- Per alcuni giovani il cammino da seguire una volta entrati nel mondo reale è già deciso, o perlomeno è stato preparato in qualche modo.
- Un lavoro o un percorso di colloqui e di esperienze che porterà, si spera, ma con ragionevole probabilità, a un lavoro. E poi certe relazioni, il fidanzato o la fidanzata stabile.
- Certi progetti, per quanto fragili. Certe emozioni. E la paura strisciante che se le cose poi vanno bene, troppo bene, forse un giorno tutto crollerà.
Cos’è il mondo reale? Il mondo reale, per esempio, è la luce improvvisa dell’universo adulto che ti acceca nel momento in cui termini il tuo “percorso giovanile” in senso stretto.
Di solito dopo la laurea o il diploma, ma può accadere anche in altri momenti, in base alle circostanze, ai privilegi, all’emotività e alla sorte. Il mondo reale, sì, si chiama così. Ma perché, quello in cui hai vissuto fino a quel momento era, invece, il mondo irreale?
Come genitori abbiamo da tempo superato questa fase della vita, ma abbiamo dei figli e sappiamo che un giorno toccherà a loro attraversare certi territori.
In fondo essere genitori è anche questo: aver vissuto le cose, averle archiviate, ma trovarsele, un giorno, nuovamente di fronte.
Per alcuni giovani il cammino da seguire una volta entrati nel mondo reale è già deciso, o perlomeno è stato preparato in qualche modo.
Un lavoro o un percorso di colloqui e di esperienze che porterà, si spera, ma con ragionevole probabilità, a un lavoro. E poi certe relazioni, il fidanzato o la fidanzata stabile.
Certi progetti, per quanto fragili. Certe emozioni. E la paura strisciante che se le cose poi vanno bene, troppo bene, forse un giorno tutto crollerà.
Per altri il percorso è più incerto, la professione che si desidera non ha contorni definiti, si pensava che li avrebbe avuti, ma non li ha ancora.
Le relazioni stabili non sono presenti, e forse non si sente la necessità di averne, ma si avverte una pressione esterna. Niente di grave, ma un po’ di malessere.
Per altri ancora il percorso è addirittura inesistente: il vuoto, una prateria senza forma, il mondo che giudica la tua irresolutezza. A tratti, però, un’impressione di possibilità. Il senso che troviamo a volte nell’insensatezza.
Sono generi diversi di inquietudine esistenziale, quell’angoscia mai troppo nera, come l’angoscia effettivamente è, nella maggior parte dei casi.
L’inquietudine degli altri
Quando viviamo questa fase della vita in prima persona, l’inquietudine può assumere contorni più o meno marcati. Magari neppure ce ne accorgiamo, ma ci siamo dentro fino al collo: è tutta roba nostra.
Quando siamo genitori e immaginiamo i figli che un giorno si affacceranno al mondo reale, al mondo adulto, l’ignoto ci appare invece attraverso un vetro. Non ci appartiene, eppure ci appartiene. Sicuramente ci riguarda. Anzi ci guarda. Ci strizza l’occhio, un po’ sprezzante. Ti ricordi di me? Sono tornato, e stavolta non per te.
Penso alla storia di una ragazza di ventitré anni, si chiama Riley. È nata da genitori di etnie diverse, ma il suo volto non rivela né l’una né l’altra etnia. Riley ama le relazioni lunghe, stabili, o così pensa.
È stata da poco lasciata dal ragazzo che amava, stavano insieme da tre anni, lui ora si è messo con una più sicura di sé, più inquadrata, più avviata al successo. E Riley si trova sola, ma il suo mondo non è certo finito, ha degli amici, va alle feste, va all’università. Giusto?
All’università però ha qualche difficoltà, le manca pochissimo alla laurea, ma scopre di essere stata bocciata a un esame, quindi tutto ritarderà di qualche mese.
In pochi giorni crollano alcune certezze: la persona con cui condivideva l’appartamento la caccia di casa per motivi assurdi.
La psicoterapeuta dell’università che la seguiva le comunica che le sessioni gratuite a cui aveva diritto sono finite. Un ragazzo che le piace si rivela una delusione.
Quando le chiedono cosa farà dopo l’università lei non sa cosa dire, in realtà non sa più cosa rispondere alle domande in generale. Eppure era una che tutti definivano “intelligente”. Torna dai genitori, che lì per lì non capiscono più chi sia diventata.
Questa storia, grande e al tempo stesso minima, ordinaria e archetipica, è un film intitolato Actual people (cioè “Persone vere”). Il film, visibile su Mubi, è stato scritto e diretto da Kit Zauhar, una regista giovanissima che nel film interpreta la protagonista.
È il viaggio di un’antieroina, costruito intorno alle conversazioni con gli amici e i compagni di università, ma anche alla rappresentazione visuale della solitudine oggettiva o solo percepita.
La regista spiega che realizzarlo è stato come costruire una casa molto lentamente, anche perché non aveva i soldi per farlo. Ma è una casa che andava costruita, e che ora esiste. Lei stessa ha avuto accesso al mondo adulto solo dopo questa esperienza.
Vedendo Actual people ho pianto, pensando al dolore dei ventenni intesi come bambini cresciuti. Ma questo dolore è normale, e le lacrime di un adulto che osserva tutto dietro un vetro non servono a niente. Bisogna accettare che il viaggio si svolga.
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