- In Italia sognavamo un sistema maggioritario come negli Stati Uniti. Negli ultimi vent’anni, però, ha prodotto una polarizzazione che genera paralisi istituzionale
- La democrazia americana si regge su un sistema di checks and balances, pesi e contrappesi in una tensione costante.
- Il sistema non esplode solo se - nella sfera della rappresentanza e del governo - esiste un’élite bipartisan capace di convergere su alcune regole del gioco alcuni valori di fondo.
ospedale e manda informazioni contraddittorie sulle sue reali condizioni, è lecito interrogarsi anche sullo stato di salute della democrazia americana: il sistema politico americano, può essere “aggiustato”? La Brookings Institution, autorevole think tank, ha una sezione che si chiama proprio a “FixGov” (“Aggiusta il Governo”). I problemi sono cominciati ben prima del ciclone Trump.
Quando, 30 anni fa si comincia a discutere della riforma del sistema politico italiano, molti costituzionalisti e politologi italiani invocano la trasformazione dell’Italia in una nuova isola anglosassone. Difficile far accettare il presidenzialismo all’americana a un sistema che ha rigettato così a lungo l’idea dell’uomo solo al comando, più facile normalizzare la democrazia italiana attraverso il sistema elettorale.
Il sistema maggioritario sembra quello più capace di moderare le pulsioni anti-sistema, perché si basa sulla ricerca del voto degli indecisi e dei moderati. Un voto “basculante”, che àncora le democrazie alla saggezza di un immaginario elettore post-ideologico.
Mentre discutevamo di come copiarlo, quel modello di democrazia entrava in crisi profonda.
Negli anni Novanta andava ad aggravarsi una patologia tipica del sistema democratico americano di questi ultimi decenni, ovvero la cosiddetta “polarizzazione”. I due campi politici, quello Democratico e quello Repubblicano, risultano in conflitto su ogni aspetto.
I Repubblicani rappresentano, sempre di più, le aree rurali che esprimono un certo tipo di sentimento nostalgico, nazionalista, anti-globalizzazione contro le grandi aree urbane democratiche, dove si afferma il multiculturalismo; rappresentano i gruppi religiosi organizzati che si oppongono ai diritti di gay e transgender, nonché all’aborto; i ceti più benestanti e un certo tipo di impresa contro il sindacato e gli elettori con i redditi più bassi (che votano in maggioranza per i Democratici); rappresentato un voto più anziano e conservatore, contro quello giovanile; rappresentano un partito declinato soprattutto al maschile (nella classe politica e negli elettori) contro un partito molto più femminile; rappresentano un partito a schiacciante maggioranza bianca contro un partito decisamente multirazziale; rappresentano le aree che producono meno prodotto interno lordo rispetto a quelle più dinamiche.
Il risultato, dal punto di vista politico e istituzionale, è la paralisi di un sistema basato sul controllo e il bilanciamento reciproco fra istituzioni, che è oggi centrato, invece, su una pratica di demolizione reciproca. Una demolizione che riguarda le politiche di riforma dell’avversario - aborto, tasse, crisi climatica, sanità e via discorrendo - e che delegittima alla radice l’avversario politico e i suoi valori.
Ogni fazione percepisce l’altra come profondamente “unamerican”, non americana. Il dialogo legislativo e istituzionale si paralizza quando il presidente di un partito è di un colore e il Congresso di un altro, trasferendo alle Corti il potere di indirizzare le politiche pubbliche, poiché un’irrisolvibile conflitto politico si trasforma sempre in conflitto giudiziario.
In una democrazia fondata su checks and balances, pesi e contrappesi, il sistema non esplode e non diventa disfunzionale soltanto se - nella sfera della rappresentanza e del governo - esiste un’élite bipartisan capace di convergere su alcune regole del gioco alcuni valori di fondo.
Il conflitto sociale e culturale che attraversa l’America oggi - esacerbato dalla crisi economica del 2008 e da quella attuale del Covid19 - dovrà prima o poi sbloccarsi. Forse accadrà quando una delle due parti riuscirà a piegare l’altra per un certo tempo, visto che non possiamo aspettarci riconoscimento delle ragioni dell’avversario. Molte delle riforme necessarie ad “aggiustare” il sistema - la testata Politico.com, intervistando gli esperti, ne ha contate 20, in una sua rubrica che (neanche a dirlo) si chiama “how to fix”, “come aggiustare” - non giungeranno mai in porto. Il Congresso è troppo diviso.
Chi è, dunque, nella migliore posizione per prevalere? Quella dei repubblicani, anche se vincessero le elezioni del 2020, appare una posizione di retroguardia. Più che all’America “profonda”, come a volte si dice, i repubblicani sono vicini a un’America anziana pe bianca che, prima o poi, dovrà concedere altre e ulteriori porzioni di status e potere, oppure cambiare pelle.
«Guerra civile fredda» è l’espressione utilizzata da Sidney Blumenthal, un vecchio consigliere dei Clinton: una definizione azzeccata.
© Riproduzione riservata