Il Sahel è preda di violenza ma anche centro di interessi e sfruttamenti. Da due decenni si è scoperto l’oro e l’attività mineraria artigianale coinvolge un milione di burkinabé. Si trattare ora di vede a chi saranno affidate le miniere nazionalizzate
Un terribile massacro di civili, circa 600 abitanti e contadini della zona, si è svolto in Burkina Faso a Barsalogho, 140 chilometri a nord della capitale Ouagadougou. La strage è opera dello Jnim, il gruppo armato jihadista maliano che con le sue propaggini ha ghermito da tempo il nord del povero paese saheliano.
I jihadisti approfittano della debolezza degli stati saheliani – come anche in Mali e il Niger – per attaccarli e seminare il terrore nella popolazione, provocando importanti movimenti di sfollati.
La reazione
Non si tratta del primo massacro anche se certamente del più grave in quanto al numero delle vittime. La reazione della giunta militare, al potere dal 2022, è stata durissima con un discorso del capitano Ibrahim Traoré, presidente della transizione, che ha promesso vendetta dopo la stagione delle piogge. L’azione a Barsalogho è stata una risposta jihadista all’ordine dell’esercito di costruire una trincea in funzione difensiva contro gli stessi jihadisti, che è diventata la tomba dei locali.
Le foto della trincea piena di cadaveri sono state postate sui social come monito contro prossime imprese simili. In questo modo lo Jnim dimostra di controllare il territorio e aver preso in ostaggio la popolazione, stretta ormai in una tenaglia micidiale tra esercito e terroristi. I mercenari russi sono anch’essi sulla difensiva dopo i colpi ricevuti nei paesi confinanti e la rarefazione degli approvvigionamenti logistici dalla madrepatria occupata dalla guerra in Ucraina.
La nazionalizzazione
Nelle stesse ore in cui il massacro diventava pubblico, la giunta al potere ha annunciato di aver nazionalizzato tutte le miniere d’oro del paese, quinto produttore africano. Attualmente la situazione della produzione d’oro e di altri minerali preziosi è la seguente: nove miniere gestite dai canadesi; quattro dai russi e quattro dai turchi; due da società indiane e due australiane. Una sola miniera è in mani burkinabé.
Ora sarà da vedere chi dovrà lasciare per primo – si tratta comunque di un processo non immediato – e a chi saranno affidate quelle nazionalizzate. Già in agosto scorso il Burkina Faso aveva raggiunto un accordo per nazionalizzare due miniere d’oro, quelle di Boungou e Wahgnion, passate dalla compagnia mineraria britannica Endeavour mining alla Lilium mining, fondata da un uomo d’affari americano di origini burkinabé. Tuttavia, dopo conteziosi sul prezzo di vendita, Lilium è stata costretta a trasferire la proprietà direttamente alle autorità del Burkina Faso.
Attorno allo sfruttamento dell’oro vi sono molti interessi anche se il Burkina non ha né le competenze e l’esperienza per gestire le miniere in proprio, tenendo conto che si tratta di investimenti e produzioni abbastanza recenti. Tra l’altro il settore dell’estrazione non è del tutto sotto controllo: attualmente si contano nel paese più di 600 siti di estrazione artigianale, con circa un milione di persone che vivono direttamente di tale attività. L’estrazione artigianale dell’oro (detta “orpaillage”) si è sviluppata negli ultimi due decenni. Il governo dovrà ora affidarsi a tecnici stranieri: saranno ancora una volta i russi com’è avvenuto in altri stati confinanti? Oppure saranno scelti altri, in nome di una maggior autonomia?
L’idea che circola oggi tra le élite del continente è che occorra smettere di dipendere da qualcuno: meglio diversificare e avere numerosi partner con i quali negoziare di volta in volta condizioni migliori. L’unica certezza è che la raffinazione dell’oro burkinabé avverrà negli Emirati, come per quello di tutta la regione. È ovvio che occorre anche garantire una maggior sicurezza a chi opererà in futuro: se i massacri continuano avvicinandosi alle città più grandi, sarà molto complicato per il governo trovare partner affidabili.
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