- Dal 2011 ad oggi, l’affluenza alle elezioni amministrative è calata di oltre 15 punti percentuali. Secondo le stime dell’Istituto Cattaneo, ha riguardato in maniera molto più consistente gli elettori che nel 2019 avevano votato per Salvini o +Europa.
- La gran parte dei commentatori hanno addebitato questa netta asimmetria e in generale gli insuccessi del centrodestra alla debolezza dei candidati sindaci. Ma i dati non sostengono questa ipotesi
- Per Meloni e Salvini il bicchiere mezzo pieno è che quasi nessuno degli elettori perduti si è spostato nel polo opposto.
Un vero bilancio delle amministrative ancora non si può fare, non solo perché tra una settimana ci saranno i ballottaggi, ma anche perché alcuni dati importanti per interpretare i risultati del primo turno non sono ancora disponibili, mentre altri sono difficili da ricostruire.
Gli uffici comunali di Roma e Milano non hanno ancora rilasciato i risultati per sezione elettorale, senza i quali non si possono studiare i flussi.
Di quello che è successo fuori dai cinque capoluoghi di regione, notoriamente non rappresentativi, quanto a orientamenti di voto, nemmeno dell’elettorato dei territori circostanti, non sappiamo molto, se non su basi aneddotiche. Ciò detto, le pesanti difficoltà della Lega e il risultato sotto le attese di Fratelli d’Italia sono abbastanza evidenti.
Il quesito irrisolto è se si tratti di una debolezza strutturale o solo di una caduta temporanea che non intacca il vantaggio del centrodestra, al livello nazionale, tra gli elettori che normalmente votano alle politiche.
La vittoria dei candidati Pd a Napoli e Bologna era largamente annunciata, non solo dai sondaggi, ma, soprattutto, dalla storia elettorale recente, in particolare dai dati delle elezioni europee del 2019. Né a Napoli, né a Bologna, alla fine, l’equilibrio elettorale tra i poli è stato alterato in misura drammatica. I candidati di centrosinistra hanno vinto più o meno con il margine predetto dai risultati delle Europee.
Era meno scontato, invece, che Giuseppe Sala vincesse al primo turno. In effetti, il sindaco di Milano è l’unico tra i candidati presenti nelle cinque grandi città che sembra avere fatto davvero una differenza. In quel caso l’equilibrio prevedibile sulla base delle europee è stato spostato, a danno del centrodestra, di una decina di punti percentuali.
Candidati sbagliati?
La crescita dell’astensione è stata massiccia. In dieci anni, dal 2011 ad oggi, L’affluenza alle elezioni amministrative è calata di oltre 15 punti percentuali. Una enormità anche se la si compara con il calo dei votanti registrato in un arco temporale simile per la Camera (meno 11 punti percentuali) o le Europee (meno 7). Inoltre, il fenomeno è stato particolarmente marcato nelle grandi città del Nord.
Secondo le stime prodotte con il modello statistico dell’Istituto Cattaneo, ha riguardato in maniera molto più consistente gli elettori che nel 2019 avevano votato per Salvini rispetto a quanto è capitato tra gli elettori Pd o Cinque stelle. Secondo le stesse stime, si è astenuta anche la gran parte di chi nel 2019 aveva votato per +Europa.
E in effetti, non è stupefacente che questi ultimi (una fetta relativamente piccola dell’elettorato) fatichino a ritrovarsi tanto nel centrodestra di Meloni e Salvini quanto nel Nuovo Ulivo, inteso, prendendo per buona la definizione fissata dai protagonisti, come la somma di Pd, Sinistra e M5S.
La gran parte dei commentatori hanno addebitato questa netta asimmetria e in generale gli insuccessi del centrodestra alla debolezza dei candidati sindaci.
Una tesi che convince fino a un certo punto, proprio perché le dimensioni dell’astensionismo tra gli elettori di centrodestra appaiono abbastanza uniformi, almeno nei tre casi che abbiamo potuto studiare (Torino, Bologna, Napoli).
Può darsi che si sia trattato di candidati ugualmente deboli o, più probabilmente, che abbiano sofferto (anche) di un uniforme tendenza prodotta da altri fattori, come le inevitabili contraddizioni a cui Salvini e sottoposto con il sé stesso di dodici mesi fa, ora che la Lega fa parte del Governo Draghi, e la difficoltà della Meloni di raccoglierne i frutti, accentuate dagli scoop che hanno gettato discredito su entrambi alla vigilia del voto. L’analisi dei flussi mostra che i due fattori (caratteristiche dei candidati e smobilitazione generalizzata dell’elettorato di riferimento) sono modulati diversamente.
Ad esempio, Paolo Damilano a Torino è riuscito ad attrarre una quota di elettori Pd e +Europa, ed ha perso verso l’astensione meno di Fabio Battistini o Catello Maresca.
Bicchiere mezzo vuoto per Letta e Conte
Per Meloni e Salvini il bicchiere mezzo pieno è che quasi nessuno degli elettori perduti si è spostato nel polo opposto. Difficile pensare che possano riportarli al voto domenica prossima. Ma non è escluso che ci riescano in futuro. Il bicchiere mezzo vuoto per Conte (e in fondo anche per Letta) è la drastica riduzione delle percentuali di lista per il Movimento Cinque stelle.
Dopotutto, i Cinque stelle sono sempre andati male nelle elezioni comunali, per problemi che non hanno mai affrontato e che forse non possono risolvere, tranne che nei pochi casi in cui, grazie a condizioni eccezionalmente favorevoli, hanno potuto puntare al bersaglio grosso della poltrona di sindaco.
Vale del resto anche nel loro caso, quanto detto per Meloni e Salvini. Solo minuscoli frammenti dell’elettorato Cinque stelle delle Europee 2019, quello già depurato dalla componente rifluita verso la Lega, è andato al centrodestra. Mentre rimane ancora aperto il quesito più rilevante di tutti, per capire se alle prossime elezioni politiche il Nuovo Ulivo avrà davvero qualche chance di successo.
Solo una analisi più compita dei flussi e, soprattutto, i ballottaggi di domenica prossima, ci daranno elementi per giudicare in che misura gli elettori Pd e Cinque stelle sono disponibili a convergere, se il Nuovo Ulivo può valere (almeno) quanto la somma dei partiti che si presume lo debbano comporre.
© Riproduzione riservata