Così come è scritta, la riforma Calderoli affida a ogni singola “intesa” i criteri di determinazione delle risorse finanziarie e a Commissioni paritetiche Stato-singola regione l’attuazione operativa di tali criteri. Questo produrrà un assetto di tipo “balcanico”, con sfasamenti nei metodi di calcolo e di monitoraggio
La Camera impossibilitata a far propri i rilievi al testo sull’autonomia differenziata approvato dal Senato non solo è una mortificazione del ruolo delle nostre istituzioni parlamentari ridotte a un monocameralismo alternato, è soprattutto la strada maestra verso una legge mal scritta destinata a rendere accidentata e confusa la strada della sua applicazione.
Più che al merito delle questioni sollevate fra gli altri dalla Banca d’Italia, ancora una volta, alla maggioranza sembrano interessare i piccoli traguardi apparenti da sbandierare nella prossima campagna elettorale. Eppure sarebbe nell’interesse del sistema paese e di un autonomismo responsabile l’approvazione di una legge non solo ben scritta, ma soprattutto che non generi problemi rilevanti ai conti pubblici e ai servizi ai cittadini in un paese già profondamente differenziato.
Fra le criticità emerse vanno sottolineate le modalità di finanziamento delle cosiddette funzioni Lep, cioè quelle riguardanti i livelli essenziali delle prestazioni, su cui la normativa vigente prevede standard di prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (dall’istruzione alle grandi reti di trasporto). Sarebbe stato necessario correggere radicalmente l’approccio attuale del disegno di legge Calderoli, che affida a ogni singola “intesa” i criteri di determinazione delle risorse finanziarie e a commissioni paritetiche Stato-singola regione l’attuazione operativa di tali criteri. Se non aggiustata, ne deriverebbe un assetto di tipo “balcanico”, con riflessi non controllabili sulla tenuta dei conti pubblici.
L’attuazione del complesso meccanismo di finanziamento delle funzioni Lep – in cui dovranno essere determinati i fabbisogni standard su funzioni potenzialmente diversificate tra le varie regioni richiedenti – richiede invece un forte coordinamento nazionale, da affidare a un unico organismo nazionale, in cui partecipino lo stato e tutte le regioni a statuto ordinario. Si eviterebbero sfasamenti nei metodi di calcolo e di monitoraggio, anche tenendo conto che fabbisogni standard e monitoraggio dei Lep si applicheranno a tutti i territori, compresi quelli in cui queste funzioni resteranno pienamente nella competenza dello stato. Un altro nodo critico riguarda il finanziamento delle cosiddette funzioni non-Lep, che comprendono anche ambiti rilevanti in termini di risorse finanziarie coinvolte.
Il testo attuale del disegno di legge Calderoli prevede che le risorse corrispondenti siano determinate sulla base della spesa attuale erogata dallo Stato nel territorio della singola regione richiedente, ovvero quella spesa storica considerata fonte di iniquità dalla stessa regione Veneto. Nulla dice invece quanto alla necessaria determinazione dei relativi fabbisogni standard e alle modalità di revisione di tali risorse nel tempo evitando che si generino degli extragettiti dai divari tra la dinamica delle compartecipazioni attribuite e le necessità di finanziamento.
Questioni rilevanti che la discussione alla Camera avrebbe dovuto correggere per il buon funzionamento della macchina amministrativa e per i già precari conti pubblici. Nel dibattito si è spesso evidenziato come l’autonomia differenziata non sia vera autonomia perché il finanziamento delle funzioni aggiuntive è affidato a compartecipazioni su gettiti di tributi statali riferibili a questi territori, con aliquote riviste nel tempo per garantire l’allineamento tra gettiti e fabbisogni standard, che si trasformano di fatto in “trasferimenti mascherati”. Trasferimenti su cui le regioni non hanno alcuna possibilità di manovra e quindi, a dispetto della vulgata, alcuna responsabilizzazione di fronte ai propri cittadini-contribuenti.
Riconoscere una vera autonomia tributaria alle regioni riguarda in primo luogo il finanziamento delle funzioni già oggi assegnate a tutte le regioni (come sanità, componenti dell’assistenza, dell’istruzione, del trasporto pubblico locale). È nel cosiddetto “federalismo fiscale regionale” che vanno attribuiti alle regioni tributi propri significativi e manovrabili. Peccato che la riforma fiscale abbia finora soltanto annunciato il “superamento” dell’Irap, principale tributo regionale, senza specificare con quale nuova imposta sostituirla in grado di rafforzare l’autonomia tributaria delle regioni.
Tutte questioni che dietro al tecnicismo nascondono problemi politici rilevanti, la cui rimozione non aiuta alla soluzione equilibrata di un dibattito quarantennale.
Ivo Rossi è stato dirigente del ministero degli Affari regionali
Alberto Zanardi è stato presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard
© Riproduzione riservata