Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.


Ruan Guanshui, Luo Fuju, Wang Qingjian Zhejiang, Lin Jin, Yang Yanmei, Lin Jinliang, Lin Xixi, Yang Weijun, Yu Liping, Chen Zhi Hong, Yang Weiwu, Zang Yong, Liu Aiying, Chen Bangsheng sono piccoli commercianti cinesi.

Gestiscono i loro negozi di prodotti etnici nella zona di Corso Calatafimi. Non pagano il “pizzo”. Subiscono continui danneggiamenti nei locali in cui è stipata la merce. Ma non ne comprendono il motivo. Non sanno di essere inadempienti. Non conoscono gli “obblighi tributari” imposti dagli “uomini d’onore” di Pagliarelli a tutti i commercianti del quartiere.

Il delfino di Antonino Rotolo, Gianni Nicchi si mostra impaziente. Vuole manifestare ad ogni costo la sua inflessibilità. Il 21 ottobre 2005, mentre i poliziotti lo ascoltano di nascosto, annuncia al suo “padrino” con tono veemente: «da giovedì prossimo in tutta Palermo, gli facciamo danno ai cinesi…… …la mattina alle otto arrivano i cinesi stessi, con i flex, si tagliano tutte cose, pum, pum, pum, rimontano e sono di nuovo a posto!........gli abbiamo tagliato tutti i teloni….. i teloni tagliati e sono venuti i cinesi stessi… ma un altro gruppo che non si è visto! Arrivano questi con i camion, scaricano tutte cose, a ventiquattro ore hanno aperto un negozio completo! Ora fuoco…».

Insomma, secondo Nicchi, con i cinesi insensibili ai tentativi di intimidazione finalizzati alla estorsione, bisogna usare il “pugno di ferro”.

Rotolo suggerisce prudenza. Ma il giovane Nicchi replica: «giovedì notte, in tutta Palermo, il corso Dei Mille, tutti! Mettiamo l’attak, in tutti, in tutti i negozi che ci sono! Giovedì notte!....Da uno devono andare!».

La regola generale e consolidata deve essere chiara ad ogni operatore economico. Anche allo straniero. Soprattutto allo straniero che deve sapere chi comanda il territorio. La produzione di qualsiasi forma di ricchezza deve essere “tassata”.

E’ in questo modo che Cosa Nostra afferma il suo dominio sulla città di Palermo e sulla provincia. Ma, Nino Rotolo vuole essere prudente. La strategia dell’immersione, predicata da Provenzano, va applicata anche sul piano pratico della realizzazione del meccanismo estorsivo. Bisogna evitare l’utilizzo di bombe e armi da fuoco. Meglio optare per danneggiamenti minimi, come la colla attak nelle serrature dei negozi, che hanno comunque un significato ben preciso per il commerciante che li subisce.

Dai “pizzini” di Provenzano e dalle conversazioni nel residence di viale di viale Michelangelo si capisce che Cosa Nostra è orientata verso una riscossione capillare nei confronti di imprenditori e commercianti per somme limitate. Richieste inizialmente ridotte non inducono neppure la vittima a denunciare il reato. Entra in gioco un calcolo (sbagliato) sulla sopportabilità del costo rispetto al rischio di ritorsioni mafiose. E forse alcuni nutrono la speranza di poter convivere con l’organizzazione.

Non si tratta di un semplice modo di alimentare le casse di Cosa Nostra. Non è solo una odiosa e gravissima forma di sfruttamento parassitario delle altrui iniziative economiche. Parliamo di una vera e propria “tassazione privata”, di un “metodo” che mantiene le famiglie dei mafiosi quando questi sono in carcere, come ricorda Francesco Bonura a Calogero Mannino mentre lo sollecita a riscuotere il pizzo per l’ennesima volta da una concessionaria di autovetture: «vorrei racimolare altri cinquecento euro….allora, cinquecento alla Seat, cinquecento lì e sono mille euro al mese e già due persone possono campare».

La “tassazione” non prevede evasori. È attuata “a tappeto” su ogni attività che lascia un segno all’esterno e nei confronti di tutti cittadini, compresi gli affiliati a Cosa Nostra. Non può e non deve sfuggire nulla alle famiglie mafiose. Ne va della reputazione dei suoi adepti.

Esercizi commerciali e imprese di ogni tipo, piccole e grandi, non possono rifiutarsi di versare il “tributo”. Dal “becchino” all’impresario edile, dal mediatore al libero professionista, dal gestore del pub al titolare di una catena di supermercati, dallo straniero venditore di prodotti etnici alla società che amministra l’ospedale locale, dall’acquirente di un terreno al concessionario di moli e banchine al porto turistico.

Si prenda il passo di una discussione tra due “coordinatori” del racket delle estorsioni mafiose a Palermo, Francesco Bonura e Vincenzo Marcianò, captata dalla Squadra Mobile il 31 marzo 2005. Bonura rammenta all’interlocutore lo scambio di opinioni avuto con un altro boss (Agostino Badagliacca di Porta Nuova) sull’opportunità di selezionare le vittime del pizzo, puntando sui soggetti più facoltosi: «…. io una volta gli ho detto a quello Agostino “lasciali stare i pesci piccoli, cerchiamo di seguire se c’è… un gamberone, un’aragosta…. dico, se c’è qualche sarda, qualche cosa… lasciamola andare”; e l’anziano boss aveva risposto “no…. io butto le lenze e prendo tutti i pesci…… tutti i pesci io devo prendere».

Le parole di Agostino Badalamenti, uomo di vertice dell’importante mandamento di Porta Nuova, esprimono una precisa strategia, inaugurata a partire dal 1993.

Cosa Nostra abbandona il modulo su cui aveva puntato nel decennio precedente. In quell’epoca, la sua forza militare gli consentiva considerevoli entrate con il traffico degli stupefacenti. E, sul piano delle estorsioni, poteva permettersi di scegliere solo le vittime particolarmente facoltose, imponendo tangenti molto alte. Ma, la situazione cambia radicalmente dopo le stragi del 1992.

La massiccia controffensiva antimafia da parte dello Stato pone a Cosa Nostra un problema di legittimazione e visibilità nelle aree su cui tradizionalmente esercita il suo potere. I vertici della organizzazione vogliono evitare lo scontro frontale con lo stato, essendo troppo alto il rischio di capitolare.

Si devono assolutamente evitare dimostrazioni eclatanti della propria forza, fatte salve situazioni estreme. E nella “tassazione a tappeto” si individua lo strumento per mantenere il controllo del territorio. Il meccanismo “pulviscolare” del prelievo estorsivo (“pagare poco, pagare tutti”) riduce i rischi di una pressione esercitata solo nei confronti di pochi imprenditori ma per somme molto consistenti.

I prelievi eccessivi possono indurre taluna delle vittime a rompere il muro dell’omertà, chiedendo l’intervento delle forze dell’ordine e della magistratura. Diventa concreto il pericolo di arresto dei responsabili e l’adozione di misure di protezione di carattere militare per gli imprenditori.

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