La polemica sul ruolo di Arianna Meloni, la “ first sister” nelle nomine di Stato ed in generale sull’attività del governo guidato dalla sorella ha ravvivato il clima politico post-ferragosto. La disputa non riguarda solo la famiglia della premier ma investe anche ed ancora una volta una supposta ingerenza della magistratura nel dibattito politico.

Dopo il caso Toti, il Giornale di Alessandro Sallusti anticipa l’avvio di un procedimento giudiziario contro Arianna per il reato di traffico di influenze (art. 643 bis cp).

Questa notizia merita una qualche riflessione tecnica che non si riduca alla solita dietrologia miserabile.

Ad oggi tuttavia la notizia non ha trovato riscontro e conferme e dunque andrebbe vagliata Innanzitutto la fonte dell’informazione in particolare se provenga da settori della magistratura non più compatti dietro l’attuale dirigenza di Anm.

Ciò dimostrerebbe che la corporazione delle toghe non sarebbe più un monolite compatto contro il governo malgrado il varo della temuta riforma della separazione delle carriere.

Lecito dubitare della veridicità dell’esistenza dell’indagine: competente a indagare sarebbe la procura di Roma il cui attuale capo, Francesco Lo Voi, è quanto di più diverso sia immaginabile dai Borrelli e Caselli del ‘93

È invece interessante soffermarsi sul reato per il quale si ipotizza che sia indagata Arianna Meloni: il traffico di influenze. È un reato simbolico, del tipo di quelli, cari anche a Meloni e al suo ministro Nordio, con i quali più che di combattere un pericolo reale ci si è preoccupati di fissare un proclama.

Avete presente il “decreto Caivano”, minori e le madri incinte in galera, il divieto di rave party, la repressione penale dello sciopero della fame dei carcerati?

Ecco: a suo tempo il reato di traffico di influenze fu voluto dal governo Monti per bloccare la montante ondata populista dei 5 stelle, vana illusione, stabilendo che non solo andasse punita, come logico, una effettiva corruzione di un pubblico ufficiale ma financo la semplice intenzione.

Nonostante il codice penale vieti la punizione dei semplici atti preparatori di un delitto, con il nuovo reato si era resa perseguibile anche la fase antecedente l’accordo tra corrotto e corruttore: bastava un’offerta di intervento di un intermediario a qualsiasi titolo (quale sarebbe in teoria Arianna Meloni) per realizzare il reato.

Un eloquente esempio, va detto, del peggior giustizialismo che oltretutto ha suscitato la vivace e motivata opposizione delle associazioni dei lobbisti che si trovavano esposti al rischio penale di un reato generico e mal specificato che finiva per abbracciare ipotesi diverse come millanterie, corruzioni reali, semplici raccomandazioni e magari innocenti segnalazioni.

Su tale fattispecie che ha trovato poche applicazioni tra cui, guarda caso, il processo Palamara, condannato proprio per tale reato, prima intervenuta la Cassazione per risparmiare nel caso di millanterie i soggetti che vengano truffati e ultimamente con straordinario tempismo l’attuale guardasigilli Nordio con la sua discussa riforma dell’abuso d’ufficio.

Abolendo tale reato Nordio è intervenuto anche sul reato di traffico di influenze che come sostenuto da autorevoli giuristi nella sostanza è stato reso inapplicabile.

Infatti con la recente riforma, da poco in vigore, il reato è punibile solo se «le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale sono effettivamente utilizzate (non solo vantate) ed. esistenti».

In secondo luogo il mediatore deve ricevere un compenso economicamente valutabile.

In buona sostanza Arianna non corre nessun pericolo perché Nordio ha reso inapplicabile il reato di intermediazione illecita. Evidentemente Meloni e Sallusti non conoscono le leggi scritte da Nordio.

Intendiamoci, la riforma può essere finanche condivisibile in chiave garantistica ma sorprende la tempestività del guardasigilli e soprattutto come il governo Meloni pratichi un garantismo spicciolo e strettamente personale ad uso proprio.

Lo scrupolo difensivo che anima Meloni e Nordio vale solo per familiari e famigli e non per gli ordinati cittadini cui viene inibito addirittura di protestare e ballare.

È augurabile che la vicenda di Arianna Meloni sia oggetto di riflessione non nelle aule giudiziarie ma in quelle politiche perché il fenomeno da combattere non è quello criminale ma quello non meno grave di un possibile familismo amorale che segna la politica di un governo, una realtà che questo paese ha già conosciuto e di cui ancora paga le conseguenze.

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