«Capitolo chiuso, i 3mila chilometri di Autostrade passano sotto il controllo pubblico. Finalmente d’ora in poi sicurezza e qualità del servizio prevarranno sulla smania di profitto», così ha scritto l’altro giorno su Twitter il senatore dei Cinque Stelle Danilo Toninelli.

Quando la vicenda Autostrade si è aperta, il 14 agosto 2018 con il crollo del ponte Morandi a Genova, Toninelli era ministro dei Trasporti del governo Conte 1, oggi pubblica sul web come editore di sé stesso il libro Non mollare mai. In mezzo i 43 morti del viadotto Polcevera e anni di negoziato, cominciati con la minaccia della revoca della concessione a gestire la rete ad Autostrade per l’Italia e finita con l’approvazione dell’assemblea di Atlantia, la holding di controllo, della cessione dell’intera partecipazione in Autostrade per l’Italia a un consorzio composto dalla Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero del Tesoro, e i fondi di investimento internazionali Macquarie e Blackstone per 8 miliardi di euro. L’intera società è valorizzata a 9,3 miliardi. 

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La famiglia Benetton, tramite Atlantia, non sarà più l’azionista di riferimento delle Autostrade, quindi, come il Movimento Cinque stelle ha sempre chiesto dopo la tragedia del 2018. Anche se lascia il redditizio business con 2,4 miliardi per la quota di Autostrade di sua competenza diretta – tramite Atlantia – invece che con il temuto esproprio. Ma a parte questo discutibile successo, assai poco puntivo per la famiglia che il Movimento indicava come la prima responsabile del disastro di Genova, le affermazioni di Toninelli sono parecchio esagerate. Vediamo perché.

La scelta di ricomprare la partecipazione di Atlantia in Autostrade – 88 per cento – non equivale alla revoca minacciata dall’ex premier Giuseppe Conte tre anni fa. Con la revoca, lo stato può decidere di gestire direttamente l’infrastruttura (con pedaggi o senza), oppure di riassegnarla, ad altre condizioni, a un differente concessionario.

La revoca mancata

Certo, la revoca avrebbe esposto lo stato al rischio di un lungo contenzioso e di penali che potevano essere nell’ordine dei 20 miliardi, anche se molti esperti erano più ottimisti. Così lo Stato, tramite il ministero del Tesoro e Cassa depositi, non torna a controllare la rete autostradale direttamente, ma compra il controllo di una società per azioni che ha la rete in concessione e che deve remunerare oltre all’investimento dei nuovi soci Macquarie e Blackstone, anche gli interessi sul debito in essere (indebitamento finanziario netto di 8,6 miliardi a fronte di ricavi per 3 miliardi annui).  

Quindi è impreciso dire che le autostrade tornano allo stato. Le autostrade restano ad Autostrade per l’Italia che le ha in concessione. E questo espone lo Stato, cioè il concedente, a una serie di conflitti di interesse: avrà l’incentivo a lasciare la concessione ad Autostrade il più a lungo possibile, per esempio, perché senza quella il valore della società si azzera. E poiché lo Stato è sia arbitro che giocatore, cioè deve sia competere con la sua controllata Autostrade per l’Italia per la concessione, sia assegnarla e gestirla tramite i ministeri dei Trasporti e del Tesoro, difficilmente vedremo grande concorrenza per la rete, nei prossimi decenni. E’ un po’ come se l’arbitro di una partita di calcio fosse anche l’allenatore di una delle due squadre.

Ci sarà almeno la sicurezza?

Nell’immediato, però, succederà almeno quello che auspica Danilo Toninelli, cioè «d’ora in poi sicurezza e qualità del servizio prevarranno sulla smania di profitto»? Non è affatto detto. Perché tutte le storture che hanno determinato i problemi tra concedente e concessionario rimarranno.

Certo, una parte consistente degli eventuali dividendi di Autostrade – il 33 per cento, pari alla quota nel capitale – andranno alla Cassa depositi e prestiti che all’82,8 per cento è posseduta dal ministero del Tesoro, ma il resto va a investitori mossi dagli stessi incentivi dei Benetton. E i profitti facili, nel settore delle infrastrutture regolate, si fanno in due modi: ottenendo dal concedente garanzie sui ricavi oppure tagliando i costi (e la sicurezza costa).

Siamo sicuri che la presenza della Cdp nell’azionariato cambierà la natura di Autostrade? Quel che è sicuro è che quel po’ di frizione che si è visto dal 2018 a oggi tra concedente e concessionario sparirà.

Anche il contenzioso sull’aggiornamento del Piano economico e finanziario ora è plausibile che si risolva in fretta: perché non si tratta più di far accumulare profitti ai Benetton ma di prelevare agli automobilisti per dare allo Stato, tramite i pedaggi (ma ricordiamoci non è solo lo Stato, ci sono sempre i soci privati, e ogni redistribuzione comporta anche una dose di inefficienza che brucia risorse).

Come ha ricostruito il perito di parte delle vittime Paolo Rugarli – non quello di Atlantia – poi, la tragedia del ponte Morandi è iniziata con la gestione pubblica delle autostrade. I Benetton con la loro sete di dividendi avranno le loro colpe, ma la catena di omissioni, superficialità ed errori ingegneristici che ha determinato il crollo del 2018 inizia a metà degli anni Novanta, quando l’infrastruttura era saldamente in mano pubblica.

La ragione per cui, a un certo punto, lo Stato italiano ha iniziato a dare in concessione beni pubblici era la convinzione che il privato animato dal desiderio di profitto sarebbe stato incentivato all’efficienza, mentre il gestore pubblico pensava più alle implicazioni politiche della spesa (più ce n’è, meglio è in termini di voti) che ai risultati della gestione.  

Poi non è andata benissimo, ma anche – o forse soprattutto – perché invece di mettere a gara le concessioni affidandole al concorrente migliore, e revocandole se necessario, o comunque non affidandole in eternità agli stessi soggetti, ha prevalso invece la logica dell’affidabilità politica. E visto che i Benetton erano in area centrosinistra, quando il governo Prodi ha privatizzato le Autostrade nel 1999 è a loro che sono andate.

Al gestore pubblico abbiamo sostituito il sistema della concessione al pubblico al privato e ora arriviamo alla contorsione del pubblico che concede al pubblico. Speriamo che il nuovo assetto non si riveli semplicemente la somma delle caratteristiche peggiori dei due sistemi precedenti. 

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