandro Mannino, nipote del defunto Totuccio Inzerillo.
La sequenza potrebbe continuare.
Le articolazioni più significative della organizzazione consistono in vasti raggruppamenti di persone con al centro un nucleo formato da una o più famiglie biologiche. Questo atteggiamento incide anche sui criteri di selezione dell’élite mafiosa, scartandosi, salvo rare eccezioni, l’applicazione del principio della libera competizione per l’individuazione del leader.
Tutto ciò non avviene per puro caso. Vi sono ragioni profonde che determinano questa situazione. Due in particolare. Un primo fattore è legato alle esigenze di rendere meno fragile la struttura militare e imprenditoriale delle cosche. Il secondo si spiega con le vicende giudiziarie di Cosa Nostra degli anni novanta, pesantemente condizionate dal fenomeno dei “collaboratori di giustizia”.
Con riguardo a tale ultimo profilo, occorre richiamare quanto accaduto dopo la stagione delle stragi del 1992. In quell’epoca, con l’intensificazione dell’azione di contrasto alla organizzazione da parte delle forze dell’ordine e della magistratura, Cosa Nostra ha modificato alcuni atteggiamenti. Per arginare l’emorragia dei “pentiti”, le cosche hanno innalzato le barriere della segretezza e della compartimentazione, rivedendo i criteri di reclutamento e disciplinando più rigidamente le relazioni tra i vari gruppi interni.
Riina, Brusca e Bagarella hanno puntato sui cosiddetti “avvicinati”, ossia su persone di fiducia che provenivano dagli ambienti familiari lontani dagli “uomini d’onore”, ma sono rimasti scottati.
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