- La vittoria dei socialdemocratici alle elezioni tedesche fornisce una boccata d’ossigeno alla sinistra europea per l’importanza che la Germania riveste nel continente. Negli ultimi anni i partiti socialisti erano stati sospinti verso percentuali persino umilianti.
- A confronto, il Pd eccede in pragmatismo. Quando si ha paura di insistere sull’imposta di successione, certo si scontentano gli elettori delle Ztl, ma si attirano altre componenti.
- Al Pd Serve la convinzione in un riformismo radicale come quello dei socialisti del primo dopoguerra, alla Turati, rinverdito nel centrosinistra dei primi anni sessanta.
La vittoria, del tutto inaspettata fino a due mesi fa, dei socialdemocratici alle elezioni tedesche fornisce una boccata d’ossigeno alla sinistra europea per l’importanza che la Germania riveste nel continente. Negli ultimi anni i partiti socialisti erano stati sospinti verso percentuali persino umilianti.
Prima il Pasok greco, partito dominante con sempre più del 40 per cento è stato praticamente eliminato dalla scena. Poi sono arrivati i tonfi del Labour britannico, devastato dalla sua irresolutezza sulla Brexit, nonché dalla lotta tra i filo-blairiani e il leader “sinistrorso” Jeremy Corbin; la riduzione del Ps francese ad un ectoplasma; e il ridimensionamento del Psoe spagnolo. Dulcis in fundo, il Pd. Un partito sempre sull’orlo dell’implosione, con un istinto insopprimibile alla cannibalizzazione della propria leadership.
Solo la guida giovane e volitiva di Matteo Renzi aveva messo ordine, anche con le spicce, e indicato una linea d’azione. Peccato fosse sbagliata. Sappiamo come è andata a finire: 18 per cento alle ultime elezioni.
Guardare a Scholz
In questo panorama di macerie, spicca il risultato di Olaf Scholz, per quanto incomparabile rispetto alle percentuali del passato. Analisi più puntuali spiegheranno le ragioni di questo risultato. Ad ogni modo dovrebbe aver giocato un programma più inclinato in direzione pro-labour, sulla spinta della nuova segreteria del partito, marcatamente più a sinistra del candidato cancelliere.
L’inedita vittoria nei Länder depauperati della parte orientale lo lascia supporre. I socialdemocratici tedeschi hanno così recuperato il loro specifico politico – rappresentare e difendere i ceti sottoprivilegiati - pur mantenendosi sul terreno del pragmatismo.
A confronto, il Pd eccede in pragmatismo. Per via delle sue divisioni interne non è ancora riuscito a definire una agenda sociale incisiva. Quando, ad esempio, si ha paura di insistere sull’imposta di successione - che esiste in ogni paese civile e che solo una cultura arretrata e attaccata alla roba come quella italiana ritiene un esproprio -, certo si scontentano gli elettori delle Ztl, ma si attirano altre componenti.
Fino al primo decennio del secolo, come ha dimostrato l’Istituto Cattaneo anche negli articoli presentati su Domani, il Pd era egemone nelle periferie disagiate delle grandi città; ciò vuol dire che esisteva un serbatoio di ceti sottoprivilegiati orientati a sinistra.
Le infatuazioni per le posizioni dell’avversario, i complessi di inferiorità rispetto all’ideologia del mercato, e leadership corsare interpreti del mainstream liberista, hanno fatto perdere contatto con quei ceti. E li hanno fatti rifluire verso parole d’ordine suggestive (reddito di cittadinanza) o identitarie (prima gli italiani sul lavoro, per la casa, nell’assistenza).
Tuttavia, è probabile che la disponibilità ad ascoltare una voce solida, concreta, orientata verso la giustizia sociale senza timidezza, circoli ancora. Certamente, non è una impresa facile recuperare i propri sostenitori dopo averli delusi, e persino traditi, nelle loro aspettative.
Serve la convinzione in un riformismo radicale come quello dei socialisti del primo dopoguerra, alla Turati, rinverdito nel centrosinistra dei primi anni sessanta.
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