La presidenza di Donald Trump è iniziata con le folle che gridano «not my president» ed è finita con un portavoce di Joe Biden che dice che «il governo degli Stati Uniti è perfettamente in grado di rimuovere chi viola il perimetro della Casa Bianca».
Dentro l’edificio circondato dalle staccionate l’inquilino riottoso combatte contro il mondo, contro sé stesso, contro la Costituzione e contro le regole di Twitter, in un moto infantile di frustrazione che sarebbe ridicolo, se non fosse pericoloso. Non c’è nulla di scespiriano nel finale di questa presidenza: solo ottimo materiale per una pessima serie tv.
Due volte è convinzione
Ma a parte i conteggi, le dichiarazioni ufficiali, la rimozione del renitente e la delicata gestione del tumulto per le strade, rimane aperta una questione: i 68 milioni e rotti di persone che hanno votato Trump.
Il presidente in carica ha allargato la base rispetto a quattro anni fa, è andato a pescare anche fra le minoranze, ha conquistato stati chiave importanti e impedito all’avversario una vittoria a valanga di proporzioni simili a quella di Obama nel 2008, e figurarsi rispetto a quelle di un Nixon nel 1972. Sono elettori che lo hanno votato pur avendo assistito alla sua performance di governo per quatto lunghi, interminabili anni. Una volta può essere rabbia, protesta, follia. Due volte è convinzione.
Ricucire le lacerazioni
Questi 68 milioni di americani non si volatilizzeranno con la fine dello spoglio. Per Biden vincere le elezioni è stato difficile, ma la missione ardua inizia ora: diventare il presidente non solo di quelli che volevano cacciare Trump, ma anche di quelli che lo hanno sostenuto con sincero ardore, di chi grida ai brogli, degli adepti di QAnon, degli evangelici con i cartelli davanti alle cliniche abortiste, di quelli che vanno anche in chiesa con la pistola.
A Biden spetta il compito di ricucire le lacerazioni, di rappresentare tutte le anime del paese, di evitare che mezza America finisca in quella che i teorici della comunicazione chiamano la “spirale del silenzio”.
Un ponte fra le due Americhe
Parte di questa impresa comporta anche raddrizzare una certa deriva della “resistenza” a Trump, che ha almeno in parte trasformato la legittima opposizione a un presidente inqualificabile in una guerra fra mostri e normali, fra subumani ed esseri razionali.
Biden dovrà trovare il modo di gettare un ponte fra le due Americhe, senza lasciarsi tentare da complessi di superiorità morale che non sono particolarmente utili per chi intende costruire. Il suo pedigree di moderato è un fardello nelle dinamiche interne alla sinistra, ma può essere una virtù nella logica della pacificazione nazionale.
Biden si è affermato politicamente negli anni di Reagan, un periodo di scontri feroci fra visioni antagoniste del paese; ma era anche un tempo in cui le giornate più tese si concludevano con il presidente che beveva un drink con lo Speaker democratico della Camera, Tip O’Neill. Il gesto non annullava le differenze, ma aiutava a ricordare che anche la più ruvida delle dispute avviene fra persone.
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