Nino Rotolo, il boss di Pagliarelli, trova clamoroso il fatto che Provenzano, conoscendo l’ordinamento mafioso, “in barba” alle regole, gli dica espressamente che quella decisione sugli Inzerillo poteva essere modificata per volontà di un triumvirato di fatto, ossia da loro due e Lo Piccolo
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.
Quando Rotolo ricorda all’atterrito Sandro Mannino dei “patti antichi” si riferisce alle regole della organizzazione. Sono regole emanate da un organo sovraordinato previsto nella “costituzione” di Cosa Nostra, la commissione provinciale.
E il boss di Pagliarelli trova clamoroso il fatto che Provenzano, conoscendo l’ordinamento mafioso, “in barba” alle regole, gli dica espressamente che quella decisione sugli Inzerillo poteva essere modificata per volontà di un triumvirato di fatto, ossia da loro due e Lo Piccolo. La condizione di “sonno” della commissione, causata dal fatto che la maggior parte dei “componenti” si trova nelle patrie galere, non esclude la vigenza delle decisioni da essa prese in passato sino a quando non verranno formalmente abrogate.
Al di là dei momenti di crisi e di quelle che sono state le strumentalizzazioni, la Commissione provinciale nasce come organo di “democrazia” nei rapporti interni ed esterni. Viene istituita proprio per tenere sotto controllo la conflittualità dentro l’associazione, per evitare l’ascesa di una leadership monocratica e oligarchica, per porre un argine ai conflitti intrafamiliari più seri, prevedendosi la facoltà di sospendere un capo famiglia o mandamento e nominare un reggente.
La commissione è, quindi, un tassello irrinunciabile dell’ordinamento piramidale di Cosa Nostra. Per una macro-organizzazione criminale, che fisiologicamente oscilla tra unità e segmentazione, non è un fatto nuovo darsi un organo di coordinamento e delle regole cogenti.
L’idea che pure la mafia possa essere concepita come un ordinamento giuridico risale ad una brillante intuizione del giurista siciliano Santi Romano, il quale la espresse in una celebre opera di teoria generale di diritto pubblico, pubblicata per la prima volta a Pisa nel 1917 e intitolata “L’ordinamento giuridico”. Romano affermò: “Sotto la minaccia delle leggi statuali, vivono spesso, nell’ombra, associazioni la cui organizzazione si direbbe quasi analoga a quella dello Stato: hanno autorità legislative ed esecutive, tribunali che dirimono controversie e puniscono, agenti che eseguono inesorabilmente le punizioni, statuti elaborati e precisi, come leggi statuali. Esse dunque realizzano un proprio ordine, come lo Stato e le istituzioni statualmente lecite”.
I documenti a disposizione, le carte processuali, i contenuti delle intercettazioni relative a diversi procedimenti penali per fatti riconducibili a Cosa Nostra confermano quella analisi ormai datata.
Cosa Nostra è ancora oggi un organismo sociale complesso, nell’ambito del quale si è instaurata una disciplina che contiene tutto un ordinamento di autorità, di poteri, di norme, di sanzioni. In alcuni frangenti della sua lunga vita, si è presentata come una organizzazione piramidale e verticistica, diversamente da altre due “mafie storiche” come la camorra napoletana e la ‘ndrangheta calabrese che registrano una struttura orizzontale, tutt’al più in grado di dar vita a forme di federalismo.
Non è casuale la scelta dell’assetto piramidale e verticistico. Come spiegava Giovanni Falcone: “più una organizzazione è centralizzata e clandestina più è temibile, perché dispone dei mezzi per controllare efficacemente il mercato e mantenere l’ordine sul suo territorio, con un intervallo di tempo brevissimo tra processo decisionale ed entrata in azione”.
Più difficile comprendere se Cosa Nostra possa essere considerata come una sorta di “anti-Stato” o Stato autonomo che si contrappone dall’esterno allo Stato legale, o come una specie di “intra-Stato” o “Stato nello Stato”. Il modo di interpretarla da parte dei suoi adepti è oscillante. Dipende da una serie di fattori storicamente variabili. Non solo dalla volontà di esercitare il “monopolio della violenza” su un certo territorio. Ma anche dalla capacità di penetrare nel circuito delle istituzioni e del mondo economico-sociale, di stringere alleanze con esponenti politici e di intercettare flussi di denaro pubblico; o viceversa di contrapporsi in maniera frontale, tentando di sovvertire con la violenza e i metodi terroristici l’ordine costituito.
In ogni caso, quando Rotolo, Bonura, Sansone e Cinà nel residence di viale Michelangelo discutono se sia legittimo o meno, secondo le regole mafiose, il ritorno in Italia degli Inzerillo, esiliati negli U.S.A., i tre capi insistono sull’obbligo di rispettare il dictat della commissione e, dunque, il codice di Cosa Nostra.
Pare che il tempo si sia fermato. La struttura organizzativa e giuridica di Cosa Nostra del terzo millennio, quella fotografata dalle carte sequestrate a Salvatore Lo Piccolo, scolpita nei “pizzini” di “Binnu” Provenzano, spiegata e vissuta nelle lunghe conversazioni tra i boss palermitani sul “ritorno degli scappati”, all’interno del box in lamiera di “Nino” Rotolo, si presenta formalmente identica a quella scolpita nella sentenza che ha chiuso il primo maxi processo alla mafia.
Sulla carta sono ancora validi i paradigmi dell’organizzazione decodificata ma non smantellata dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta. Paradigmi illustrati con dovizia di particolari da colui che, non condividendone più le logiche sanguinarie, aveva deciso di collaborare con i magistrati del capoluogo siciliano nel 1984.
Di quella struttura associativa ne hanno dipinto un quadro ancor più dettagliato i giudici della corte di assise di Palermo nel 2004. Ricordano in particolare che “l’organizzazione Cosa Nostra, pur essendo articolata in aggregati minori (famiglie, decine ) legati ad un particolare e delimitato territorio, è in realtà un’organizzazione unitaria diffusa in tutta la Sicilia (ma anche fuori da essa) con organismi direttivi centrali e locali, costituiti secondo regole precise che ne governano minutamente la vita e sanzionate da pene di diversa gravità, (dalla sospensione alla morte), irrogate da organi a ciò deputati”.
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