Nato a Milano quasi 60 anni fa e ormai di casa a Washington, è riuscito a portare nella sua città i 96 membri dell’orchestra grazie a mecenati che hanno raccolto i finanziamenti e sono poi venuti a godersi lo spettacolo. «Il segreto è coinvolgere i giovani tra i 30 e i 40 anni. A Washington facciamo tre spettacoli alla settimana, e riempiamo la sala al 96 per cento dei posti».
Voglio anche io la mia pagina Finsta su Instagram, penso mentre percorro i cento metri che separano casa mia da quella dei coniugi Paola Galloni e Simone Colombo. La comodità di andare a cena dai vicini è usufruire del bar senza preoccupazioni, ma andare dalla Galloni – per chi segue Masterchef, la concorrente più divisiva della seconda edizione – ha anche il vantaggio di mangiare un piatto che sembra un arrosto, e invece è qualcosa di vegano.
Dopo le confidenze con l’amico fotografo Julian Hargreaves e Barbara D’Urso, e aver atteso invano che arrivasse Gherardo, padre del Colombo, di cui sono fan dalle medie e con cui solitamente parlo di cani, al terzo bicchiere mi sono fatta rapire dalla conversazione sull’uso dei social dai figli ventenni dell’epatologo Massimo Iavarone. Leda e Davide, 21 anni, accusavano gli adolescenti della generazione Alpha di creare pagine Instagram con un post solo «per non farsi definire dagli altri». E come in una seduta collettiva, gli adolescenti presenti confessavano di avere il Finsta, pagina Instagram privata con un nome fake, non riconducibile a loro. In futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti, diceva nel 1968 Andy Warhol. Ma non immaginava che alla generazione Alpha avrebbe fatto orrore.
Americani alla Scala
Se c’è una cosa che ho capito l’altra sera al ricevimento in onore del maestro Gianandrea Noseda alla Scala di Milano è che non tutti i milionari americani sono come Trump. «Obama è stato l’unico grande presidente che abbiamo avuto», diceva l’immobiliarista Jim Davis, mentre gustavamo un assaggio di riso allo zafferano nella sala Toscanini aspettando che salisse il direttore dopo la performance sul palco. «Mia moglie fa parte del board della National Symphony Orchestra», spiegava indicando un’elegante bionda sulla trentina, indaffarata con altri connazionali a fare foto con il busto in marmo di Puccini. Noseda, nato a Milano quasi 60 anni fa e ormai di casa a Washington, è riuscito a portare a Milano 96 membri della sua orchestra grazie a mecenati che hanno raccolto i finanziamenti e sono poi venuti a godersi lo spettacolo.
A brindare col Bellavista c’erano, tra gli altri, Roger Sant, magnate dell’energia, il finanziere newyorkese Ronald Abramson e l’imprenditrice Joan Bialek. Di fianco a me era commosso il fisico esperto di nucleare Riccardo De Salvo, di casa a Pasadena, ma io ero più attratta dal vicino che nel piatto apprezzava ananas e mozzarelle. «Il segreto è coinvolgere i giovani tra i 30 e i 40 anni. A Washington facciamo tre spettacoli alla settimana, e riempiamo la sala al 96 per cento dei posti», aveva spiegato Noseda a colazione al Mandarin Hotel, prima di correre al pranzo organizzato per lui da Francesco Micheli, nell’attico di via Jacini.
In platea, tra i volti noti c’erano Stefano Boeri, il console americano Douglass Benning e il console coreano Sian Hyung-Shik Kang. Gli applausi scroscianti erano per il quarantenne Carlos Simon, l’anno scorso vincitore di un Grammy, e per il pianista Seong-Jin Cho, coreano classe ’94, residente a Berlino. Non ricordo chi mi ha segnalato che l’abito del maestro Noseda era fatto su misura da Zegna. Ma ricordo bene la sua frase al ricevimento: «A ogni esibizione perdo due chili di liquidi, ma li riprendo dopo, brindando con l’orchestra».
Arte nei bagni chimici
Invece non ho ancora capito se era la festa del suo quarantesimo o un modo bizzarro di inaugurare la mostra di Oliviero Toscani sulla cacca curata da lui. Sta di fatto che l’esperto d’arte Nicolas Ballario l’altra sera ci ha portati tutti da Lampo, allo Scalo Farini, spazio dell’amico Fabio Lucarelli e, unitamente all’open bar molto efficiente, ha fatto scattare agli ospiti foto dentro ai bagni chimici Sebach, sponsor della serata. Io ne ho una con gli artisti Valerio Berruti e Agostino Iacurci, che, astutamente, ha indossato gli occhiali da sole e sembra Pierpaolo Piccioli di Valentino. «La cacca è l’unica cosa che l’essere umano fa senza copiare gli altri», dice Toscani in un video di presentazione. Ma in questa occasione, chi oserebbe biasimare Iacurci.
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