- Sono nato in una famiglia dove si ascoltava e si cantava abitualmente “Bella ciao”. So anche che non è una canzone “comunista”. Negli anni, “Bella ciao” ha conosciuto un’immensa popolarità. Come canzone-simbolo della Resistenza italiana e della lotta antifascista, come generale inno di libertà, anche di ribellione ad ogni forma di potere oppressivo.
- Per tutto questo non si sentiva proprio il bisogno di una legge che dichiari “Bella ciao” inno ufficiale delle celebrazioni del 25 aprile italiano, proposta da parlamentari del Pd e di altri gruppi.
- “Bella ciao” è diventata la canzone di tanti che nel mondo si battono per la libertà, contro dittature e ingiustizie. Proclamarla “inno ufficiale” di qualcosa, anche di un evento prezioso come l’anniversario della Liberazione, significa in fondo “istituzionalizzarla” e dunque imprigionarne il senso di canto irregolare, ribelle.
Sono nato in una famiglia dove si ascoltava e si cantava abitualmente “Bella ciao”, sono cresciuto ascoltandola e cantandola anch’io e continuo ad amarla molto. So anche, del resto per “scoprirlo” basta cliccare “bella ciao” su un qualunque motore di ricerca sul web, che non è una canzone “comunista”. Diversamente da “Fischia il vento”, altro celebre canto partigiano, “Bella ciao” durante la Resistenza era cantata soprattutto da formazioni non comuniste: in particolare dalla Brigata Maiella, nata nel 1943 in Abruzzo e composta prevalentemente di repubblicani, che dal ’44 operò inquadrata nell’Ottava armata britannica.
Per dire, scrive sul sito Treccani lo storico della lingua italiana Luigi Patota: «Nel novero delle molte canzoni partigiane, Bella ciao è la meno di parte, la meno divisiva e la meno violenta di tutte: nomina un invasore e non ne fa, nell’occasione, un nemico, ma una minaccia; evoca un partigiano e non ne fa un uomo in armi, ma un individuo che ha la certezza di morire».
Nei decenni e con maggiore forza negli ultimi anni, “Bella ciao” ha conosciuto un’immensa popolarità. Come canzone-simbolo della Resistenza italiana e della lotta antifascista, più recentemente come generale inno di libertà, anche di ribellione ad ogni forma di potere oppressivo: la cantano le donne curde che combattono contro l’Isis, i ragazzi dei Fridays for future, gli operai della Whirlpool di Napoli senza più lavoro, i giovani del parco Gezi di Istambul in rivolta contro Erdogan… Addirittura in questi mesi di pandemia è stata adottata in giro per il mondo come canto di liberazione dal virus e di incoraggiamento a resistergli.
Ecco, per tutto questo non si sentiva proprio il bisogno di una legge che dichiari “Bella ciao” inno ufficiale delle celebrazioni del 25 aprile italiano, proposta da parlamentari del Pd e di altri gruppi. Com’era prevedibile l’iniziativa ha scatenato la reazione di tanti che, semplicemente, non amano i valori dell’antifascismo e nemmeno la memoria della Resistenza, ma non è questo il punto. Io mi chiedo e chiedo a chi ha firmato questo disegno di legge: se venisse approvato cosa aggiungerebbe al valore storico, al successo, alla simbologia ormai universale di “Bella ciao”? Io credo che aggiungerebbe zero, e qualcosa toglierebbe. “Bella ciao” ha spiccato il volo dalle sue stesse origini, è diventata la canzone di tanti che nel mondo si battono per la libertà, contro dittature e ingiustizie. Proclamarla “inno ufficiale” di qualcosa, anche di un evento prezioso come l’anniversario della Liberazione, significa in fondo “istituzionalizzarla” e dunque imprigionarne il senso di canto irregolare, ribelle.
Il 25 aprile come in altri giorni dell’anno continuerò ad ascoltare e a cantare “Bella ciao”. E spero che resti quello che è – un inno universale di liberazione –, che non sia proclamata “canzone di Stato”.
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