L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul rinvio. Il rito della dilazione dei problemi che è meglio non affrontare viene officiato ogni anno da governo e parlamento con l’ineffabile decreto Milleproroghe, recante «disposizioni urgenti in materia di termini legislativi». Nell’ultimo, convertito in legge la settimana scorsa, è stato rinviato dal 1° gennaio 2022 al 1° gennaio 2023 l’obbligo per milioni di famiglie italiane di andare a comprare l’elettricità sul mercato libero, cioè di andare a farsi spolpare da una delle 700 aziende che si contendono i clienti a cui far pagare l’energia in media il 26 per cento in più di quanto pagano oggi nel cosiddetto “mercato tutelato”. Il quale non è sovvenzionato ma, contando su un ente pubblico, l’Acquirente unico, che compra la corrente all’ingrosso per circa metà delle famiglie italiane, garantisce prezzi più convenienti. Chi si è fatto convincere dall’idea, apparentemente ovvia, che la concorrenza fa scendere i prezzi ha finito per spendere di più nel mercato libero, come certifica da anni l’Arera, autorità indipendente di settore. Eppure incombe su alcuni milioni di famiglie la fine del mercato tutelato, stabilita per legge. Incombe insomma un giorno X in cui gli attuali contratti, più convenienti, non varranno più e dovranno andare a cercarsi un nuovo fornitore. Il legislatore però non ha potuto stabilire l’obbligo di firmare un nuovo contratto piuttosto che un altro, per cui ormai da anni ci si arrovella sulla gestione della fase transitoria in cui si dovrà stabilire come dare la corrente a chi tarda nella scelta. Si parla di cervellotiche gare su base regionale a cui i grandi gruppi elettrici parteciperanno per vincere la fornitura di corrente a prezzi regolati per un numero indefinito di famiglie e per un tempo indefinito. Un caos immenso.

Inattuabile

Ben venga quindi il rinvio: per altri due anni gli irriducibili del mercato tutelato non dovranno prendersi le ferie per studiarsi i circa 12 mila (dodicimila, non è un refuso) piani tariffari disponibili. Ma è nel rinvio che si annida l’assurdo. La legge che aggiunge alla libertà di andare sul mercato libero il surreale obbligo di essere liberi è stata approvata il 2 agosto 2017. Ma già da prima si capiva che quella norma non stava né in cielo né in terra. Il ministro competente, Carlo Calenda, si schermiva: «Io non ho inventato questa legge sulla concorrenza, l’ho trovata. È una legge presentata da Guidi e da Renzi . Il mio obiettivo è di portarla a casa per una ragione di serietà». Così lo stesso Calenda ha imposto il primo rinvio, da luglio 2018 a luglio 2019, ammettendo che in pratica si stava facendo un rischioso esperimento sulla pelle delle famiglie: «Le liberalizzazioni portano concorrenza e abbassamento dei prezzi per i consumatori. Ma bisogna essere cautissimi sul rischio che si formino dei cartelli e aumentino i prezzi. Per questo bisognerà prevedere una clausola di ritorno alle condizioni iniziali se la riforma non dovesse funzionare». Nell’estate 2018 è il governo Conte 1 a decidere un ulteriore rinvio, da luglio 2019 a luglio 2020. Un anno fa, con il decreto Milleproroghe, il governo Conte 2 decide una nuova proroga fino a gennaio 2022. Oggi arriva l’ultima dilazione, per ora, al 2023. Tutti con il tono di chi allontana un’ingiustizia perpetrata da chissà chi. Ma la ragione del rinvio è sempre la stessa. Altro che tornare indietro, come diceva Calenda. Non sanno neppure come andare avanti perché la norma non è solo stupida ma anche inattuabile. Per esempio, se uno non è rapido a scegliersi il fornitore sul mercato libero, chi gli dà la corrente nel frattempo? Gli esperti studiano ma non sanno come far sì che le famiglie risparmino davvero, grazie alla concorrenza, qualche euro ogni anno. Da anni si fanno le stesse ipotesi: campagne di informazione che mettano i consumatori in grado di destreggiarsi tra le 12mila offerte; certificazione delle aziende autorizzate ad abbindolarti, come se ridurle da 700 a 2-300 cambiasse qualcosa.

Nessuno però ha il coraggio di dire che questa norma insensata – scritta da Matteo Renzi e Federica Guidi per accontentare i talebani del liberismo teorico e quattro o cinque colossi elettrici capitanati dall’Enel – si può solo cancellare. Più comodo rinviare l’appuntamento, di un anno ogni anno. Perché in fondo il rinvio dei problemi è l’unico vero ansiolitico che funziona per una classe dirigente in perenne crisi di nervi.

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