Il grande giornalista è morto ieri a Roma, a 70 anni, a causa di una malattia fulminante. Esempio di coraggio civile, il suo lavoro sulla strage di Ustica ha ispirato generazioni di cronisti
Andrea Purgatori è morto mercoledì improvvisamente, e improvvisamente il giornalismo italiano si scopre più povero, orfano di uno dei pochi maestri che avevano il talento e la voglia di scavare dentro le notizie. Nella consapevolezza che la verità su vicende oscure della nostra storia (il caso Ustica, le stragi di stato, la scomparsa di Emanuela Orlandi sono eventi a cui il lavoro di Andrea rimarrà indissolubilmente legato) non si può leggere nei comunicati stampa o nelle ricostruzioni di comodo.
Ma che, al contrario, la verità è spesso celata dietro i muri di gomma eretti dal potere, che così protegge le sue responsabilità o le sue nefandezze, occultandole agli occhi dell’opinione pubblica.
Ho conosciuto Purgatori vent’anni fa alla scuola di giornalismo della Luiss, dove insegnava tecniche di giornalismo investigativo, e dove raccontava ai ragazzi che speravano di diventare come lui le tecniche e i rudimenti necessari a diventare un cronista, se non di razza quantomeno decente.
La curiosità, diceva sempre, è la prima molla che fa scattare un giornalista di fronte a un avvenimento. «Mai accontentarsi di quello che viene raccontato dalla propaganda, ma provare ad andare sempre oltre», il mantra. La passione, o il fuoco sacro come si dice in gergo, è conditio sine qua non per andare oltre le veline ufficiali, il concetto base.
Il mito delle sue inchieste
Soprattutto, Purgatori celebrava le virtù cardinali della costanza e della pazienza: la sua lezione insegna che solo con un certosino lavoro di investigazione il giornalista può provare a raccogliere (anche nel corso di anni, addirittura di decenni) i tasselli insabbiati di uno scandalo insoluto. Tessere di un mosaico che forse un giorno, messe uno a fianco all’altro, disegneranno gli eventi come sono avvenuti realmente.
Purgatori non c’è più, ma può consolarci l’evidenza che due o tre generazioni sono cresciute nel mito delle sue inchieste, veri lampi nel buio, e che giovani giornalisti hanno approcciato un mestiere da tempo declinante anche grazie al suo esempio.
Definito pure da un coraggio civile (parole spesso di cui si abusa, ma non nel caso di Andrea) non comune. Per primo, da inviato speciale del Corriere della Sera, ha smontato le menzogne sul disastro dell’Itavia avvenuto nei cieli di Ustica il 27 giugno del 1980.
Dimostrando che l’aereo non era affatto esploso a causa di una bomba portata a bordo (erano gli anni del terrorismo interno e internazionale), ma che probabilmente i segni sulla carlinga distrutta erano compatibili con l’impatto di un missile.
Un giornalista eccezionale
Dopo la scuola di giornalismo ho rincontrato il mio ex professore anni dopo, quando mi chiese di collaborare ad alcune puntate di Atlantide incentrate sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana volatilizzatasi nel nulla nel giugno del 1983 a Roma. Come le inchieste su Ustica riuscirono a fermare l’archiviazione da parte della procura, Purgatori ha contribuito a dare nuova luce, grazie a ricostruzioni attente e a nuovi riscontri su piste mai seguite, a uno dei misteri più controversi della storia recente del paese.
È anche grazie al suo lavoro che il Vaticano ha aperto un nuovo fascicolo d’inchiesta a inizio anno, e il parlamento italiano sta decidendo il calendario per il via libera all’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla scomparsa dell’adolescente.
Come ha scritto Paolo Conti sul Corriere, Purgatori alla passione per il lavoro univa un’altra dote rara: una straordinaria generosità umana. Se con Ustica è rimasto a fianco delle famiglie delle vittime che lottavano per la verità, nel caso Orlandi ha stretto un rapporto sincero con Pietro, il fratello maggiore di Emanuela, aiutandolo nella battaglia che la famiglia combatte da decenni. Andrea era una persona e un giornalista eccezionale, e mancherà a molti.
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