Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


La Procura muove correttamente sotto il profilo del metodo dalle condanne irrevocabili pronunciate per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980: come sappiamo tali condanne irrevocabili riguardano tre esecutori materiali dell'azione terroristica (Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, rispettivamente di ventidue e ventuno anni ed il diciassettenne Luigi Ciavardini). Costoro giudicati responsabili dei delitti di strage (art. 285 c.p.), omicidio doloso plurimo aggravato (artt. 575, 577 c.p.), costituzione e partecipazione ad una banda armata (art. 306 c.p.), inoltre Licio Geli, Francesco Pazienza, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte furono condannati per il delitto di calunnia aggravata (art. 368 c.p.) compiuto mediante una condotta di depistaggio diretta a sviare gli accertamenti giudiziari (fu costruita, allo scopo, una falsa pista investigativa).

Licio Gelli era il capo della loggia massonica P2 nella quale erano inseriti all'epoca dei fatti, i vertici dei servizi segreti civile e militare. Il Pazienza, il Musumeci ed il Belmonte, dal canto loro, rivestivano negli anni 1980-1981 ruoli di responsabilità in seno al servizio segreto militare italiano (SISMI).

Come si è progressivamente osservato, sia pure m modo sparso, nell'esposizione del materiale probatorio rilevante per il giudizio sul contesto in cui è maturata la strage e quindi sugli interessi e la causale sottese che rinviano ai soggetti indicati come "mandanti" nel capo d'imputazione (non un formale atto di accusa nei confronti dei "mandanti" ma descrizione di un contesto e di un panorama di riferimento entro cui collocare l'azione dell'unico accusato di strage oltre che degli altri imputati connessi, per definirne puntualmente il ruolo), l'indicazione nel senso storico anzidetto di soggetti indicati come "mandanti" non solo non smentisce, ma rafforza le prove sul conto degli esecutori. È anzi l'accertamento e la definizione dei rapporti tra i due ambiti ( esecutivi ed organizzativi) che sostiene indiziariamente la tesi sui mandanti, ma al contempo restituisce senso e pregnanza alle prove che avevano portato alle condanne irrevocabili che assumono ora una luce ancora più intensa.

Il quadro probatorio acquisito nei giudicati compone armonicamente il complesso degli elementi di prova nuovi e con ciò da un lato conferma la sua solidità e dall'altra costituisce la piattaforma di una ricostruzione che inquadra una narrazione complessa.

Il giudizio sulla tenuta dei giudicati alla luce dell'istruttoria dibattimentale è quindi assolutamente condivisa da questa Corte che ne trae ragione per rafforzare la propria ricostruzione, alla cui base si pongono gli accertamenti delle sentenze passate in giudicato con le loro ricostruzioni probatorie asse di questo processo per tutto ciò che non riguarda gli specifici temi di questo processo, con i quali si integrano perfettamente. Si può aggiungere, a giudizio di questa Corte, che in alcuni casi il quadro di insufficienza di prove che portò correttamente sul piano tecnico, ad alcune assoluzioni, potrebbe essere rivalutato, sul mero piano storico e critico alta stregua delle nuove acquisizioni probatorie, susseguenti alle indagini degli anni Novanta del colonnello Giraudo e delle autorità giudiziarie milanesi, bresciane e della stessa indagine bolognese Italicus bis.

Le ricerche storiche indirizzano in questa direzione.

Fermi pertanto i noti consolidati principi tecnico-giuridici sul valore probatorio delle sentenze irrevocabili, come illustrati nella memoria della Procura Generale, il quadro storico e delle responsabilità desunto dalle sentenze di merito e di legittimità (sentenze delle Sezioni Unite emesse il 12.02.1992 ed il 23.11.1995 e Corte di Cassazione 11.04.2007) nei confronti di Fioravanti, Mambro e Ciavardini non solo trova conferma nel presente processo, ma si arricchisce di ulteriori elementi non valutati nei procedimenti originari, acquisiti al fascicolo del dibattimento272 sui quali si tornerà nel prosieguo della presente trattazione.

Non solo. Pure l'accertamento delle condotte di depistaggio delle indagini sulla strage del 2 agosto 1980 attribuite a Pietro Musumeci, a Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza in concorso con Licio Gelli ha trovato puntuale riscontro sia nella sentenza emessa dalla Corte di Assise di Roma il 29.07. l 985 con la quale il Musumeci ed il Belmonte furono condannati per i reati di detenzione e porto illegale delle armi e degli esplosivi utilizzati nella operazione denominata "terrore sui treni" del gennaio 1981 che diede corpo allo sviamento delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna, sia nelle dichiarazioni rese dal maresciallo dei carabinieri Francesco Sanapo, acquisite al fascicolo del dibattimento a seguito del decesso del testimone.

A seguito dell'esame di Sergio Picciafuoco e del suo confronto con l'imputato Bellini, la posizione di questo personaggio viene riesaminata e rianalizzata per i contributi che da essa possono derivare a questa nuova fase dell'indagine processuale.

La Procura ricorda che nella vicenda del 2 agosto 1980 Sergio Picciafuoco venne implicato per la sua presenza ingiustificata alla stazione nel momento in cui si verificava l'attentato.

Nei processi di merito svolti innanzi all'autorità giudiziaria di Bologna il Picciafuoco fu condannato all'ergastolo. Tuttavia, il processo si concluse il 18.06.1996 con una sentenza assolutoria (con motivazione di insufficienza della prova) emessa dalla Corte di Assise di Appello di Firenze, a seguito di giudizio di rinvio per l'annullamento della condanna da parte della Corte di Cassazione.

La pronuncia assolutoria di Sergio Picciafuoco si fondò sul rilievo che non era stata dimostrata l'adesione alle tesi della destra eversiva che avevano ispirato Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, esponenti di spicco dei NAR per i quali era stata accertata la partecipazione all'atto terroristico; ciò benché l'imputato avesse frequentato nel 1979 personaggi vicini alla formazione eversiva di Terza Posizione dalla quale provenivano gli stessi Mambro e Fioravanti. In sostanza, si escluse che esistesse prova di un legame politico tra Picciafuoco e l'area dei c.d. NAR che avevano realizzato l'azione.

Le indagini compiute negli anni successivi dai consulenti e dai difensori delle parti civili per recuperare tutti gli elementi dispersi nelle carte dei processi e sistematicamente recuperate e riavviate direttamente dalla Procura generale con i suoi autonomi accertamenti hanno permesso al pubblico ministero di riformulare un giudizio storico sul Picciafuoco, ferma la sua condizione formale e processuale di "prosciolto".

È una conclusione conforme a quella a cui è pervenuta questa Corte alla stregua delle emergenze processuali, di cui si tratta anche in altra parte di questo documento.

Il giudizio nei confronti di Picciafuoco può essere qui riesaminato nella misura in cui giova alla ricostruzione qui in corso e in conformità ai principi giurisprudenziali più volte richiamati che consentono di riesaminare i fatti posti a base di sentenze irrevocabili, associandoli a nuove emergenze probatorie che consentono di modificare le valutazioni anche nei confronti di soggetti in passato assolti ma raggiunti da nuove combinazioni probatorie.

La memoria richiama "nuove e significative acquisizioni probatorie" ed è un giudizio che corrisponde ai dati di cui si dispone, e di cui si è dato in parte conto in precedenza; esse proiettano la strage di Bologna nel contesto di un'organizzazione complessa per la quale furono stanziate importanti somme di denaro "di matrice piduistica, al cospetto del quale evaporano del tutto le tesi eversive dei cosiddetti spontaneisti armati dei NAR, che furono, invece, meri strumenti esecutivi prezzolati di strategie altrui di ben più alto livello".

Tra gli elementi che impattano contro il proscioglimento di Picciafuoco è la condanna di Luigi Ciavardini (pronunciata nell'anno 2004, irrevocabile nel 2007) per concorso in strage con Fioravanti e Mambro.

È acclarato che Luigi Ciavardini, pur partecipando ad alcune azioni terroristiche firmate dal gruppo NAR di Fioravanti ed altri (tra cui gli omicidi dell'appuntato della polizia di Stato Franco Evangelista, commesso il 28.05.1980, nonché del magistrato Mario Amato consumato il 23.06.1980), era un esponente del gruppo eversivo Terza Posizione, al quale aveva aderito prima della strage del 2 agosto 1980 ed in seno al quale mantenne intatto il suo ruolo di intraneo anche in seguito, soprattutto in considerazione del suo stretto legame con Roberto Fiore, mai rinnegato, e dal quale ottenne sostegno e protezione nel momento della rottura con Fioravanti e con gli altri correi. È questa la posizione della sentenza di condanna, emessa dalla Corte d'Appello di Bologna, sez. Minorenni, il 13.12.2004, irrevocabile in data 11.04.2017 , al capitolo VI, da pag. 32; in particolare, pag. 54 - ali. n. 4 cap. 1-2).

La presenza nella compagine stragista di un militante di Terza Posizione apre una prospettiva diversa sull'area dei partecipanti all'esecuzione della strage, che appare ben più ampia del ristretto nucleo che alla fine ha superato il vaglio della Cassazione dopo il primo processo.

Sergio Picciafuoco era nato ad Osimo ed era ritenuto un simpatizzante di Terza Posizione; il processo a suo carico ha dimostrato che egli aveva rapporti con il concittadino Leonardo Giovagnini e che frequentava la sede di Radio Mantakas, emittente legata a tale gruppo eversivo, come dichiarò all'epoca Massimo Buscarini, uno degli speaker della radio.

Il collegamento con Terza posizione e con Ciavardini rende la presenza di Picciafuoco alla stazione di Bologna tutt'altro che isolata e non connessa con la strage proprio per l'accertata presenza attiva del Ciavardini, di cui la Corte fiorentina che assolse, non poté tenere conto. Sergio Picciafuoco era latitante dall'anno 1970. E questa è già una stranezza, perché Picciafuoco ha vissuto piuttosto comodamente la sua latitanza, mostrando per ciò che si evince dal processo principale, un'ampia disponibilità economica.

Egli subito dopo la strage, recatosi in ospedale a Bologna per farsi medicare perché lievemente ferito, declinò le false generalità di Enrico Vailati, senza tuttavia esibire alcun documento. È accertato che all'epoca, si avvaleva di una carta d'identità falsificata intestata a Eraclio Vailati, nominativo simile a quello di Adelfio Vailati (per il cognome e la comune origine greca del nome), risultante dalla patente falsa utilizzata da un altro militante di Terza Posizione, Alberto Volo, amico e braccio destro del leader palermitano di T.P. Francesco Mangiameli (cfr. sul punto le sentenze e la testimonianza di Alberto Volo, raccolta prima della sua morte dalla Procura generale).

Come è noto, nel settembre del 1980 il Mangiameli fu assassinato dallo stesso Fioravanti.

La vicenda e il suo valore probatorio rispetto all'accertamento delle responsabilità è diffusamente ricostruita nella sentenza di primo grado e in modo particolarmente chiaro in quella della Corte di assise d'appello del 1994.

Altro dato fermo che si ricava dalle sentenze è che la carta d'identità a nome Eraclio Vailati fu utilizzata dal Picciafuoco per coprire la sua latitanza negli anni 1979-1980 in soggiorni alberghieri effettuati a Modena e Sondrio, in epoca prossima alla strage e successiva all'utilizzo del documento analogo da parte di Alberto Volo (a partire dall'anno 1975) come emerge dal verbale - pag. 13 - d'interrogatorio del Volo in data 13.09.1980, secondo il quale fu lui stesso a falsificare in modo artigianale il proprio documento del quale era stato disposto il ritiro all'epoca della sua detenzione in carcere, cessata nell'anno 1975.

[…] Dunque, un elemento decisivo collega Picciafuoco all'area politica dell'estrema destra, collusa con servizi deviati; si tratta del falso documento Vailati di Sergio Picciafuoco proveniva da una partita di moduli di carte d'identità ricettate in bianco da Guelfo Osmani, del servizio segreto militare e falsario di ottima qualità. Nel rapporto della Questura di Bologna del 14.03.1994, acquisita agli atti si conferma che la carta d'identità utilizzata da Sergio Picciafuoco proveniva da una partita di moduli sottratti in bianco nell'anno 1972 dal comune di Roma e ricettati da Guelfo Osmani (tra questi era compreso il modulo n. 03291452 usato dal Picciafuoco ). Questa partita era stata consegnata al capitano dei carabinieri Giancarlo D'Ovidio, protagonista della c.d. "provocazione" di Camerino. Di D'Ovidio, l'Osmani era collaboratore, come si evince dalla relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi, di cui si è detto in altra parte di questo documento.

L'esistenza di un rapporto di collaborazione tra il falsario-ricettatore Guelfo Osmani ed il servizio segreto militare è dimostrato dai verbali di interrogatorio dell'Osmani, reso al giudice Salvini il 7 aprile 1993, nel quale Osmani riferisce della consegna al capitano. D'Ovidio di 600 moduli per carta d'identità, rubati al Comune di Roma e di confronto tra lo stesso Osmani e Federigo Mannucci Benincasa, nel quale Osmani contesta al colonnello la consegna di documenti d'identità falsi di ogni genere, formulando al contempo pesanti accuse di detenzione di esplosivo e cocaina, a conferma delle relazioni pericolose mantenute da esponenti dei servizi, contando sulla presunzione di impunità. In detto verbale è evidente l'imbarazzo dell'Ufficiale che non ha potuto negare la relazione con l'Osmani, non spiegata né giustificabile in modo diverso, né ha in alcun modo saputo contrastare le accuse dell'interlocutore, basate su racconti dettagliati e circostanze specifiche. Specifico riscontro alle dichiarazioni di Osmani è costituito dall'acquisizione dell'agenda di quest'ultimo (in atti) nella quale compaiono le annotazioni dei recapiti telefonici di Giancarlo D'Ovidio (pag. 34) e di Antonio Labruna (pag. 183), indicato con il soprannome "Tonino" dallo stesso Osmani che ne era diventato confidente.

Si osserva ed è possibile riscontrare che gli accertamenti di polizia giudiziaria effettuati sui numeri in questione, rinvenibili negli atti del procedimento relativo alla strage di Brescia, ne hanno confermato l'attribuzione a soggetti facenti parte dei servizi segreti: in merito al D'Ovidio, si rinvia al rapporto della Questura Chieti in data 17.10.1987 in atti nel quale a pag. 12, sono riportati 4 recapiti telefonici: 381941, corrispondente a quello segnato in agenda dall'Osmani, nonché i numeri, 4 735/4251, 386055 e 589244 formalmente associati al tenente colonnello Giancarlo D'Ovidio, di fatto operativo al servizio segreto militare, come risulta dall'annotazione dell'Ispettore Cacioppo del 5.12.2002, pag. 1462, in cui si menzionano come appartenenti al medesimo servizio il noto Antonio Labruna ed il Mannucci Benincasa; quanto al Labruna, nell'annotazione di servizio del 7.10.1993 della DIGOS di Bologna, si analizzano i diversi numeri di telefono dell'agenda dell'Osmani e tra i vari numeri intestati nell'agenda a Tonino Labruna che formalmente non riconducono al noto personaggio, se ne riscontro almeno una in effettiva disponibilità dello stesso, per cui può ritenersi accertato il collegamento di Osmani col noto esponente del servizio segreto militare.

Le stesse annotazioni confermano che sia il D'Ovidio, sia il Labruna, con il quale cooperavava stabilmente Guelfo Osmani, erano iscritti alla loggia massonica P2. Le nuove emergenze probatorie si innestano sui giudicati e possono essere così sintetizzate:

1. Sergio Picciafuoco era indirettamente collegato, attraverso Leonardo Giovagnini alla formazione terroristica Terza Posizione, di cui frequentava l'ambiente marchigiano, in quel luogo ove convergevano i romani che era radio Mantakas;

2. Attraverso questo centro di collegamento entrò in contatto con gli esecutori della strage del 2 agosto 1980;

3. Picciafuoco non era un militante qualsiasi della destra; la sua era una latitanza "conosciuta", perché poteva giovarsi della copertura di un documento proveniente da un collaboratore di quel servizio segreto militare eterodiretto da Licio Gelli e massicciamente infiltrato da esponenti della P2;

4. in questo ambito era agevolmente reclutabile come elemento di supporto all' esecuzione della strage, possedendo tutte le caratteristiche di anonimato e clandestinità per essere presente sul luogo del delitto e sparire come vi era apparso;

5. l'adesione di Sergio Picciafuoco a Terza Posizione risulta conclamata dalla nota 2 ottobre 1989, acquisita dalla Procura generale e versata in atti, con la quale il SISDE (Servizio Informazioni per la Sicurezza Democratica) informava il CESIS (Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza) sulla situazione della popolazione carceraria, documento poi inoltrato alla Commissione parlamentare d'inchiesta per il rapimento e la morte dell'Onorevole Aldo Moro. In detto documento a pag. 209 si legge: PICCIAFUOCO SERGIO, NATO AD OSIMO (AN) L'11.11.1945 ED IVI RESIDENTE IN VIA S. LUCIA N. 32. DISOCCUPATO. TERZA POSIZIONE. IRRIDUCIBILE;

6. si deve escludere - osserva la Procura generale - che Picciafuoco sia stato estraneo a Terza Posizione fino all'agosto 1980 e sia entrato in tale gruppo eversivo in epoca successiva, fino a diventarne esponente irriducibile; d'altra parte, l'irriducibilità non era collegabile al gruppo, che dopo il 2 agosto si era andato frantumando e disperdendo, con i leader Fiore e Adinolfi fuggiti all'estero e latitanti e Francesco Mangiameli assassinato nel settembre 1980 da Fioravanti ed altri (sentenza Corte d'assise di Roma del 16.7.1986, tra le sentenze in atti).

La combinazione di tali nuovi elementi con i preesistenti produce un quadro probatorio che è mancato secondo la Corte d'assise d'appello di Firenze quando mandò assolto Picciafuoco; tale nuova prospettazione conferma viceversa ex post il ragionamento della Corte d'assise di Bologna del 1994 secondo cui Sergio Picciafuoco aveva frequentato l'ambiente di Radio Mantakas in epoca di poco antecedente alla strage e "tale frequentazione aveva comportato che l'imputato avesse contatti, anzitutto, con il Giovagnini, che conosceva fin dall'infanzia, ma anche con altri esponenti di Terza Posizione che gravitavano attorno alla emittente. L'imputato, poi, aveva mostrato concreta attenzione per le idee di T.P., […]. Va ricordato che Sergio Picciafuoco è incluso nella famosa lista dei militanti delle formazioni eversive di estrema destra, annotati nell'agenda del 1983 di Gilberto Cavallini, a sua volta condannato e in attesa di appello da altra Corte d'assise per la strage di Bologna.

L'agenda di Cavallini che include anche Bellini (univocamente benché con errore sul nome di battesimo) è un documento fondamentale, perché vi è contenuta rispetto a ciascun militante una precisa collocazione politica e soprattutto un giudizio di fedeltà e infedeltà alla causa dura e pura, tanto che alcuni nomi sono segnati con un segno di croce in quanto collaboratori. Orbene l'indicazione di Picciafuco è altrettanto inequivoca, mentre è certamente significativo quanto si legge in memoria e cioè che Cavallini nel suo processo si è rifiutato di dare indicazioni su dette annotazioni. Picciafuoco era quindi conosciuto e inserito nei ranghi della destra eversiva coordinata dal Cavallini; in tal modo il quadro indiziario a suo carico assume un rilievo ben più consistente. E non è un caso che Picciafuoco abbia cercato in tutti i modi di sottrarsi a comparire avanti a questa Corte, assumendo un atteggiamento reticente e sfuggente come di chi l'ha fatta franca e non vuole correre alcun rischio, nonostante l'assicurazione dell'intangibilità dell'assoluzione. La paura di Picciafuoco era evidente, così come è apparso evidente il suo imbarazzo e l'imperativo categorico di tacere e mentire. Si rinvia a questo proposito alle pagine dedicate al Picciafuoco nella Parte IV.

Si deve, pertanto, condividere l'idea che il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna non fossero presenti soltanto due terroristi dei NAR (Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro ), ma anche due esponenti di Terza Posizione, Sergio Picciafuoco e Luigi Ciavardini. Quest'ultimo nel periodo immediatamente successivo, grazie all'intervento di Roberto Fiore, suo diretto superiore di riferimento in TP, ottenne rifugio e ospitalità da altro aderente alla medesima formazione eversiva, Leonardo Giovagnini, concittadino e conoscente sin dall'infanzia del Picciafuoco.

Sergio Picciafuoco si avvaleva nel 1980 di una carta d'identità apocrifa, della quale non è stato in grado di giustificare la provenienza, riconducibile al ricettatore Guelfo Osmani, collaboratore di esponenti del SISMI deviato poi risultati iscritti alla loggia massonica P2; un documento riportante generalità simili a quelle utilizzate da Alberto Volo, militante anch'egli di Terza Posizione, mediante una patente falsa in suo possesso da alcuni anni.

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