Pochi cenni alla crisi ambientale sia nella conferenza stampa di Giorgia Meloni sia dal discorso di fine anno del presidente Sergio Mattarella. Anche quando si parla di pace, si tralascia che non ci può essere rispetto per gli altri senza il rispetto per l’ambiente di cui siamo parte
Nonostante i temi dell’ambiente, del clima, della salute siano importanti in sé e siano considerati importanti dalla maggioranza di noi, bisogna constatare che nei discorsi dei Presidenti della Repubblica, Sergio Mattarella, e del Consiglio, Giorgia Meloni, hanno trovato poco o nessuno spazio nelle parole, non hanno scaldato il loro cuore, e nel secondo caso neanche quello dei giornalisti presenti.
La mancanza di attenzione è ancor più preoccupante considerando l’interesse e la preoccupazione per l’ambiente espresso dalla maggioranza dei cittadini europei e italiani (rilevati da tutte le indagini demoscopiche, fino all’Eurobarometro del luglio 2023, che confermava la convinzione dell’urgenza di accelerare la transizione verde), e pertanto non basta prenderne atto ma occorre anche approfondire e chiedersi i perché.
Naturalmente si tratta di due format diversi e non confrontabili: quello del Presidente della Repubblica è un messaggio a tutto campo diretto ai cittadini, necessariamente di respiro generale e che, in accordo con ruolo e mandato della prima carica dello Stato, evidenzia le connessioni con la Costituzione, quello della Presidente Meloni è costituito da un’introduzione breve e poi risposte alle domande dei giornalisti, e risente naturalmente del clima politico.
Il richiamo alle tematica dell’ambiente e degli impatti sulla salute è stato flebile nel discorso del Presidente Mattarella, che ha puntato su altri problemi che con essi avrebbero anche connessioni.
I riferimenti alle radici della guerra che «nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano», seppure condivisibili, non toccano le radici strutturali delle guerre, comprese le connessioni con l’uso e abuso delle risorse ambientali e con la concezione antropocentrica della disponibilità umana del pianeta.
La giusta affermazione «Pace, nel senso di vivere bene insieme, Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà», sarebbe stata arricchita da un richiamo generale alla giustizia ambientale e sanitaria, o da uno più esplicito alle inaccettabili condizioni di ingiustizia e disumanità in cui vivono milioni di concittadini.
Solo pochi giorni prima un messaggio di saluto e vicinanza alle popolazioni che vivono nelle zone a rischio ambientale era stato espresso da Papa Francesco durante l'Angelus a una nutrita delegazione di comitati e associazioni delle comunità che vivono in “zone di sacrificio” (definizione Onu).
Sulla fase in cui viviamo il Presidente indica i motivi per cui «i giovani si sentono fuori posto»: «Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese. Debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa. Incapace di unirsi nel nome di uno sviluppo globale». Un richiamo piuttosto impegnativo su due concetti e valori difficili da avvicinare, visto che per contrastare la crisi climatica occorrerebbe adottare un modello di sviluppo diverso. Di questa idiosincrasia molti giovani e non più giovani all’unisono sono consapevoli e lo manifestano in tante forme, non ultime le pressioni esercitate alla recente Cop28 di Dubai, finita meglio di come era iniziata, con raccomandazioni chiare sull’affidabilità della buona scienza (prevalentemente pubblica) e sulla necessità di uscire al più preso dalla dipendenza dai combustibili fossili.
Il passaggio sull’affidamento alle speranze dei giovani e sulla necessità di ascolto è stato centrale.
La sottolineatura, seppure generica, alla necessità «di vedere - senza filtri – situazioni spesso ignorate» e in particolare «quelle di tante persone che vivono una condizione di estrema vulnerabilità e fragilità; rimasti isolati. In una società pervasa da quella cultura dello scarto, così efficacemente definita da Papa Francesco», apre tanti interrogativi. Ad esempio, come tenere conto e incidere sulla discussione pervasa di contrasti, e con esiti tutt’altro che definiti sulla libertà dei media, sui metodi di filtraggio, sul bilanciamento tra diritti degli utenti e interessi delle aziende tecnologiche e dei governi? Come identificare e intervenire sulle vulnerabilità e fragilità? E come connettere i valori costituzionali richiamati con le condizioni materiali di vita e di lavoro, in modo da rendere viva la Costituzione?
Senza evidenziare i legami indissolubili tra la cultura della pace e dell’ambiente, la giusta proposizione «ascoltare significa, anche, saper leggere la direzione e la rapidità dei mutamenti che stiamo vivendo» non chiarisce come i «mutamenti possono recare effetti positivi sulle nostre vite». La ragione è chiara: non ci può essere rispetto per gli altri senza il rispetto per l’ambiente di cui siamo parte. O in altre parole, per «fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana» occorre adeguare il concetto di umanità a una situazione nuova, che nell’arco della vita di poche generazioni ha colpito l’abitabilità del pianeta, che sembra arrivato al conto alla rovescia prima della fine.
Questi concetti sono patrimonio di ampia parte del mondo scientifico che, per rimanere al richiamo all’ascolto, andrebbe ascoltato di più e meglio sulle grandi scelte da compiere, anche quando le raccomandazioni non sono in sintonia con le correnti più tradizionali dell’economia.
Servono più opportunità ai giovani per studiare e ampliare il livello culturale, non solo come motore di cambiamenti economici e sociali, ma come strumento di scelte basate su compatibilità umane e ambientali.
Questi temi erano più presenti e puntuali nel discorso del presidente Mattarella del 2022, e con i dati sull’acuirsi della crisi ecologica e i fenomeni estremi che si sono succeduti nel 2023 (come alluvioni e andate di calore) ci si attendeva conferma di questa attenzione specifica.
La scelta del 2023 è stata quella di parlare della violenza in generale e in particolare contro le donne, della “partecipazione attiva alla vita civile, a partire dall’esercizio del diritto di voto”, della sfida dell’uso sostenibile dell’intelligenza artificiale, delle guerre con un riferimento specifico al conflitto israelo-palestinese (segnato a mio parere da un infelice squilibrio di giudizio a danno del popolo palestinese, neanche nominato), tutti temi di grande attualità e urgenza, come del resto quello della crisi climatica e ecosistemica.
Confidiamo che il Presidente Mattarella ritorni presto, come ha fatto molte altre volte, a mettere in evidenza la rilevanza generale e quella costituzionale della tutela da parte della Repubblica dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni, come recita l’articolo 9 della Costituzione.
Ambiente, salute e clima, sono stati ancora più assenti nel discorso della Presidente Meloni: niente nella sua seppur breve introduzione, poco nelle risposte ai giornalisti, che d’altra parte non hanno ritenuto la tematica prioritaria.
Tre soli cenni generici: uno alla transizione verde nel programma di lavoro per formare una maggioranza alternativa alla cosiddetta Ursula, un secondo cenno allo sviluppo energetico parlando di strategia per «mettere insieme l'interesse africano e l'interesse europeo», un terzo a favore di un’Europa «più capace di armonizzare il tema della transizione della sostenibilità ambientale con la sostenibilità economica e sociale».
Risulta evidente la distanza dal sentire della maggioranza delle persone, dalla ricchezza di quanto si muove nella società civile e nel mondo scientifico, dalle richieste dei giovani di avere risposte concrete nella direzione segnata anche dalla Cop28, che potrebbero essere le sole in grado di attenuare il disagio e la frustrazione, di migliorare la fiducia nelle istituzioni e nelle possibilità di quel cambiamento che non è opzionale ma necessario.
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