- La paura nera del virus ci ha riportato alla nuda vita. Abbiamo perciò sopportato restrizioni alle libertà personali senza precedenti nella nostra storia repubblicana.
- Allora, a cosa serve la libertà, se una società può stare meglio anche senza essere libera?
- Se riusciamo a guardare oltre il green pass, capiamo che questo dubbio è il virus con cui le società occidentali si logoreranno nei prossimi anni.
La paura nera del virus ci ha riportato alla nuda vita. Abbiamo perciò sopportato restrizioni alle libertà personali senza precedenti nella nostra storia repubblicana. Eppure, se ci guardiamo intorno, vediamo che la libertà manca ovunque.
Quanti sanno che soltanto il 20 per cento della popolazione del pianeta è libera?
Il numero dei paesi che arretrano nel garantire le libertà fondamentali supera ogni anno il numero di quelli che avanzano. Dall’inizio degli anni 2000, il grande progetto razionale della modernità liberale ha cominciato a scricchiolare, quando non è stato più in grado di soddisfare le aspettative sociali come in passato.
È un’odissea, la storia della nostra libertà: un cammino lungo e tortuoso compiuto vertiginosamente dalla civiltà umana, in cui la libertà ha assunto sembianze molto diverse.
La ribellione di Prometeo
Si comincia nel mito, con Prometeo, che ruba il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini e, per questo gesto, subisce la punizione di Zeus, che lo fa incatenare a una roccia ai confini del mondo, nudo e esposto alle intemperie, con un’aquila che gli squarcia il petto e ogni giorno ritorna per divorargli il fegato, che gli ricresce durante la notte.
Prometeo è di certo il simbolo della ribellione, della sfida alle imposizioni e all’autorità – da Prometeo al green pass, sembra chiedere troppo.
Ma quando gli uomini sono in grado di sapere, grazie al fuoco donato da Prometeo, la prima cosa che sanno è il dolore e la morte. Perché vivere, se si deve morire? E come liberarsi da questa condanna?
Epicuro si illuse di fornire una rassicurazione: se sopraggiunge la morte, non ci siamo noi a dolercene. Lucrezio si angustiò per la fragilità degli esseri umani e il loro destino di sofferenza: la nostra è una natura di schiavi.
Però c’è stato chi si è ribellato alla schiavitù. Alla fine del mondo antico, Spartaco si mette alla testa dell’insurrezione dei gladiatori, che daranno del filo da torcere a Roma, l’emblema del potere.
Ai primi, pochi ribelli si aggiungono centinaia, migliaia di schiavi liberati lungo la penisola. Diventano un esercito di briganti e di clandestini, si abbandonano a ogni sorta di violenza.
È una lunga scia di sangue. Perché Spartaco è accecato dalla sete di vendetta: vuole far lottare nell’arena i patrizi catturati, con i gladiatori – quelli veri – seduti sugli spalti a godersi lo spettacolo. Sappiamo come andò a finire. Saranno trucidati dalle legioni di Crasso inviate dal Senato e crocifissi lungo la via Appia, tra Capua e Roma, come monito, a futura memoria.
La speranza cristiana
Se non c’era libertà nell’antichità, la tradizione cristiana ci dà la speranza della redenzione. Però il paradiso è così lontano, in un al di là ultraterreno. Qui, sulla terra, la schiavitù si perpetua, nel peccato e nell’asservimento ai tiranni. Ma se la libertà è riposta nell’al di là, c’è bisogno di una rivolta metafisica.
Si impugnano le armi del pensiero, Cartesio inaugura la filosofia moderna. È la ribellione dell’intelletto: come essere liberi, se non siamo liberi di pensare? Così si afferma il metodo scientifico, per liberarci dai pregiudizi e dalle false credenze, che ci riducono in cattività.
Il Sant’Uffizio ne mette all’indice le opere. C’è la caccia alle streghe e ci sono i roghi dei libri, non meno pericolosi se si domanda la libertà. Ma la rivoluzione della modernità è cominciata. E saranno gli illuministi, dopo di lui, a raccoglierne l’eredità e a spingersi oltre.
Si giura su un principio nuovo: la ragione, che deve liberarci da ogni superstizione e dalle dottrine dogmatiche. Abbiamo capito che non può esserci libertà senza verità.
Deicidio
Di lì al regicidio il passo è breve: scoppia la rivoluzione francese. Di tirannicidi nella storia ce n’erano stati tanti – chi può dimenticare le sorti di Giulio Cesare, morto alle Idi di marzo per le ventitré pugnalate inferte dai congiurati che vogliono abbattere la dittatura? Ma questa volta si aspira a un livello più sublime: il deicidio. Con la morte del re sul patibolo si vuole decretare la destituzione di dio, sancire il primato della giustizia terrena sulla grazia divina.
La monarchia lascia il posto alla repubblica. E con il potere del popolo si spezzano le catene del dispotismo dell’antico regime.
Ma come in ogni rivoluzione, viene il tempo delle epurazioni. Con il terrore giacobino, la ghigliottina diventa lo strumento della metafisica: decine di migliaia di teste tagliate.
Da conquista dell’uomo, la ragione è diventata ragion di stato. Alla fine, anche la testa di Robespierre rotola dentro una cesta in una piazza di Parigi.
Modello Napoleone
Il vero interprete sul piano filosofico della rivoluzione sta in Germania. Hegel sostiene che il senso di cui siamo alla ricerca non è sfuggente, non è riposto nell’al di là, non è fuori dalla nostra portata: la libertà è immanente, non trascendente («L’alfa e l’omega di tutta la filosofia è la libertà», dice l’amico Schelling). Il senso che cerchiamo si fa dunque nella storia, di cui noi stessi siamo gli artefici.
Il personaggio che incarna alla perfezione questo pensiero è Napoleone. Di origini tutt’altro che nobili, sembra dire al popolo: «Guardate me, fate come me. Grazie all’ambizione e al merito, chiunque, anche il più umile, può avere successo, diventare un eroe». È ciò che ci si vuole sentir dire.
È il nuovo mito della borghesia nata sulle barricate della rivoluzione. Il popolo desidera l’uguaglianza delle opportunità, il diritto all’ascesa sociale, anche al prezzo della libertà. Napoleone infatti si incorona imperatore. Adieu alla Repubblica!
Poi arriva Marx, il quale sostiene che tutti i filosofi prima di lui si sono limitati a contemplare il mondo, ma si tratta di cambiarlo. Per lui libertà significa liberazione dalla schiavitù dei bisogni materiali. Un traguardo da raggiungere nell’avvenire, dove è attesa una società senza classi.
Alla fede nella provvidenza divina si è sostituita la fede nel progresso. Anche il capitalismo – non sembri una provocazione – tende verso quell’obiettivo: l’incremento del potere d’acquisto dei ceti subalterni. Tutti consumisti! Ma in questo caso la fede è riposta nella «mano invisibile» del mercato.
Ancora oggi si sfidano il capitalismo liberale e liberista dell’Occidente e il capitalismo politico della Cina post-comunista. Negli ultimi trent’anni in Cina il Pil è aumentato di 14 volte, la speranza di vita si è allungata da 69 a 77 anni, il tasso di mortalità infantile è stato drasticamente ridotto da 42 ogni mille nati a 7, i poveri erano allora due terzi della popolazione e sono appena lo 0,5 per cento oggi, il tasso di iscrizione all’università è passato dal 3 al 51 per cento. E con l’accesso di massa ai consumi, anche in quel paese si è stratificata una solida classe media. Progressi straordinari compiuti in un arco di tempo brevissimo: solo trent’anni.
Ma la Cina è un regime autoritario e illiberale. La crescita economica e il miglioramento delle condizioni sociali non sono necessariamente correlati con un maggiore grado di libertà.
Allora, a cosa serve la libertà, se una società può stare meglio anche senza essere libera? Se riusciamo a guardare oltre il green pass, capiamo che questo dubbio è il virus con cui le società occidentali si logoreranno nei prossimi anni.
Il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii è stato uno degli ospiti di KUM! Festival (15-17 ottobre), manifestazione dedicata alla cura e alle sue diverse pratiche con la direzione scientifica di Massimo Recalcati e il coordinamento scientifico di Federico Leoni (www.kumfestival.it).
© Riproduzione riservata