- Il caso di Gkn è diventato la madre di tutte le battaglie a causa dei modi inaccettabili con cui l’impresa ha comunicato il licenziamento dei lavoratori: via WhatsApp in un giorno in cui era stato previsto un permesso collettivo.
- Vicenda che è stata da molti descritta come un esempio plastico del fatto che in Italia sarebbe possibile un far west tale da consentire alle imprese di fare quello che vogliono.
- Ma in Italia, almeno nel settore metalmeccanico, è presente un sistema che non consente di agire in modo repentino e unilaterale quando le scelte riguardano il licenziamento collettivo dei lavoratori.
La decisione del tribunale di Firenze di revocare il licenziamento dei 422 lavoratori della Gkn di Campi Bisenzio si inserisce in un ampio dibattito sullo spazio d’azione delle aziende in Italia, e in particolare di quelle che non hanno una proprietà italiana. Da diverse settimane infatti di discute su un ipotetico decreto sul delicato tema delle delocalizzazioni di imprese che hanno oggi siti produttivi in Italia.
Da un lato chi vuole introdurre multe e penalizzazioni per chi delocalizza, convinto che questo sarà un incentivo a rimanere, dall’altro chi pensa che un intervento di questo tipo renda l’Italia un Paese in cui nessuno vorrà investire.
Sullo sfondo è rimasto il caso specifico di Gkn, subito diventata la madre di tutte le battaglie a cause dei modi inaccettabili con cui l’impresa ha comunicato il licenziamento dei lavoratori: via WhatsApp in un giorno in cui era stato previsto un permesso collettivo.
La vicenda è stata da molti descritta come un esempio plastico del fatto che in Italia sarebbe possibile un far west tale da consentire alle imprese di fare quello che vogliono, considerando i lavoratori un danno collaterale marginale rispetto alle loro scelta strategiche volte unicamente a massimizzare il profitto.
Non è da escludere che questa vulgata sia condivisa da molti dei fondi internazionali che operano nel nostro paese, complici le storiche difficoltà ad orientarsi nei meandri del diritto del lavoro italiano. Ma quello che emerge dopo la sentenza è che la situazione è abbastanza diversa.
Le regole ci sono
In Italia, almeno nel settore in questione, quello metalmeccanico, è presente un sistema che non consente di agire in modo repentino e unilaterale quando le scelte riguardano il licenziamento collettivo dei lavoratori. Senza scendere nei dettagli quello che interessa è che il contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, insieme ad un altro accordo aziendale, prevede procedure di comunicazione e consultazione che non sono state rispettate conducendo quindi ad una condotta antisindacale che ha vanificato il tentativo dell’impresa.
La solida tradizione di relazioni industriali nel nostro paese è quindi un argine già ben presente e solido ad azioni come il licenziamento collettivo via smartphone senza discussione preliminare.
Questo non significa certo che tornerà tutto come prima e che l’azienda tornerà sui suoi passi. Ma significa che sarà necessario affrontare le ragioni delle scelte aziendali in un confronto con il sindacato, ragioni che ad oggi appaiono difficili da comprendere se si guarda allo stato di salute dell’impresa, alle professionalità che contiene e alle commesse già concordate.
Al di là del caso specifico, questo fatto ci ricorda che le relazioni industriali, spesso dimenticate o identificate solo con i dibattiti nazionali (pensiamo a quello sul green pass obbligatorio), hanno una grande incidenza nelle dinamiche quotidiane del lavoro e anche delle politiche industriali.
Prima con i protocolli per la sicurezza che hanno consentito di riaprire le imprese nei mesi più duri della pandemia, e oggi con un sistema di contrappesi tra le parti che consente almeno di rallentare le decisioni repentine e unilaterali di chi vorrebbe operare nel nostro territorio senza regole.
Il problema non è la delocalizzazione
Qualcuno potrà utilizzare questo fatto per dire che non serve alcun intervento normativo sulle delocalizzazioni, ma questo sposterebbe solo il tema. Qui non si discute se il contesto delle relazioni industriali italiano consenta di bloccare o meno le delocalizzazioni, ed è difficile immaginare che sia così.
Il tema è diverso e riguarda una questione di metodo, che si ricollega anche a quanto accaduto con l’accordo Amazon di pochi giorni fa. Ossia che in Italia non si può prescindere da un tentativo di dialogo tra le imprese e i rappresentanti dei lavoratori. Vuoi che sia per motivi economici legati alla detassazione prevista da alcuni istituti introdotti dai contratti aziendali (come ad esempio il welfare aziendale), vuoi che sia per la necessità di applicare un contratto collettivo che definisce un chiaro perimetro frutto delle decisioni delle parti alle quali le imprese devono adattarsi.
Lo ha capito Amazon negli anni, e lo ha capito, a mezzo sentenza, Gkn. Allora occorrerebbe lasciare spazio a livello aziendale e anche territoriale a questi attori che hanno ancora, più di quanto si creda, la capacità di regolare conflitti e che possono governare tante delle partite dell’innovazione del tessuto produttivo italiano.
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