Quanto e come la cosiddetta autonomia differenziata è realmente nuova rispetto alle politiche economiche e sociali degli ultimi anni? L’autonomia differenziata potrebbe rallentare il declino economico italiano, così come quello delle regioni del Nord per quanto attiene al Pil pro capite rispetto alle aree centrali del continente?

In realtà, la dinamica del reddito di tutte le regioni italiane rispetto a quelle europee (Auvergne-Rhône-Alpes, Baden-Württemberg e Catalogna) restituisce un indebolimento complessivo del paese e una difficoltà strutturale nell’agganciare la dinamica europea. Tutte le principali variabili macroeconomiche, Pil, investimenti, salari e valore aggiunto settoriale, sono disallineate dalla media europea e sollevano questioni di politica economica generale che investono la struttura e la specializzazione delle imprese, la dinamica e qualità della spesa pubblica e la pauperizzazione generale e particolare del Mezzogiorno d’Italia.

Sebbene l’autonomia differenziata sia dipinta come una secessione dei ricchi, piuttosto come l’assunzione di responsabilità dei territori (del Nord), l’Italia è statisticamente tra i Paesi europei con la più alta differenziazione di reddito pro capite, investimenti per opere pubbliche e imprese, in cui anche il sistema fiscale sembra non tener conto delle effettive capacità di reddito pro capite.

Se guardiamo alle principali variabili economiche e sociali, alle entrate fiscali e alla spesa pubblica per alcune missioni pubbliche, per esempio sanità, servizi sociali, infrastrutture, emerge un paese in cui l’autonomia differenziata è già una realtà, e non aveva bisogno di una legge che istituzionalizzasse queste differenze.

Spesa pubblica e tasse

Proviamo a indagare alcune delle principali voci di spesa e di entrata pro capite rapportate al reddito pro capite di due regioni, Lombardia e Campania, che usiamo come campione. Partendo dai dati del ministero dell’Economia (Easycpt), che analizzano le entrate e le spese pubbliche pro capite per missione e regione a prezzi costanti del 2015, si osservano delle differenze di struttura e di qualità.

Consideriamo l’annosa questione delle tasse. Sebbene la Lombardia paghi poco meno di 25mila euro di tasse e la Campania poco più di 13mila euro pro capite nel 2022, sempre a prezzi costanti del 2015, in realtà, se rapportiamo queste risorse al Pil pro capite delle rispettive regioni, si osserva un fenomeno alquanto discutibile: proporzionalmente la Campania paga più tasse di quanto non le paghi la Lombardia, rispettivamente il 70 per cento la Campania e il 64 per cento la Lombardia. In qualche misura, il fisco è molto gentile con la Lombardia.

Inoltre, la spesa pubblica aggregata pro capite divisa per regione restituisce come e quanto le risorse finanziarie destinate alla Lombardia siano significativamente molto più alte di quelle destinate alla Campania, rispettivamente poco meno di 21mila euro e poco meno di 14mila euro. In altri termini, la Lombardia intercetta una quantità di risorse pubbliche significativamente più alta della Campania e di altre regioni del Mezzogiorno d’Italia.

Certamente in rapporto al Pil pro capite sono più contenute, il 53 per cento del Pil contro il 75 per cento della Campania, ma questo dato rispecchia solo in parte la componente solidaristica della spesa pubblica.

Se da un lato la differenza nella spesa sanitaria tra le due regioni è più contenuta, 2mila euro pro capite in Lombardia e 1.700 in Campania, le risorse per opere pubbliche, imprese e infrastrutture, cioè le risorse che meglio di altre favoriscono la crescita e quindi il reddito dei cittadini, registrano una estrema polarizzazione.

La Lombardia intercetta 2.100 euro pro capite, mentre la Campania raccoglie 1.300 euro. Se rapportiamo queste risorse al Pil pro capite, si osserva che in Lombardia queste risorse finanziarie valgono il 5,5 per cento, mentre in Campania il 3,6 per cento; le spese per infrastrutture sono ancora più polarizzate: poco meno di 3mila euro pro capite in Lombardia e 960 euro in Campania, che tradotte in rapporto al Pil pro capite sono pari al 7 per cento in Lombardia e al 5 per cento in Campania.

Questa polarizzazione delle spese verso la Lombardia, cioè le risorse finanziarie che meglio di altre fanno crescere il Pil, restituiscono una autonomia differenziata de facto, solo in parte compensata dalla maggiore spesa sociale delle regioni del Mezzogiorno, le quali, sono certo, farebbero a meno di queste risorse sociali; in effetti, questa quota di spesa pubblica restituisce la minore capacità di creare reddito, lavoro e Pil nel Sud d’Italia.

In altri termini, l’autonomia differenziata già esiste nel governo della spesa pubblica; la sua istituzionalizzazione è grave perché si rinuncia alla politica economica e non riesce a misurarsi con le grandi sfide europee.

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