- L’Africa è afflitta da numerose guerre ma nell’ultimo trimestre del 2022 sono stati fatti vari tentativi di negoziato. Il 2 novembre 2022 è iniziata la tregua tra le forze federali etiopiche di Addis Abeba e il Fronte popolare di liberazione del Tigray, che ha portato all’accordo di pace del 12 dicembre.
- Anche nella Repubblica democratica del Congo, seppur senza accordi, l’azione militare dei ribelli dell’M23 sta iniziando a recedere dopo ripetute avvertimenti della comunità internazionale.
- Un simile atteggiamento inizia a farsi strada in Africa occidentale. Il 22 novembre scorso ad Accra (capitale del Ghana), i leader della regione hanno iniziato a definire una risposta comune alla crescente instabilità del Sahel.
L’Africa è afflitta da numerose guerre ma nell’ultimo trimestre del 2022 sono stati fatti vari tentativi di negoziato o contenimento delle violenze. Il 2 novembre 2022 è iniziata la tregua tra le forze federali etiopiche di Addis Abeba e il Tplf (Fronte popolare di liberazione del Tigray), che ha portato all’accordo di pace firmato il 12 dicembre. I mediatori incaricati dall’Unione africana hanno svolto un ruolo di garanti ma sono state le parti a decidere, dopo due anni di un sanguinoso conflitto che ha provocato mezzo milione di vittime, di incontrarsi direttamente.
La tregua sta reggendo e gli aiuti umanitari stanno iniziando ad affluire anche se resta l’ambiguità dell’assenza dell’Eritrea dall’accordo, presente con le sue truppe, così come l’atteggiamento incerto delle milizie Amhara.
Il caso del Congo
Anche nella Repubblica democratica del Congo, seppur senza accordi, l’azione militare dei ribelli dell’M23 – a detta di molti sostenuto dal Ruanda – sta iniziando a recedere dopo ripetute avvertimenti della comunità internazionale, Stati Uniti inclusi come si è visto al vertice Usa-Africa di Washington.
L’M23 era pronto a marciare su Goma, capitale del Kivu nord, ma ciò è stato ritenuto inaccettabile per le gravi conseguenze di instabilità che avrebbe provocato. La soluzione dell’ennesimo capitolo della lunghissima guerra del Kivu e dell’Ituri (l’inizio si può far risalire al 1996) non sembra all’orizzonte, anche a causa della proliferazione dei gruppi armati presenti nell’area (tra i cento e i 200 a seconda delle fonti).
Tuttavia gli stati confinanti hanno deciso di gestire la crisi per tenerla al più basso livello di intensità possibile. È la dimostrazione che anche i conflitti considerati più intrattabili possono essere contenuti.
Il contagio del Sahel
Un simile atteggiamento inizia a farsi strada in Africa occidentale. Il 22 novembre scorso ad Accra (capitale del Ghana), i leader della regione hanno iniziato a definire una risposta comune alla crescente instabilità del Sahel, la cui crisi sta contagiando la Costa d’Avorio, il Togo e il Benin.
In questo caso la vera difficoltà è l’assenza di dialogo con le giunte militari del Mali e del Burkina Faso, che hanno rotto la solidarietà regionale e si sono rifugiate in una scivolosa alleanza con i contractor russi della Wagner.
Tuttavia il vertice di Accra ha riconosciuto la gravità della minaccia insurrezionale nella regione, sia jihadista che di altra origine, sottolineando la necessità di una nuova forma di cooperazione dopo il fallimento del G5 Sahel.
È un primo passo per un percorso non solo militare. Alcuni conflitti africani durano da numerosi anni, di fronte ai quali la risposta della comunità internazionale è spesso carente o rassegnata. Tuttavia è sempre possibile fare qualcosa, diminuendo le sofferenze delle popolazioni civili. La pace è un cantiere aperto, non un fatto magico: per ottenerla occorre un impegno continuo che non si fiacchi mai.
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