- Quello che stupisce in questa vicenda è un elemento aggiuntivo e abbastanza inusuale, di chiedere al giornale di «pagare 100mila euro alla stessa Eni entro 10 giorni dal ricevimento della lettera a titolo di risarcimento del danno che avrebbe patito». E tutto questo riservandosi ogni altra azione di tutela in sede giudiziaria.
- Certamente Eni e i suoi legali hanno il diritto di fare ciò che vogliono a tutela degli interessi del gigante dell’energia. Non sfugge però la circostanza che essa arriva in un paese come il nostro dove le pesanti richieste risarcitorie ai giornali hanno via via assunto un carattere intimidatorio nei confronti della libera stampa e del giornalismo d’inchiesta.
- Proprio per questo, arrivato nel marzo 2018 in parlamento, ho sentito il dovere di presentare un disegno di legge contro le liti temerarie. L’ho fatto nella consapevolezza che i giornalisti devono sempre rispondere di ciò che scrivono, ma che qualche onere debbono assumerselo anche coloro che querelano a costo zero
Pare di capire, da quanto riportato da giornali e agenzie, che Eni si senta vittima di una campagna di stampa diffamatoria da parte di Domani. E per questo ha deciso di avviare un’azione contro la testata diretta da Stefano Feltri. Quello che stupisce in questa vicenda è un elemento aggiuntivo e abbastanza inusuale, di chiedere al giornale di «pagare 100.000 euro alla stessa Eni entro 10 giorni dal ricevimento della lettera a titolo di risarcimento del danno che avrebbe patito». E tutto questo riservandosi ogni altra azione di tutela in sede giudiziaria.
Devo dire che mai, nella mia lunga esperienza giornalistica, avevo registrato una iniziativa di questo tipo. Una richiesta di risarcimento che all’uomo della strada e non solo appare quasi di carattere preventivo, visto che di solito sono i tribunali a stabilire la cifra da pagare dopo avere sentenziato il carattere diffamatorio di un articolo. Certamente Eni e i suoi legali hanno tutto il diritto di fare ciò che vogliono a tutela degli interessi del gigante dell’energia. Non sfugge però la circostanza che essa arriva in un paese come il nostro dove le pesanti richieste risarcitorie ai giornali, per la gran parte dei casi poi rivelatesi immotivate, hanno via via assunto un carattere intimidatorio nei confronti della libera stampa e del giornalismo d’inchiesta.
Il disegno di legge
Proprio per questo, arrivato nel marzo 2018 in parlamento, ho sentito il dovere di presentare un disegno di legge contro le liti temerarie. L’ho fatto nella consapevolezza che i giornalisti devono sempre rispondere di ciò che scrivono, ma che qualche onere debbono assumerselo anche coloro che querelano a costo zero, sapendo che la loro iniziativa è immotivata, un pretesto per fermare, impaurire chi questo mestiere lo fa onestamente al servizio dei cittadini.
La filosofia del mio provvedimento è semplice: chi querela immotivatamente deve essere pronto a mettere mano al portafogli, pagando, in caso di temerarietà della lite, non meno del 20 per cento di quanto pretestuosamente richiesto. Semplice ed elementare, questo disegno di legge, ma anche terribilmente indigeribile per chi vede l’attività dei cronisti come fumo negli occhi. Tanto che, nonostante abbia esaurito il suo iter di preparazione, il ddl è ancora fermo nell’indifferenza generale dei partiti. Con una amara lezione per chi ha assistito al triste spettacolo. E cioè che alla politica della libertà di stampa e delle sue necessarie tutele non importi praticamente nulla. Anzi, a dirla tutta, ho notato un atteggiamento chiaramente ostile a ogni forma di protezione del giornalismo d’inchiesta e non solo. Perché dico questo? Per la scientifica opera di affossamento che questa cruciale riforma ha registrato prima nei meandri delle commissioni competenti e poi nell’aula del Senato.
Dopo oltre un anno di lavoro per superare ogni pretesto possibile – dalla presunta incostituzionalità del disegno di legge all’entità delle somme fissate per chi promuove liti temerarie, per non parlare della richiesta di accorpamento con il famoso ddl del senatore forzista Giacomo Caliendo – eravamo riusciti (dicembre 2019) a chiudere un accordo tra i partiti dell’allora maggioranza davanti al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Sembrava finalmente tutto pronto per la definitiva approvazione in aula. Era stato fissato anche il giorno della votazione. Eravamo al gennaio 2020: senonché la sera prima, il 16 gennaio, il provvedimento è stato improvvisamente e misteriosamente scalendarizzato fino a farlo sparire dall’agenda parlamentare.
Naturalmente ho continuato a insistere per riavviarne l’iter. Ma è arrivata l’emergenza Covid, anch’essa utilizzata come pretesto per rimandare l’approvazione del ddl. C’erano da varare i famosi decreti per le impellenze sanitarie ed economiche. E non si poteva naturalmente dire di no, anche perché nel frattempo, come M5s, avevamo strappato l’impegno che il primo disegno di legge d’origine parlamentare da mandare in aula sarebbe stato proprio il mio sulle liti temerarie. Ma anche quest’accordo è stato disatteso.
Morale: il parlamento è chiaramente inadempiente di fronte ai giornalisti e al mondo dell’editoria che reclamano questa norma di buon senso. Ed è inadempiente per colpa di quei partiti, a cominciare da Forza Italia e Italia viva, che dello stop alle liti temerarie fanno ormai un vanto, mentre invece siamo davanti a una grande vergogna. Con un dubbio che resta: e cioè se con la mia legge approvata Eni avrebbe mai messo in campo questa clamorosa richiesta nei confronti di Domani.
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