Le forze dell’ordine fanno irruzione pure nella abitazione del Giuseppe Di Fiore. Il “picciotto” appartiene alla famiglia mafiosa locale. Nel sottofondo di un comodino della camera da letto anche una agenda, piena di annotazioni, con le espresse diciture “entrate”, “uscite” o, in alternativa, “+” o “–”, una sorta di libro mastro. Tutto dettagliatamente appuntato
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.
La capillare tassazione mafiosa è un qualcosa di assai concreto e attuale.
Ci sono prove documentali. Una è stata raccolta dalla polizia giudiziaria nell’operazione “Grande mandamento”.
Gennaio 2005. Scattano gli arresti per i complici di Bernardo Provenzano nel “feudo” di Bagheria. Le forze dell’ordine fanno irruzione pure nella abitazione del Giuseppe Di Fiore. Il “picciotto” appartiene alla famiglia mafiosa locale. Inizia la perquisizione. Nel sottofondo di un comodino della camera da letto una scoperta apparentemente uguale a tante altre. Foglietti, mazzette di denaro, alcune con indicazioni specifiche della loro provenienza scritte su post-it, titoli di credito (cambiali, assegni) ma anche una agenda, piena di annotazioni, con le espresse diciture “entrate”, “uscite” o, in alternativa, “+” o “–”, una sorta di libro mastro. Tutto dettagliatamente appuntato.
Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, che ha definito in primo grado il processo “Grande mandamento”, afferma: “nel presente reperto, scritto su ambedue i lati, la parola “entrate” inserita nella parte superiore del foglio, seguita da una elencazione di nomi e luoghi (successivamente individuati come ditte e siti di lavori) con a fianco indicazioni numeriche esprime già di per sé che trattasi di una dicitura contabile che tende a differenziare il reperto da altro contente la opposta dicitura “uscite”. Già l’inserimento del detto foglio in una agenda nella quale sono risultate annotate diciture come quelle relative alle uscite con elencazione di nominativi riferibili a soggetti tutti facenti parte dell’organizzazione mafiosa bagherese, rende ragione del fatto che trattasi di una contabilizzazione analitica delle entrate della famiglia mafiosa di Bagheria.
Trattasi di conclusione che trova definitiva ed insuperabile conferma come si vedrà nell’esame analitico di ogni singola annotazione – negli esiti investigativi che hanno confermato trattarsi di ditte e commercianti svolgenti la loro attività nel comune di Bagheria, ed i cui titolari, in alcuni casi, hanno ammesso di avere pagato somme ai mafiosi del luogo”.
I foglietti mostrati sono le tracce della principale attività illecita dell’associazione mafiosa a Bagheria e dintorni, come accerterà una consulenza tecnografica. Tracce di una attività che ritroviamo, con le stesse caratteristiche, nei discorsi di Antonino Rotolo, Francesco Bonura e Vincenzo Marcianò, intercettati dalle forze dell’ordine nell’operazione “Gotha”, quando si confrontano sui destinatari delle richieste di pizzo, su quanto si deve percepire e su chi deve riscuotere nelle zone palermitane di Porta Nuova, Borgo vecchio, Passo di Rigano, Acquasanta, Noce, Brancaccio, Pagliarelli.
Le annotazioni trovate nella casa del Di Fiore raffigurano plasticamente il modo di controllare le iniziative economiche e di gestire l’occupazione di tante persone nel “grande mandamento”.
Per chi lo subisce il prelievo estorsivo oltre a gravare costantemente sul bilancio della azienda, pesa in maniera determinante sulle prospettive future, riduce le risorse disponibili da destinare allo sviluppo e può limitare gli investimenti. Chi se ne avvantaggia è la struttura organizzativa e finanziaria di Cosa Nostra.
Il “pizzo” sovvenziona le imprese degli “uomini d’onore” e permette loro di reinvestire in lucrosi affari sui mercati legali e illegali. Il “pizzo” consente a Cosa Nostra di costruire e gestire reti di relazioni che si articolano in contesti diversi riuscendo per questa via a mobilitare risorse materiali e finanziarie da utilizzare per il conseguimento dei propri fini.
Grazie al prelievo forzoso le cosche sopravvivono e si riproducono. In alcuni momenti storici si è registrato un disimpegno di Cosa Nostra in importanti mercati neri, ad esempio quello degli stupefacenti, ma l’organizzazione, da quando esiste, non ha mai rinunciato a qualche forma di offerta di protezione.
Per questo motivo, chi commette l’estorsione, agevolando Cosa Nostra, merita una sanzione più rigorosa rispetto a quella che deve essere inflitta a colui che la pratica in contesti di criminalità comune. La messa in pericolo della collettività e delle singole vittime è più intensa e, tutto ciò, giustifica il carico penale aggravato secondo le indicazioni dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991.
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