- I numeri sono davvero impressionanti e catturano l’immaginazione: 108 misure cautelari, mille poliziotti impegnati nelle perquisizioni in Germania e tremila in Italia per colpire contemporaneamente tre associazioni contigue che hanno operato in alcune regioni del nostro paese e in vari paesi stranieri. Oltre alla Germania, Belgio, Francia, Portogallo, Romania e Slovenia.
- I protagonisti assoluti sono uomini della ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria che portano cognomi pesanti e hanno forti collegamenti con l’Australia e il Brasile.
- L’indagine Eureka non ha avuto uno spazio adeguato sulla stampa italiana, forse perché ci si è abituati, forse perché non s’è compresa la reale portata, forse perché si è trattato di ‘ndranghetisti che non hanno lo stesso richiamo mediatico della mafia siciliana.
I numeri sono davvero impressionanti e catturano l’immaginazione: 108 misure cautelari, mille poliziotti impegnati nelle perquisizioni in Germania e tremila in Italia per colpire contemporaneamente tre associazioni contigue che hanno operato in alcune regioni del nostro paese e in vari paesi stranieri. Oltre alla Germania, Belgio, Francia, Portogallo, Romania e Slovenia.
Secondo il portavoce della procura federale belga, Eric Van Duyse, «si tratta senza dubbio della più grande operazione mai realizzata contro la mafia calabrese in Europa». Sono state sequestrate 23 tonnellate di cocaina, di cui 20 solo in Belgio e si calcola che siano entrati nelle tasche dei criminali due miliardi di euro. Accanto alla droga ci sono le armi che venivano vendute attraverso collegamenti con gruppi paramilitari sudamericani.
I protagonisti assoluti sono uomini della ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria che portano cognomi pesanti e hanno forti collegamenti con l’Australia e il Brasile. Per arrivare a questo risultato c’è stato bisogno d’un lavoro durato anni e del coordinamento di varie procure; oltre a quella di Reggio Calabria che ha diretto le indagini, quella belga, quattro tedesche e inoltre l’attività del Ros dei carabinieri, di Eurojust ed Europol.
Si potrebbe dire una retata in grande stile e un’indagine condotta contro criminali che usavano i porti di Gioia Tauro e Anversa e gli strumenti più moderni come vari cripto telefonini quasi impossibili da intercettare.
Ipocrisia tedesca
L’indagine Eureka non ha avuto uno spazio adeguato sulla stampa italiana, forse perché ci si è abituati, forse perché non s’è compresa la reale portata, forse perché si è trattato di ‘ndranghetisti che non hanno lo stesso richiamo mediatico della mafia siciliana.
In Germania, invece, è successo l’esatto contrario. Die Welt due anni fa invitava la cancelliera Angela Merkel a non concedere all’Italia sostegni economici europei perché «la mafia è forte e sta aspettando i nuovi finanziamenti a pioggia da Bruxelles». Il giornale mostrava una totale ignoranza del fenomeno mafia in Italia e, quel che era peggio, in Germania, perché in Italia si era attrezzati a contrastare la mafia avendo la migliore legislazione e i migliori investigatori, al contrario della Germania dove si negava o si sottovalutava il problema.
Era facile replicare che a Die Welt sfuggiva il fatto che la ‘ndrangheta, in particolare, era forte perché riciclava i soldi anche in Germania, perché era penetrata nella loro economia, perché investiva miliardi di euro, perché acquistava appartamenti, alberghi, pizzerie, ristoranti e aveva partecipazioni in ditte e aziende tedesche, perché trafficava droga, gran parte della quale sbarcava in porti vicini. Un pezzo dell’economia tedesca era in mano ai mafiosi. Da anni, molti anni. E in Germania, però, si continuava a negare la presenza della mafia e non si faceva nulla di efficace per contrastarla.
Quella replica non era sbagliata, anzi. Infatti, adesso Die Welt scrive che la Germania viene utilizzata dalla mafia che è radicata sin dagli anni Settanta del Novecento, che la polizia è stata “cieca” e non ha visto quello che stava succedendo, che ora è necessario migliorare l’immagine del paese che è considerato in Europa come il luogo più sicuro per riciclare denaro. E il ministro dell’Interno Herbert Reul (Cdu) ha pronunciato parole importanti sul fatto che la mafia italiana sia attiva nel ricco Nord Reno-Westfalia da decenni.
Ha lavorato «in segreto» e ha utilizzato «percorsi normali», comprando case, automobili, gelaterie. Insomma, riciclando. E non c’è da meravigliarsi che la mafia utilizzi aree economicamente forti. Il ministro fa un’affermazione importante che può servire per i nostri ministri: la mafia è forte in Germania soprattutto perché «siamo innamorati del contante».
Ed è con il contante che avvengono transazioni importanti. «L’infatuazione per il denaro contante è uno dei problemi principali», perché «anche l’acquisto di immobili e automobili sono molto spesso fatte con denaro contante in Germania. Ci sono dei limiti, ma bisogna anche chiedersi: sono davvero sufficienti se vogliamo avere un controllo su questo?». Die Welt annota che le leggi penali tedesche sono inefficaci e non sembrano essere adatte per la lotta contro la mafia. «I ministri dell’Interno devono finalmente dare più peso alle indagini sulla criminalità organizzata».
C’è solo da augurarsi che non rimangano solo parole, ma si traducano in fatti. È la conferma che nella storia della Germania c’è un pezzo della storia della ‘ndrangheta: Duisburg docet, con la strage del 2007 compiuta da un commando dei clan. E non solo Duisburg, come s’è visto.
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