- Ora anche la destra litiga, la discussione non pare più tempo perso. Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, inebriati dal profumo dell'annunciata vittoria, litigano rischiando di far svanire le spoglie che, incauti, si contendono.
- Su una solo cosa a destra c'è granitica unità, contro le imposte del nemico Stato; essa attacca compatta questa riformetta fiscale, cui il governo deve adattarsi. Le sue discordanti lingue solo concordano nel motto “via le mani dalle tasche degli italiani”; per Salvini “aiutare gli italiani significa non tassarli”. Lapidario.
- La destra non vuole che lo Stato censisca i valori di mercato, neanche raccogliere dati sugli immobili non censiti; meglio non domandare, non sapere.
Se alla destra basta l'uomo forte (maschio ha da essere, e “palluto”), la sinistra si lacera nel dibattito, ce l'ha nel Dna. È del 1921 la scissione comunista, prima di tante; davanti alla rivoluzione sovietica parve esangue il riformismo di Filippo Turati.
Ora anche la destra litiga, la discussione non pare più tempo perso. Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, inebriati dal profumo dell'annunciata vittoria, litigano rischiando di far svanire le spoglie che, incauti, si contendono.
Perfino i rari incontri con l'ex padre padrone Silvio Berlusconi accendono diatribe su chi ne sia l'erede, solo politico eh.
Li divide anche la legge elettorale; la leader di Fratelli d’italia Giorgia Meloni, aspirante “donna forte”, ammicca alla parte del Partito Democratico, dal segretario Enrico Letta in giù, cui va bene quella vigente; col 34 per cento di seggi in collegi uninominali, essa spinge a coalizioni, magari vincolanti.
Zitto il capo, tace Forza Italia, ma quella vicinanza spiace a Matteo Salvini; amante delle mani libere, nel 2018 arruolò i “suoi” eletti nell'uninominale, a supporto del governo giallo-verde, contro la “sua” coalizione.
È vano agitarsi, la legge non cambierà, manca solo un anno al voto; né Mario Draghi proporrebbe, né il presidente Sergio Mattarella firmerebbe, una legge frettolosa e sbilenca. Meloni vorrà impegni unitari suggellati col sangue, ma saranno scritti con l'inchiostro simpatico.
Su una solo cosa a destra c'è granitica unità, contro le imposte del nemico Stato; essa attacca compatta questa riformetta fiscale, cui il governo deve adattarsi. Le sue discordanti lingue solo concordano nel motto “via le mani dalle tasche degli italiani”; per Salvini “aiutare gli italiani significa non tassarli”. Lapidario.
Perciò la destra vuol ampliare la regressiva tassa piatta fino a redditi (dichiarati...) di 100 mila euro, mantenere immutata la tassazione separata dei redditi di capitale, bocciare il censimento degli immobili (niente aumenti d'imposta per almeno cinque anni), tenere sempre buoni gli obsoleti numeri catastali.
La destra non vuole che lo Stato censisca i valori di mercato, neanche raccogliere dati sugli immobili non censiti; meglio non domandare, non sapere.
Nemmeno basta la retromarcia rispetto alla riforma del catasto varata nel 2014 dal governo Renzi, bloccata poi dalla solita rivolta. Lo stesso prezzo essa vuol imporre al governo Draghi.
Chissà come il boss al tramonto e gli epigoni intendono pagare le maggiori spese per sanità, istruzione e difesa.
Non potendo dirlo in chiaro, inviano messaggi subliminali: amati evasori, fidatevi di noi, vi rappresentiamo, dormite tranquilli.
I nuovi masanielli, compromessi alcuni con chi ci scatena la guerra sull'uscio di casa, pensano così di distrarci. Solo pensano alla bottega, il governo è avvisato; preparano altre piccole jacquerie sulla concorrenza.
Prima di bruciarsi si tireranno indietro, ma se proprio vorranno le dimissioni di Draghi le avranno, e le pagheremo noi.
© Riproduzione riservata