Il paese vive una situazione sociale di relativa calma. Ma i dati macroeconomici sono preoccupanti e senza conflitto e corpi intermedi la frustrazione individuale sfocia su capri espiatori
La Francia si annoia, titolava l’editoriale di Le Monde nel marzo del 1968, prima della mobilitazione del maggio. In Italia il conflitto sociale e politico è declinato, con poche lotte a livello nazionale. Pare non ci siano segnali di capacità di aggregare la miriade di micro-proteste.
È stato evocato, talvolta a sproposito, l’autunno caldo immaginando che potesse verificarsi qualcosa di simile al 1969. Un periodo di intense lotte sindacali e operaie che condusse allo Statuto dei lavoratori e che beneficiava e rilanciava la mobilitazione del 1968 propagando dalla Francia e dai campus universitari statunitensi.
Crisi persistente
Una situazione sociale di relativa calma, sebbene i dati macro-economici suggeriscano preoccupazione: secondo la Commissione europea il Pil rimarrà sotto l’1 per cento, l’inflazione galoppa (6.1 per cento), il debito è al 140 per cento e il deficit sopra il 5 per cento; la disoccupazione fa strame al sud e tra i giovani.
Il salario minimo è sbeffeggiato dalla maggioranza e le opposizioni non riescono a farne un manifesto. Ma non basta il contesto economico negativo: il conflitto sorge se c’è un attore politico che interpreti le rivendicazioni, fornisca parole d’ordine, proponga obiettivi. Un soggetto abile a canalizzare la rabbia (palese e latente), a ri-mobilitare.
Il ruolo del partito per il conflitto
Storicamente è stato il principe gramsciano (il partito) ad issare i vessilli del conflitto, innanzitutto con le forze social-comuniste. Prima i movimenti sindacali hanno tessuto con faticose lotte le maglie della solidarietà tra lavoratrici, nella temperie della Rivoluzione industriale che cambiò il paradigma sociale.
La condivisione della condizione di lavoro, dell’arbitrio e dei soprusi dei padroni (del vapore) fu la spinta per sviluppare una coscienza di classe. Molti partiti socialisti nacquero quale costola sindacale e in generale le forze progressiste proliferarono nello spazio sociale della frattura capitale/lavoro. Uno scontro amico/nemico in senso schmittiano, ma che può esistere con la presenza di un gruppo che avanzi rivendicazioni nei confronti dei detentori del potere economico.
Nella strutturazione contemporanea dell’economia l’individuazione del nemico, di chi detiene le redini della produzione, è complicata. Manca finanche il viso da contestare. In passato era agile e persino autoassolutorio definire il/e indicare nel padrone la causa dei mali e sottoporgli con forza le proteste.
Non c’è l’industriale in doppiopetto, non c’è Gianni Agnelli e il capitale sfugge ogni controllo. Le persone più ricche al mondo sono evaporate, politicamente impalpabili e socialmente irresponsabili, non sottoponibili a processo, a contestazione politica. Parlare di lotta di classe diventa esercizio di stile, mancando la classe, la sua coscienza e la missione.
I deboli moderni
Vasto programma, ma le difficoltà non possono rappresentare un alibi per le forze di sinistra che vogliano mutare gli equilibri. È cruciale capire e interpretare la società e l’economia dando una prospettiva di solidarietà e uguaglianza. Concetto fuori moda e quasi insulto terroristico se evocato per indicare gli sfruttati.
Non sono più i visi di Marcinelle o del Sulcis, i turnisti o i verniciatori della Fiat cui consigliavano di bere latte per disintossicarsi, non le mondine, le operaie tessili …, ma gli studenti per cui l’università diventa privilegio, gli operatori sanitari che sudano salari da fame, i subappaltatori che incamerano meno di quanto investano, i commercianti falliti per una tassazione favorevole alle multinazionali, i professionisti con welfare privatizzato e la classe media povera, in una gara al penultimo posto.
L’Italia è tra i paesi più diseguali in Europa. Anni di smobilitazione e di discredito della politica hanno indebolito le classi subalterne. L’individualismo acuisce paure e tensioni contro il prossimo anziché contro le classi dominanti.
Frammentazione della sinistra, debolezza dei sindacati e parcellizzazione del lavoro hanno fiaccato la mobilitazione per l’uguaglianza senza cui non c’è libertà, come disse Sandro Pertini. Il conflitto è il sale democrazia che si distingue dai regimi autoritari per la presenza del dissenso.
Servono azioni democratiche per rinegoziare equilibri di potere e distribuzione delle risorse. Senza conflitto e corpi intermedi restano i capipopolo spesso travolti dal ribellismo.
La frustrazione individuale sfocia su capri espiatori: in alto (populismo) e in basso (razzismo). L’autunno è finito, l’inverno è mite, Natale è alle spalle. Anche l’Italia si annoia o qualcosa cova sotto la cenere?
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