«Le chiese non si toccano», ha scandito il papa riferendosi alla decisione di Kiev di bandire le organizzazioni religiose affiliate alla Russia
Non sorprende l’ultimo intervento del papa sull’Ucraina, che è del tutto coerente con la linea scelta dal pontefice sin dall’inizio dell’invasione russa del paese, linea da tempo oggetto di fondate critiche. «Le chiese non si toccano», ha scandito parlando dopo l’Angelus del 25 agosto e riferendosi esplicitamente alla legge approvata con una maggioranza schiacciante dal parlamento di Kiev il 20 agosto per proibire le organizzazioni religiose affiliate alla Russia.
Subito presa di mira a Mosca dalla chiesa ortodossa del patriarca Cirillo e da esponenti governativi, la legge era stata promulgata da Zelensky il 24 agosto, non a caso il giorno che ricorda l’indipendenza del paese dall’Unione sovietica. Immediato è stato dunque l’intervento del pontefice, apparso come una inusuale risposta agli appelli russi che hanno chiesto alla comunità internazionale di difendere la libertà religiosa e di sostenere la chiesa ortodossa ucraina legata al patriarcato di Mosca, non nominata nel testo della legge, ma senza dubbio suo principale obiettivo.
La misura legislativa ucraina entrerà in vigore in settembre e lascia nove mesi di tempo alle organizzazioni religiose per provare che non hanno legami con la Russia. Per la chiesa ucraina fino a qualche tempo fa dipendente dal patriarcato russo – pur divisa e tormentata al suo interno – non sarà facile dimostrarlo. Questa chiesa ha infatti «preso le distanze da Mosca, ma senza rompere», ha detto a La Croix l’intellettuale ortodosso Jean-François Colosimo, perché tra i suoi gerarchi alcuni «hanno fatto le stesse scuole» dei diplomatici russi legati ai servizi segreti.
Due anni e mezzo di guerra e soprattutto il processo che ha portato all’indipendenza politica ucraina hanno reso una situazione politica e religiosa già complicata ancora più confusa ed esplosiva. Nel paese si contrappongono infatti ben tre chiese ortodosse, e i fedeli sono disorientati.
In frantumi è la stessa ortodossia mondiale, in gran parte per responsabilità russa.
Il patriarcato di Mosca – diviso anch’esso al suo interno – ha sabotato e affondato il concilio panortodosso di Creta, che era riuscito a riunirsi nel 2016 dopo decenni di preparazione, e si espande ora in Africa a danno dell’antico patriarcato di Alessandria. Durissima è poi stata la condanna del sostegno di Cirillo all’invasione russa, ribadita lo scorso maggio a Vida Nueva da Bartolomeo, il patriarca di Costantinopoli, prima sede dell’ortodossia, che ha appena inviato una sua delegazione in visita alla chiesa greco-cattolica ucraina guidata da Svjatoslav Ševčuk.
La storia spiega queste vicende, astruse per gli occidentali. Proprio nella Rus’ di Kiev affondano nel 988 le radici della cristianizzazione del grande territorio pagano, e per secoli il riferimento è stata la chiesa madre di Costantinopoli. Solo con il tempo la più importante sede ecclesiastica, in parallelo con il rafforzarsi del potere russo, si è spostata da Kiev più a nord, prima a Vladimir, poi a Mosca.
Per questo l’Ucraina è così importante per il cristianesimo russo, e per questo Cirillo, in sintonia con Putin, non può perderla – numerosi sono i fedeli e le parrocchie – e vuole inglobarla nel progetto imperiale del «mondo russo». Costi quel che costi.
Non è invece complicata da capire la situazione in Nicaragua, di cui pure ha parlato il papa. Nel paese centroamericano da anni la chiesa cattolica, per decisione del sandinista Daniel Ortega, è oggetto infatti di una vera persecuzione, a cui però il pontefice – prima delle parole riservate all’Ucraina – ha alluso in modo sbiadito, con un cenno a «momenti di prova».
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