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Ogni Costituzione disegna la geografia dei valori a fondamento di una società, e ciò che resta al di fuori di questa geografia e vi si pone in contrasto assume il tono di un disvalore. Quando dopo la seconda guerra mondiale si traccia in Italia questa geografia costituzionale, vi si lascia fuori il fascismo e tutto quello che il fascismo ha costituito.
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Il «mai più» della Costituzione, infatti, non è tale soltanto verso le forme storiche del fascismo ma, più nel profondo, riguarda la matrice intrinsecamente violenta di quella esperienza.
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Per essere ammessi alla vita politica, non basta fare pubblica professione di non-fascismo, più o meno ad alta voce, ma è necessaria invece una chiara professione di antifascismo.
Il New York Times non è l’unico a preoccuparsi per la presenza in campo, alle prossime elezioni, di candidati perlomeno contigui a un certo sottobosco nostalgico del fascismo. È una preoccupazione fondata, ma è facile crede che il tema, in realtà, non sposti un voto, o ne sposti davvero pochi. Non perché gli elettori – e un buon numero di elettori, stando alle proiezioni – siano nostalgici o fascisti, questo no. La verità è un’altra, e cioè che, probabilmente, questo buon numero di elettori sono indifferenti alla cosa, e la preoccupazione del New York Times e degli altri li lascia sostanzialmente tiepidi. E questo è quanto più di contrario possa esistere allo spirito della nostra Costituzione. Non solo la nostra, ma ogni Costituzione è, infatti, una tavola di valori condivisi, posti a fondamento irrinunciabile, non negoziabile, di un nuovo ordine sociale. Una Costituzione disegna la geografia dei valori a fondamento di una società, e ciò che resta al di fuori di questa geografia e vi si pone in contrasto assume il tono di un disvalore.
Ebbene, quando dopo la seconda guerra mondiale si traccia in Italia questa geografia costituzionale, vi si lascia fuori il fascismo e tutto quello che il fascismo ha costituito, così che se ogni Costituzione è in qualche modo un «mai più», quello della Costituzione italiana è un «mai più» verso il fascismo. È questo un dato genetico innegabile della carta costituzionale italiana, che o è anti fascista o non è proprio.
Ecco perché, ad esempio, assimilare la violenza fascista ad altre forme di violenza, fossero anche altre forme di violenza politica, è sbagliato.
Pur essendo le condotte materiali le medesime, infatti, e pur essendo ogni violenza condannabile oltre che perseguibile penalmente, la violenza fascista acquista un disvalore maggiore, perché si pone al di fuori del perimetro dei valori costituzionali, e si risolve in definitiva in una minaccia al fondamento stesso del nuovo ordine sociale.
Peraltro, chi ci tranquillizza dicendoci che il fascismo non può tornare commette una ingenua ipocrisia, laddove non è in cattiva fede.
Il «mai più» della Costituzione, infatti, non è tale soltanto verso le forme storiche del fascismo – con la nomenclatura, l’apparato simbolico, le strutture che ha avuto nell’esperienza italiana dal 1922 al 1943 – ma, più nel profondo, riguarda la matrice intrinsecamente violenta di quella esperienza.
E se il fascismo come realtà storica è evidentemente irripetibile, la sua matrice – quella che Umberto Eco chiamava «il fascismo eterno» – può ben tornare, e può assumere forme sempre nuove, e spesso neanche immediatamente riconoscibili.
Lo diceva bene, in un’intervista di qualche anno fa, Andrea Camilleri, raccontando l’impressione che aveva ricevuto da un giornalista americano dell’epoca. «Voi pensate di esservi liberati del fascismo a piazzale Loreto, ma il fascismo non si distrugge così: è un bacillo mutante».
Rispetto a questo bacillo, la Costituzione non tollera una mera neutralità o indifferenza, ma chiede una espressa abiura, una chiara presa di distanza. Si può dire, insomma, che la Costituzione chiede l’antifascismo.
Nella genesi della Repubblica, si disse – l’espressione è di Alcide De Gasperi – che l’antifascismo era una «pregiudiziale ricostruttiva»: era ammesso alla ricostruzione solo chi facesse professione di antifascismo.
Ma in questo modo è stato impresso nella carta costituzionale quasi un carattere genetico che non può che trasmettersi all’ordine da essa costituito, per cui l’antifascismo resta ancora pregiudiziale per il prolungamento di quell’attività di ricostruzione, e dunque per la partecipazione alla vita politica del paese, almeno a voler restare nel perimetro segnato dalla Costituzione.
È per questo che non è sufficiente, per essere ammessi alla vita politica, fare pubblica professione di non-fascismo, più o meno ad alta voce, ma è necessaria invece una chiara professione di antifascismo, in quanto valore fondativo dell’ordinato vivere costituzionale italiano. Gli elettori dovrebbero pretendere almeno questo, se non si vogliono rischiosi ritorni del rimosso che appaiono per quello che sono solo quando ormai è troppo tardi.
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