- L’appello promosso da 300 professori universitari, a cominciare dal celebre storico Alessandro Barbero, in difesa degli evasori vaccinali indica uno dei punti più bassi della pur deprecabile storia degli intellettuali firmaioli all’italiana.
- Studenti e professori vaccinati dovrebbero rifiutarsi di collaborare con chi, per un capriccio antiscientifico, vuole esporli al rischio di contrarre la peste della nostra epoca.
- Studenti e docenti dovrebbero rifiutarsi di avere a che fare con docenti e colleghi senza Green Pass. Chi si indigna per le posizioni di Barbero, o di Massimo Cacciari può smettere di comprare i loro libri.
L’appello promosso da 300 professori universitari, a cominciare dal celebre storico Alessandro Barbero, in difesa degli evasori vaccinali indica uno dei punti più bassi della pur deprecabile storia degli intellettuali firmaioli all’italiana.
L’appello contesta l’obbligo del Green Pass in università, con argomentazioni assai fragili, ma il punto più indifendibile del testo è quello che avalla l’equivalenza che circola nei più osceni gruppi estremisti tra richiesta del passaporto vaccinale e le stelle gialle cucite sugli abiti degli ebrei prima della Shoah, questo il significato del passaggio su «altri precedenti storici che mai avremmo voluto ripercorrer».
Già un simile ammiccamento, tanto più se arriva da storici di professione, dovrebbe squalificare la loro iniziativa in modo indelebile. Ma sorvoliamo per un attimo su questa aberrazione e stiamo al merito.
Assurdità surrettizia
La logica di Barbero, dettagliatain una intervista al Corriere della Sera, è la seguente: i vaccini sono efficaci, ma il governo è pavido perché non osa imporre l’obbligo vaccinale e segue l’approccio di un obbligo surrettizio, qual è l’esibizione di un certificato di vaccinazione, dunque questa richiesta va contestata. L’argomento è palesemente assurdo: Barbero vuole forse fare una lezione di morale al governo, che dovrebbe essere più diretto e meno mediato? Cioè, meglio un bell’obbligo per legge che il green pass?
La premessa è fallace: non è affatto detto che per essere degne di rispetto le regole debbano imporre soluzioni manichee, anni di studi sul nudge, la spinta gentile, suggeriscono di condizionare i comportamenti dei cittadini limitando al massimo le costrizioni.
Se il criterio a cui improntare ogni politica pubblica è quello dell’efficacia nel rispetto della libertà individuale, allora meglio il green pass dell’obbligo vaccinale: lascia a studenti e insegnanti la possibilità di scegliere se vaccinarsi e partecipare in presenza o non vaccinarsi e rimanere esclusi dalle attività riservate ai vaccinati.
Non esiste ragione alcuna per argomentare che un obbligo esplicito è meglio di un obbligo surrettizio. Porsi la questione indica il retropensiero che estendere le vaccinazioni comporti un costo politico, e che un governo evidentemente poco amato debba pagare il massimo costo politico possibile.
I diritti dei fumatori valgono meno
I firmatari dell’appello lamentano che l’obbligo del green pass violerebbe il diritto allo studio e altri diritti fondamentali, inclusi quelli al lavoro, alla libertà di associazione, alla libertà di circolazione. Ma è ovvio a chiunque che è invece la vaccinazione a garantire il rispetto di tali diritti. E che una scelta assurda dal punto di vista scientifico e predatoria dal punto di vista sociale quale è quella di non vaccinarsi contro il Covid mette a rischio i diritti dei vaccinati.
Studenti e professori vaccinati hanno diritto di andare in università a studiare e insegnare in sicurezza, senza correre il rischio (basso ma non nullo) di contrarre il Covid per il capriccio antiscientifico di qualche collega che ha scelto di abusare della libertà personale di pervertire i diritti costituzionali nel loro opposto, rispettandone la forma e violandone la sostanza.
Mentre la scelta del vaccino non espone il personale universitario a rischi aggiuntivi, la richiesta dei firmatari dell’appello ha l’unico risultato di esporre tutti a rischi maggiori, i non vaccinati consapevolmente (ammesso che la loro scarsa razionalità consenta di formulare valutazioni consapevoli) mentre i vaccinati si vedrebbero costretti a frequentare un ambiente inutilmente rischioso.
Abbiamo accettato da un ventennio che i diritti dei fumatori non sono uguali a quelli dei non fumatori: la società può tollerare il comportamento autodistruttivo del fumatore in nome sia del rispetto di una discutibile libertà individuale di farsi del male, ma anche perché il fumatore paga attraverso le accise sul fumo e la ridotta aspettativa di vita (che riduce i suoi oneri sul sistema sanitario e pensionistico) una parte delle esternalità negative che genera sugli altri.
Il non fumatore, però, ha diritti che giudichiamo prevalenti perché ha il diritto di lavorare, cenare o viaggiare in ambienti privi di esalazioni cancerogene che non ha consapevolmente scelto di inalare.
La situazione con vaccini e green pass è simile, con un’aggravante: il non vaccinato scarica sugli altri il costo del suo comportamento (maggiore rischio di contagio, possibilità di creare nuove varianti del virus) ma non contribuisce a pagare per queste esternalità negative.
Nella nostra vita, poi, abbiamo scelto di avere molte certificazioni necessarie ma non obbligatorie: per guidare in autostrada, ho dovuto prendere una patente, anche se nessuno mi obbligava a farlo. E per studiare in un’università americana mi sono sottoposto a un test di inglese e a uno di matematica, nessuno dei due obbligatorio per legge ma entrambi necessari per assecondare il mio desiderio di frequentare le lezioni.
Anche la mia palestra ha richiesto un certificato medico, e io ho accettato quella che per Barbero è una intollerabile limitazione della libertà individuale e l’ho consegnato, allo scopo di accedere a sale altrimenti a me precluse. Sono stato discriminato? Non credo proprio.
La difesa corporativa
Come si spiegano posizioni così sconnesse da parte di accademici e intellettuali che, nei rispettivi campi, sono considerati preparati, autorevoli e moralmente centrati? Due risposte possibili. Primo: dietro le polemiche sul vaccino c’è una presunzione molto, e ormai soltanto italiana, della superiorità della cultura umanistica su quella scientifica, giudicata arida e limitata.
Lo storico bestsellerista Barbero si sente quindi autorizzato a dettare la politica sanitaria perché se lui è in classifica con un libro su Dante non significa forse che è capace di cogliere quell’essenza delle cose che invece sfugge agli specialisti da laboratorio? Non è un dettaglio che l’appello dei professori sia privo di numeri o riferimenti alla letteratura scientifica o medica.
Nella lista però ci sono anche docenti di materie scientifiche, perfino qualcuno in campo medico. E allora resta un’altra spiegazione, quella corporativa: per quasi due anni il mondo dell’università è stato ignorato dal dibattito pubblico, non si ricordano molte voci di docenti preoccupati per l’impatto delle restrizioni sulla formazione degli studenti (tra le eccezioni, Alberto Melloni su questo giornale).
Anche perché la pandemia per molti ha rappresentato una formidabile occasione di concentrarsi sulla ricerca o di condurre lezioni a distanza, evitando le usuali trasferte, con gran risparmio di costi e tempi. Il requisito del Green Pass introduce un po’ di rigidità in un mondo universitario che la respinge, e impatta sulla discrezionalità dei rettori e sui professori, che si ribellano invocando la Costituzione e la crisi del liberalismo.
Boicottare chi ci minaccia
In questi tempi di ferro, al fuoco si risponde col fuoco: studenti e professori vaccinati dovrebbero rifiutarsi di collaborare con chi, per un capriccio antiscientifico, vuole esporli al rischio di contrarre la peste della nostra epoca. Ora sappiamo i nomi di chi non si fa scrupoli a mettere a rischio la nostra salute.
Gli studenti potrebbero rifiutarsi di avere a che fare con docenti e colleghi senza Green Pass, i professori di sedere nelle stesse stanze ai seminari. O i diritti fondamentali dei vaccinati sono di minor valore?
Chi si indigna per le posizioni di Barbero, o di Massimo Cacciari, ma non frequenta le università può sempre far pesare le sue preferenze con le scelte di consumo culturale: basta smettere di comprare i loro libri o guardare i loro video su Youtube o ascoltare i loro podcast. Il messaggio arriverà forte e chiaro.
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