Anche chi ha votato No al referendum sul taglio dei parlamentari o per i partiti usciti sconfitti dalle elezioni regionali (la Lega di Matteo Salvini, i Cinque stelle, Italia viva) deve prendere atto del risultato: il governo esce dal voto più stabile, di elezioni anticipate non se ne parla, la legislatura durerà fino al 2023. Sono le condizioni ideali per gestire in modo meditato e responsabile i fondi in arrivo dall’Unione europea, 209 miliardi che possono mettere le basi per una crescita duratura e sostenibile o alimentare i peggiori sprechi. Il governo Conte è fermo a linee guida sugli investimenti da finanziare, continua a raccogliere idee, a sollecitare proposte, ad ascoltare tutti.
Pur non essendo parco di dichiarazioni, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nulla ci ha lasciato intendere di quale sia la sua visione del paese. Gli slogan su svolte verdi, digitalizzazione e infrastrutture vanno riempiti di proposte e numeri. Le grandi riforme hanno bisogno di tempo, richiedono mesi di negoziati, hanno esiti incerti, mentre per spendere i progetti per i fondi europei devono essere semplici, misurabili nell’esito e prevedibili nei tempi di realizzazione. Tutti criteri che molti degli interventi continuamente evocati dall’esecutivo non rispettano: sacrosanto pensare di rivedere le imposte su famiglie e imprese, ma non è a questo che servono le risorse di un piano che si chiama Next Generation Eu.
Sono soldi per la prossima generazione, lo traduciamo a beneficio dei non anglofoni, non per quella attuale che beneficerebbe degli sconti fiscali (e che vota oggi). Benissimo i grandi scenari sull’idrogeno, forse è davvero l’energia del futuro, ma non certo del presente. Invece di continuare a perdere tempo con questi argomenti da convegno, sarebbe il caso di cominciare da piccole cose concrete. Un esempio: vogliamo la svolta verde o blu del paese? Bene, partiamo dagli acquedotti. Un italiano su quattro riceve l’acqua da tubi che hanno perdite superiori al 55 per cento. Secondo i dati dell’Autorità dell’energia, questo significa perdere 60 metri cubi di acqua al giorno per ogni chilometro di acquedotto. I fortunati che vivono in zone con impianti in buone condizioni ricevono comunque soltanto il 65 per cento cento dell’acqua immessa nel sistema.
Le infrastrutture sono vecchie, il 25 per cento ha più di 50 anni, e non sono preparate a reggere gli sbalzi dovuti a improvvise siccità e alluvioni prodotte dalla crisi climatica. Ci vogliono miliardi di investimenti (7,2 secondo le imprese di settore), ma non servono mesi di studio o grandi piani. Sappiamo già dove spenderli. Piccole cose con grandi impatti immediati, anche sull’ambiente. Dopo mesi di annunci, è ora che il governo passi ai fatti.
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